Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/p4
Matelda Reho Introduzione
Notizie Autori
Matelda Reho è già professore ordinario presso l’Università IUAV di
Venezia, si è occupata di Politiche ambientali e Politiche di sviluppo rurale.
Attualmente la sua ricerca si concentra sugli strumenti di governance per la
tutela e salvaguardia del paesaggio, con specifico riferimento alle possibili
interazioni con le politiche agricole. È autrice di numerose pubblicazioni in
volume e in riviste.
Il volume che qui si presenta ha
esplicitamente l’obiettivo di parlare di paesaggio a figure che operano in vari ambiti delle
politiche territoriali, per le quali spesso non è semplice integrare la dimensione
paesaggistica nelle scelte che vengono assunte. Pone in qualche modo la necessità di
ripensare il modus operandi delle istituzioni pubbliche, assumendo la
trasversalità del paesaggio come frame in cui prendere le decisioni, pur considerando la
molteplicità dei punti di vista che vengono di volta in volta chiamati in causa e le
difficoltà nell’interfacciarsi con diverse discipline. Esprime la necessità di trovare forme
di dialogo più efficaci, di parlare linguaggi accessibili, che consentano di adottare
orientamenti comuni, di scomporre e ricomporre la complessità del paesaggio. Vuole
sensibilizzare, far crescere la responsabilizzazione sulla tutela e valorizzazione del
paesaggio e allo stesso tempo fornire strumenti di lettura, aprire una riflessione su alcuni
processi di trasformazione del territorio con forti implicazioni sul paesaggio.
La costruzione del progetto che sta alla
base di questo volume risponde agli impegni enunciati dalla Convenzione europea del
paesaggio, in maniera specifica agli artt. 5 e 6. In particolare, l’art. 5 sottolinea che
una prospettiva di efficacia delle politiche di tutela e salvaguardia del paesaggio non
possa chiudersi solo in misure e azioni specifiche, debba al contrario aprirsi alle altre
politiche che intervengono sul territorio. In particolare, il punto d) dell’art. 5
recita: «Ogni parte si impegna […] ad integrare il paesaggio nelle
politiche relative all’assetto territoriale ed urbanistico, nelle politiche culturali,
ambientali, agricole, sociali ed economiche, ed in ogni altra politica che possa avere
un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio». Lodevole, dunque, l’iniziativa di
sensibilizzazione promossa dall’Osservatorio per il paesaggio ¶{p. 16}della
Regione del Veneto, in un contesto legislativo in cui è proprio la regione l’ambito di
governo determinante per considerare la trasversalità e complessità della questione
paesaggistica, per le molteplici competenze che le sono affidate nella gestione di politiche
settoriali, per l’esercizio dell’attività autorizzatoria in materia paesaggistica (ai sensi
dell’art. 146, c. 6, del Codice), per l’ampiezza del territorio su cui si definiscono
orientamenti, attraverso la pianificazione paesaggistica.
Rispecchiando per lo più la traccia
seguita nel corso organizzato dall’Università IUAV di Venezia per l’Osservatorio, il volume
è organizzato in tre parti, che consentono di passare dalla teoria alla pratica, dalla
disciplina del paesaggio alla dimensione paesaggistica di molte azioni, misure e politiche,
che intervengono sul territorio settorialmente, considerando alcune problematiche che sono
emerse con maggiore insistenza negli ultimi anni, configurando vere e proprie emergenze.
Nella prima parte i saggi di Anna
Marson, Giuseppe Piperata, Girolamo Sciullo, Clemente Pio Santacroce, Gabriele Torelli e
Domenico Patassini consentono di soffermarsi sulla complessità del paesaggio e su quanto di
questa complessità trovi posto nella disciplina giuridica e nella prassi della
pianificazione. A più di vent’anni dall’introduzione della Convenzione europea del paesaggio
stiamo effettivamente andando avanti nella considerazione del paesaggio o ne stiamo ancora
considerando delle parti? Quanto l’idea di paesaggio introdotta dalla Convenzione è stata
metabolizzata nella definizione di piani e politiche e nell’ordinamento giuridico nazionale?
