Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/p4
Spostandosi dal piano teorico a quello
dell’amministrazione reale, la seconda parte del volume si concentra sul ruolo
dell’istituzione regione, a cui sono demandati, come si è detto, in particolare i compiti
della valorizzazione, e di rendere concreta un’azione di conoscenza e condivisione del
patrimonio paesaggistico, attraverso lo strumento di piano, a cui il Codice (agli artt. 135
e 143) affida compiti molto importanti. Qui il contesto regionale preso in considerazione è
quello del Veneto, attraverso numerosi saggi di figure che operano direttamente nella
gestione del sistema di pianificazione: Giovanna Negri, Andrea Ballin, Alberto Miotto,
Giorgio Doria, Ellena Finco, Mauro De Osti, Silvia
¶{p. 20}Felli, Umberto
Trivelloni, Alessandra Amoroso e Andrea Bonato. Il contributo di Giovanna Negri intercetta
sia la «storia» attraverso cui, nel tempo, la Regione del Veneto ha affrontato temi
paesaggistici, sia la natura dei diversi strumenti che sono stati messi in campo per
implementare gli obiettivi di valorizzazione e di tutela, per far crescere una cultura del
paesaggio. Particolare attenzione viene riservata al processo che accompagna la definizione
del piano, come occasione di costruzione ed emersione di un patrimonio di conoscenze sul
paesaggio regionale, sulla pluralità dei valori che esprime; un processo che mette in luce
un vero e proprio giacimento di risorse informative, utili anche a diversi settori delle
politiche regionali. La definizione dell’Atlante ricognitivo degli ambiti di paesaggio, il
Documento per la valorizzazione del paesaggio veneto s’accompagnano alla costruzione di un
quadro di tutele, caratterizzato dalla presenza di 1.143 vincoli (di cui 1.075 dichiarati
dallo Stato tra il 1901 e il 2018 e 68 istituiti dalla Regione del Veneto). I contributi di
Giovanna Negri, Alberto Miotto e Andrea Ballin ci consentono di ricostruire la presenza del
paesaggio negli strumenti di pianificazione, il senso di alcune scelte operate a livello
regionale relativamente al formato del piano (PTRC con valenza paesaggistica/piano
paesaggistico), lo spazio riservato in particolare ai piani di area e le specificità del
processo autorizzativo.
L’attività regionale in materia di
tutela e valorizzazione del paesaggio ha trovato negli anni una base importante di
riferimento sia nell’Osservatorio regionale per il paesaggio, su cui si soffermano Giorgio
Doria ed Ellena Finco, sia nella costruzione di una solida base informativa, di cui ci
riferiscono Trivelloni, Amoroso e Bonato. Nella Regione del Veneto l’Osservatorio per il
paesaggio si caratterizza rispetto ad altri contesti regionali per l’attivazione di una rete
di osservatori locali, per un’attività continuativa, che si estende su circa tredici anni,
in collaborazione con le università della regione. Inizialmente alcune esperienze di ricerca
comune sono state fattore di attivazione di processi, un mezzo per mettere insieme persone e
idee sulla tutela e valorizzazione del paesaggio; successivamente la
sottoscri¶{p. 21}zione di alcuni protocolli ha supportato importanti
attività di sensibilizzazione e formazione, che hanno coinvolto attori implicati, in diversa
misura, nella trasformazione del paesaggio. Fra gli obiettivi dell’Osservatorio c’è anche
quello della definizione di una documentazione adeguata sul paesaggio e pertanto è molto
importante il tipo di relazioni che si sono instaurate con il settore regionale che opera
per la costruzione e gestione della cosiddetta Infrastruttura Dati
territoriali. Il contributo di Trivelloni, Amoroso e Bonato ci
illustra le potenzialità di quest’ultima, insieme con quelle di una preziosa
aerofototeca, che contiene una vasta serie di
riprese aeree riferite ad un periodo di circa novant’anni, con 90.000 fotogrammi aerei del
territorio veneto. Un patrimonio informativo estremamente importante per la conoscenza del
paesaggio e delle sue trasformazioni nel tempo, che insieme alla più recente Banca Dati
della copertura del suolo è stato ed è tuttora supporto essenziale per alimentare specifici
livelli informativi del PTRC e del piano paesaggistico, ma anche per i processi di
avvicinamento al paesaggio di diversi attori della società civile, del mondo delle
professioni e della formazione.
