Declinare crescendo
DOI: 10.1401/9788815413505/c1
capitolo primo Lo spirito della negoziazione
1. Affermarsi del sindacalismo e spirito della negoziazione
A partire dagli anni ’59-’60 il sindacalismo italiano si è affermato come presenza sociale decisiva nella vita civile e nei meccanismi di decisione che influenzano lo sviluppo economico. Un’ascesa contrastata, rallentata dalla crisi tra il ’64 e il ’66, accelerata e resa quasi irresistibile dal movimento successivo. Il sindacato forte e aggressivo che abbiamo conosciuto non era previsto dal patto costituzionale e dalla legislazione, né era concepibile dalla cultura politica del nostro Paese, tradizionalmente miope rispetto alle vicende della società civile, quanto ossessivamente attenta ai partiti e alla struttura dello Stato. Sarebbe tuttavia una semplificazione considerare l’ascesa del sindacalismo alla stregua di una meccanica irruzione all’interno di un ordine sociale: essa ci sembra aver coinciso con l’affermarsi nei comportamenti di massa e principalmente nei rapporti economici di nuovi valori e conseguenti atteggiamenti.
Uno in particolare ci appare rilevante, lo spirito negoziale, l’attitudine cioè a vivere le relazioni tra soggetti in forma di rivendicazione e di contrattazione. Questo spirito ha pervaso il costume assai al di là dell’area caratterizzata dalla presenza sindacale, facendo apparire analoghi a quelli sindacali anche rapporti di tutt’altro tipo.
La struttura negoziale delle relazioni ha natural¶{p. 12}mente una storia assai lunga e precedente l’ascesa del sindacalismo moderno: la ravvisiamo quando esaminiamo i rapporti interni alle élites del potere, la ritroviamo ogni qual volta nel tessuto sociale si enuclea un aggregato di interessi omogenei, e anche tra i diversi corpi che compongono la struttura amministrativa dello Stato. Ma nel nostro caso si è trattato della diffusione fino ai gradini infimi della «scala sociale», fino a raggruppamenti sociali di pochissimo rilievo, dentro tutto il complesso dell’agire politico, di uno spirito generale, di un atteggiamento omogeneo. La negoziazione viene ammessa come norma di comportamento, è quindi un fatto consapevole, legittimo nella visione che gli uomini hanno dei loro rapporti sociali più importanti.
Questo avvenimento culturale segna l’insorgere della società e del suo sviluppo conflittuale fuori dalle maglie tradizionali del sistema politico; gli argini eretti dallo Stato, dal sistema dei partiti, dalla stessa cultura politica non reggono. Gli interessi tendono cioè a manifestarsi in quanto tali, rifiutando in prima istanza la mediazione operata dall’ideologia e dall’organizzazione di partito. Giustamente quindi i critici del sindacato hanno colto in esso, al di là delle convinzioni dei suoi gruppi dirigenti, una tensione sovvertitrice delle regole del gioco, l’esempio primo di una società sulla via di allargare l’area dei conflitti espliciti, al di là della capacità istituzionale di regolarli.
Vale tuttavia la pena di ricordare come la negozialità degli atteggiamenti abbia finito per superare l’ambito sindacale favorendo la formalizzazione di conflitti diversi e talvolta distantissimi dalla lotta di classe: tutti i tipi di differenza e disuguaglianza diventano linee di demarcazione tra soggetti sociali che si scontrano, contrattano, producono mediazioni. ¶{p. 13}L’individuo non di rado si trova ad essere protagonista di due o tre situazioni di conflitto. La lotta di classe ha esercitato una primazia e una forte attrazione rispetto agli altri conflitti: spesso perché davvero serviva a spiegare tensioni apparentemente non originate dalla divisione in classi, talvolta invece per «fascino ideologico» o per attrazione estetica. E in questo caso non ha certamente contribuito alla conduzione consapevole delle lotte e della negoziazione.
2. Negozialità e modificazioni sociali
Lo spirito della negoziazione comporta certamente un allargarsi nella vita sociale dei conflitti espliciti. Esso infatti sbriciola tutta una serie di diritti e doveri ritenuti intoccabili, dando allo sguardo del singolo la capacità di cogliere dietro le enunciazioni formali dei ruoli gli interessi e i bisogni storici. Si negozia perché si è partiti dal rifiuto di considerare una differenza sociale come un dato immodificabile e perché si è ritenuto di individuare una controparte responsabile.