Come sostiene Anna Marson, l’attenzione alla complessità e alla specificità di ciascun
paesaggio spesso fa fatica ad emergere, così come si interpreta ancora con qualche
difficoltà la differenza tra il concetto di territorio e quello di paesaggio, e si stenta a
ragionare in termini di coevoluzione. Da una parte non è scontato che alla base della
caratterizzazione di ciascun paesaggio ci sia «un’esperienza specifica, generalmente
maturata in un tempo lungo, di coevoluzione fra natura e cultura» e che caratterizzare un
paesaggio implichi guardare a queste relazioni, non ¶{p. 17}leggibili
soffermandosi su singole componenti; dall’altra si fa fatica nei processi di pianificazione
ad assumere che, considerando il paesaggio, si debba lavorare sugli aspetti della
percezione, e conseguentemente sulla qualità di ciò che percepiamo. In un quadro emergente,
in cui spesso anche la rappresentazione e la scala assunte per considerare il paesaggio
alimentano la semplificazione, Piperata e Sciullo pongono la questione del rapporto tra beni
paesaggistici e paesaggio e della loro coabitazione all’interno del diritto del patrimonio
culturale. Discutere su questi aspetti implica inevitabilmente considerare il tema della
interazione tra competenze statali e regionali, delle interpretazioni sui «confini» di dette
competenze e sul loro dispiegarsi in concreto. Ne scaturisce un quadro decisionale complesso
e per molti versi conflittuale, in cui il riconoscere al paesaggio un «valore primario e
assoluto» rischia di essere messo in crisi da alcuni processi. Le stesse due categorie di
azione su cui il legislatore si concentra, la tutela e la valorizzazione, sembrano in alcuni
casi porre problemi di armonizzazione, di coerenza. Ci viene ricordato che la tutela rientra
nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre la valorizzazione è di competenza
delle regioni, ma come osserva Santacroce «non è sempre facile individuare con esattezza il
confine tra i due titoli competenziali, come dimostrano le numerose sentenze al riguardo,
rese dalla Corte costituzionale in seguito a conflitti tra Stato e regioni». Allo stesso
modo, anche limitandosi a considerare la tutela, il riconoscimento dei beni da tutelare
necessita poi della definizione di regole d’uso o non uso su cui c’è ancora molto lavoro da
fare. Piperata sottolinea che tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni paesaggistici
rimangono distinte anche riguardo agli strumenti che la legge mette a disposizione per
garantirne gli obiettivi, più tradizionali e autoritativi quelli previsti per la tutela, più
innovativi e variegati quelli previsti per la valorizzazione, contemplando la dimensione
pianificatoria, quella progettuale e della definizione di politiche. Diverse dimensioni che
richiamano il ruolo di molti attori, differenti dalle istituzioni pubbliche competenti in
materia di paesaggio. C’è un invito a guardare alle pratiche ¶{p. 18}di
produzione del paesaggio (Marson), che interessano una pluralità di soggetti, e a porsi come
istituzioni l’obiettivo di accompagnarli dentro e fuori la gestione dei più tradizionali
strumenti. Si tratta di superare un approccio secondo cui la tutela è considerata astensione
dall’azione, anziché come cura proattiva e accompagnamento della coevoluzione tra dinamiche
naturali e intervento umano. È una esortazione ad «accompagnare le pratiche innovative dei
produttori di paesaggio, rivedere le pratiche istituzionali inadeguate».
Guidati dagli autori, nel volume abbiamo
l’opportunità di ripercorrere alcune rilevanti azioni previste dall’ordinamento giuridico
italiano in materia di paesaggio, comprendenti, oltre al riconoscimento dei beni
paesaggistici, la definizione di vincoli, la pianificazione paesaggistica, l’autorizzazione
paesaggistica e, a chiusura del «sistema», l’attività ripristinatoria-sanzionatoria
[1]
.
In particolare, Santacroce e Torelli si
soffermano su di uno strumento centrale della gestione dei beni sottoposti a tutela,
l’autorizzazione paesaggistica, nelle diverse situazioni in cui vige l’obbligo e nelle non
trascurabili eccezioni in cui il legislatore considera «interventi di lieve entità»,
assoggettati ad un regime amministrativo semplificato. Gli autori evidenziano i possibili
riflessi dell’esercizio della funzione di pianificazione paesaggistica e degli altri poteri
amministrativi ad effetto conformativo-prescrittivo (tramite vestizione/integrazione dei
vincoli) sul regime autorizzatorio ordinario: la sua eventuale modulazione riduttiva e
l’arretramento della sfera di intervento statale nel momento della gestione del vincolo.