Parlando di paesaggio e di beni
paesaggistici l’attenzione spazia dai paesaggi culturali, ai paesaggi degradati, ai paesaggi
naturali/semi-naturali. Anche per questi ultimi, su cui l’azione antropica tende ad essere
meno intensa, esiste un problema di governo secondo i principi della «tutela attiva», di
gestione dell’abbandono di alcune aree e del sovrappopolamento di altre; in tutti questi
casi spesso bisogna cercare di capire «dove la natura si difende da sola e dove è necessario
che l’uomo intervenga». A questo scopo, a livello regionale è molto importante tenere alta
la collaborazione fra il settore a cui è affidata la competenza specifica sul paesaggio e
quello che si occupa di ambiente, di parchi, di biodiversità naturale. La seconda parte del
volume, interpretando questo auspicio, comprende un saggio di Mauro De Osti e Silvia Felli,
che ci offre un quadro articolato della tutela operata nell’ambito della legislazione
nazionale ed europea sulle «aree protette», sottolineando anche il ruolo fondamentale che
viene ad ¶{p. 22}assumere nella salvaguardia della biodiversità
naturalistica. Uno sguardo attento alle competenze e all’estensione delle superfici sotto
tutela, che ci consente di far emergere attori importanti con cui si va ad interfacciare la
pianificazione paesaggistica.
Con la terza ed ultima parte, il volume
offre la possibilità di considerare alcuni ambiti di intervento sul territorio per i quali è
particolarmente importante operare in una visione integrata, sia a livello delle conoscenze
da mettere in condivisione, sia assumendo obiettivi e principi d’intervento comuni.
«Guardare dentro» alcune «buone pratiche» può essere d’aiuto a chi opera in settori diversi;
così come può essere utile «immergersi» nella complessità del paesaggio, esplorare questioni
legate a paesaggi specifici, definibili semi-naturali o decisamente antropici. Il volume
rivolge l’attenzione sia ai cosiddetti paesaggi green, sia ai
paesaggi gray, cercando di contestualizzarli all’interno dei
processi di transizione in atto. Spesso si tratta di beni paesaggistici, così definiti
nell’accezione del Codice, per i quali è evidente la presenza di un rilevante problema di
armonizzazione di competenze nella gestione degli aspetti paesaggistici, insieme a quelli
più spiccatamente settoriali-produttivi. Lo sguardo degli autori che hanno collaborato alla
definizione di questa terza parte spazia dalla dimensione nazionale a quella regionale delle
problematiche affrontate, con specifico riferimento alla realtà veneta.
Fra i cosiddetti paesaggi
green uno spazio di tutto rilievo è occupato dai paesaggi forestali. Come ci
ricorda Gabriele Torelli, i boschi sono considerati a tutti gli effetti beni di valore
paesaggistico, ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. 42/2004, e sono inclusi fra le aree
tutelate per legge. L’autore rileva anche in questo caso un fragile equilibrio tra
competenze nazionali e regionali, tra intenti di protezione e promozione. Se pronunciamenti
della Corte costituzionale hanno ribadito infatti, con chiarezza, che allo Stato spetta il
compito di intervenire sulla «materia boschi» per motivi di tutela ambientale e
paesaggistica e che le regioni devono regolarne gli aspetti economico-produttivi, permangono
criticità interpretative, generate anche da una lettura congiunta del
¶{p. 23}vigente Testo unico forestale. È il caso, ad esempio, delle
disposizioni sulla cosiddetta «trasformazione» del bosco, che può configurare modificazioni
paesaggistiche di rilievo, benché gli ultimi decenni abbiano comunque fatto registrare un
consolidamento del patrimonio forestale di molte regioni italiane. Per il Veneto, il
contributo di Silvia Majer e Isabella Pasutto ci offre un quadro articolato delle tendenze,
in termini dimensionali e di scelte di gestione, confermando un ampliamento della superficie
coperta da bosco. Ci viene ricordato che nella regione, prima che altrove, nasce la
cosiddetta «selvicoltura naturalistica»; l’adozione di un orientamento che assume come
principio imprescindibile la stabilità bioecologica del bosco, condizione fondamentale per
far sì che la foresta continui ad erogare molteplici servizi ecosistemici. L’illustrazione
dei principali obiettivi e delle linee di azione della politica forestale regionale e del
quadro legislativo di supporto ci consentono di ricostruire lo spazio di manovra con cui si
confrontano le istanze di tutela paesaggistica.