Paradossalmente lo spirito negoziale mette in discussione radicalmente ogni concezione corporativa della società, e cioè lo schema di una convivenza fondata su una stabile ripartizione (per nascita o per merito) dei poteri, delle funzioni e dei vantaggi sociali. Finché la negoziazione resta confinata tra le élites, può convivere con uno schema di società «organica» o corporativa, quando coinvolge le masse produce uno scossone profondo al sistema delle disuguaglianze, poiché aggredisce il consenso di massima necessario a riprodurle. Di qui ovviamente la tendenza a ridefinire lo Stato, a negarne l’im¶{p. 14}parzialità, o a limitarne l’intervento regolatore su tutte le questioni sociali.
A distanza di anni e in presenza, come vedremo, di una crisi dello spirito negoziale, possiamo concludere che esso ha accompagnato e accelerato il processo di modernizzazione della società italiana e la crescita di modalità più efficaci di lotta per l’uguaglianza e lo sviluppo civile. Anzitutto esso ha facilitato nelle masse l’attribuzione del giusto rilievo ai fenomeni economici, ha diffuso la capacità di comprendere i nessi tra economia e politica, soprattutto ha coinciso con l’affermarsi di una mentalità singolarmente adatta a osservare i tratti caratteristici della industrializzazione e del prevalere di una società urbana. Il declino dell’ideologismo ottocentesco ha liberato potenzialità critiche e forme di partecipazione al conflitto in grado di riportare alla «politica» masse straordinarie di popolo, sostanzialmente bloccate in una sorda estraneità.
D’altra parte nel caso italiano va notato come lo spirito negoziale, anziché sboccare in un banale realismo, si sia innestato su forti motivazioni ideali. Si rivendica non già sulla base di un crudo interesse immediato, bensì legittimando i bisogni come diritti, collocandoli in una visione dell’uomo e della società. Per questa via la negoziazione diventa collettiva e addirittura limita la negoziazione interindividuale. Affermandosi come fatto di gruppo e sovente di un gruppo idealizzato (i lavoratori, gli oppressi, i disoccupati, ecc.) supera gli immediati interessi del singolo, riferendosi piuttosto a dei valori che il singolo condivide.
Si contrattano modificazioni della vita collettiva che soltanto da un punto di vista non immediato si possono definire vantaggi. La lotta che consente la contrattazione diventa per le figure dei militanti un ¶{p. 15}itinerario di autorealizzazione più che una pulsione aggressiva conseguente a frustrazioni e oppressioni.
Naturalmente nella vita sindacale convivono le diverse dimensioni motivazionali, convergono stati d’animo e obiettivi disparati: ma il fatto che non ci troviamo quasi mai di fronte a puri obiettivi ideologici assicura all’azione quella specificità pragmatica che sola la può rendere di massa e in qualche misura verificabile.
Abbiamo accennato al fatto che lo spirito della negoziazione ha indubbiamente allargato l’area del conflitto nella società italiana, consentendo anche di teorizzare una conflittualità permanente. Dobbiamo aggiungere che esso ha altresì consentito alla lunga la regolazione dei conflitti, instaurando regole del gioco. L’individuazione di una controparte e la tendenza a contrattare con essa finisce infatti per definire un sistema di reciproci riconoscimenti, giungendo addirittura a definire convergenze, presunte o reali, di interesse. In certa misura le parti del conflitto e della contrattazione finiscono per difendere la reciproca sopravvivenza, per acquisire attraverso il comune linguaggio alcune omogeneità nella visione del reale. Si ricostruisce attraverso la negoziazione un sistema di patti fondamentali, che soltanto un impetuoso movimento collettivo può insidiare.
È così che lo stesso sindacato aggressivo emerso dagli anni ’60 ha avuto delle componenti di stabilizzazione e di integrazione nel sistema sociale di masse, la cui marginalità poteva sfociare in pura negoziazione. Anche se il prezzo che esso ha preteso per patteggiare tende a ferire profondamente alcuni meccanismi di attribuzione del potere sociale: in questi casi i patti sono stati semplicemente tregue e formalizzazioni, accettate con riserva, di un rapporto di forza determinato.
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