Nel processo autorizzativo, così come in
quello pianificatorio, un ruolo importante potrebbe essere coperto dagli strumenti di
valutazione previsti dall’ordinamento giuridico italiano. Spesso però la valutazione di
supporto alle decisioni è relegata ad atti di puro adempimento, non collocati nelle fasi di
maturazione e possibile modificazione dei progetti, e sono dunque lontanissimi «da istanze
trasformative, ¶{p. 19}di institutional design, di
policy o di apprendimento che dovrebbero essere alla base di
plausibili strategie di sostenibilità e di adattamento» (Patassini). Nel suo contributo
Domenico Patassini evidenzia una sostanziale distanza tra la ricchezza di un quadro
regolativo in significativa evoluzione e gli approdi della valutazione paesaggistica e dei
tentativi di integrazione nella VAS. Si rilevano difficoltà di varia natura, a partire da
quelle concettuali, riconducibili alla «problematica combinazione di analisi scientifica e
rappresentazione figurativa»; infatti, da una parte ci sono generalmente componenti
«rilevabili», utilizzando appropriati strumenti analitici e metriche, dall’altra «si affida
alla percezione (in accezione anche immateriale) e alle pratiche analitiche la combinazione
delle componenti, la restituzione di immagini e l’attribuzione di valore». L’autore esplora
domini e forme di interazione fra VAS e Valutazione paesaggistica nei processi
pianificatori, rilevando per lo più tentativi di accostamento non sufficientemente
supportati da plausibile interpretazione semantica e da validazioni empiriche sul versante
metrico. Forse qualche passo in avanti potrebbe essere fatto ridefinendo l’approccio
adottato attualmente nella VAS. In quest’ottica, Patassini parla di abbandono dell’approccio
matriciale e per indicatori della VAS a favore dell’approccio metabolico o per servizi
ecosistemici (SE). È un ulteriore stimolo che parte da questo volume, che vale la pena
cogliere nella ricerca e nelle pratiche di valutazione.
Spostandosi dal piano teorico a quello
dell’amministrazione reale, la seconda parte del volume si concentra sul ruolo
dell’istituzione regione, a cui sono demandati, come si è detto, in particolare i compiti
della valorizzazione, e di rendere concreta un’azione di conoscenza e condivisione del
patrimonio paesaggistico, attraverso lo strumento di piano, a cui il Codice (agli artt. 135
e 143) affida compiti molto importanti. Qui il contesto regionale preso in considerazione è
quello del Veneto, attraverso numerosi saggi di figure che operano direttamente nella
gestione del sistema di pianificazione: Giovanna Negri, Andrea Ballin, Alberto Miotto,
Giorgio Doria, Ellena Finco, Mauro De Osti, Silvia
¶{p. 20}Felli, Umberto
Trivelloni, Alessandra Amoroso e Andrea Bonato. Il contributo di Giovanna Negri intercetta
sia la «storia» attraverso cui, nel tempo, la Regione del Veneto ha affrontato temi
paesaggistici, sia la natura dei diversi strumenti che sono stati messi in campo per
implementare gli obiettivi di valorizzazione e di tutela, per far crescere una cultura del
paesaggio. Particolare attenzione viene riservata al processo che accompagna la definizione
del piano, come occasione di costruzione ed emersione di un patrimonio di conoscenze sul
paesaggio regionale, sulla pluralità dei valori che esprime; un processo che mette in luce
un vero e proprio giacimento di risorse informative, utili anche a diversi settori delle
politiche regionali. La definizione dell’Atlante ricognitivo degli ambiti di paesaggio, il
Documento per la valorizzazione del paesaggio veneto s’accompagnano alla costruzione di un
quadro di tutele, caratterizzato dalla presenza di 1.143 vincoli (di cui 1.075 dichiarati
dallo Stato tra il 1901 e il 2018 e 68 istituiti dalla Regione del Veneto). I contributi di
Giovanna Negri, Alberto Miotto e Andrea Ballin ci consentono di ricostruire la presenza del
paesaggio negli strumenti di pianificazione, il senso di alcune scelte operate a livello
regionale relativamente al formato del piano (PTRC con valenza paesaggistica/piano
paesaggistico), lo spazio riservato in particolare ai piani di area e le specificità del
processo autorizzativo.
Note
[1] Su cui ci si è soffermati più ampiamente nel corso, benché nel volume non sia riportato un testo specifico di riferimento.