Accanto ai paesaggi forestali, molti
paesaggi agrari rientrano fra le realtà tutelate dal Codice e contemporaneamente, come ci
mostra Rita Boccardo, fra i contesti in cui si sovrappongono diversi livelli di decisione.
In particolare, sembra oltremodo necessario uno sforzo di integrazione del paesaggio in un
ambito di grande rilievo, quale è quello della politica agraria e dello sviluppo rurale, ma
anche affinare le forme di tutela e valorizzazione dei paesaggi agrari negli strumenti
urbanistici regionali e comunali, al fine di rilevare ulteriori elementi di valore e
aggiungere qualità ad aree di abbandono e degrado. Nella Regione del Veneto, i primi
documenti che riconoscono al paesaggio agrario il suo valore storico sono riconducibili al
PTRC del 1992 e a quello adottato nel 2009, con più specifici riferimenti nel piano
approvato nel 2020. Nel frattempo diversi riconoscimenti, nazionali e internazionali, quali
l’iscrizione nel Registro nazionale dei paesaggi rurali storici (MiPAAF), nella Lista del
patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e in quella del patrimonio dell’umanità
dell’agricoltura, secondo il programma GIAHS della FAO, hanno fatto emergere diversi esempi
¶{p. 24}in cui è evidente che la tutela sia anche condizione della
valorizzazione di alcuni paesaggi, e in cui si sottolinea con forza la necessità di
considerare unitariamente il costruito e il coltivato, non solo i paesaggi agrari, ma anche
quelli rurali, non solo i beni paesaggistici storico-culturali costruiti, ma anche il loro
«intorno» coltivato.
Fra i paesaggi agrari in cui la mano
dell’uomo ha impresso segni molto estesi ed evidenti uno spazio significativo è occupato dai
paesaggi della bonifica. Su questo specifico aspetto intervengono Luigi De Lucchi, Anna
Fumagalli e Fabio Susan, ripercorrendo il quadro legislativo e le competenze regionali nella
gestione degli interventi di bonifica, evidenziando il ruolo dei consorzi su numerose scelte
che incidono sull’assetto del paesaggio. Luigi De Lucchi ci parla della semplificazione dei
segni prodotti dalla bonifica, carattere che tendenzialmente potrebbe accentuarsi in una
logica spinta di efficienza e di uso di grandi macchinari. D’altra parte scenari futuri più
promettenti sembrano emergere se si guarda ad una possibile attuazione della nuova PAC
all’insegna del green, e in un approccio alla bonifica che riesca a
considerare con maggiore attenzione i molteplici servizi ecosistemici forniti dalle risorse
irrigue. Su quest’ultimo aspetto si soffermano in particolare Anna Fumagalli e Fabio Susan,
che indagano sulle connessioni esistenti tra la pratica irrigua ed i valori peculiari del
paesaggio veneto, riportando i risultati di una ricerca recentemente condotta presso gli
uffici regionali, con il supporto dei consorzi di bonifica. Mettere in luce i SE, fra cui il
disegno del paesaggio, nelle pratiche irrigue apre ad approcci di gestione diversi rispetto
a quelli adottati in passato, che potrebbero essere più attenti all’emergere di
trade-off nella produzione di differenti servizi, alla definizione
di scelte multiobiettivo, all’interno di un ampio sistema. È intanto importante, come
sottolineano gli autori, riconoscere e mappare i SE attraverso il reticolo di competenza dei
consorzi di bonifica, catalogare gli effetti, talvolta inattesi, dell’irrigazione
collettiva. Ancora una volta un appello alla conoscenza e al monitoraggio delle pratiche che
intervengono sul territorio, svelandone le ripercussioni paesaggistiche.
¶{p. 25}
Note