Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c5

L’interconnessione globale dell’economia di Weimar. De-globalizzazione o mutamento della globalizzazione economica?

Notizie Autori
Jan-Otmar Hesse è professore ordinario di Storia economica e sociale, Universität Bayreuth.
Notizie Autori
Elisa Poletto è studentessa magistrale di Storia ed Economia, Universität Bayreuth.
Abstract
Nel tentativo di ricostruire il quadro complessivo delle dinamiche che hanno condotto la Repubblica di Weimar alla crisi economica, e pertanto al suo successivo tracollo, spesso si fa riferimento ad una presunta mancanza di interconnessione economica globale, una “de-globalizzazione“ che sarebbe scaturita dal venir meno dei tradizionali rapporti di scambio tra le nazioni antecedentemente alla prima guerra mondiale. In questo capitolo si tenterà di mostrare come in realtà si debba più propriamente parlare, in riferimento agli anni tra le due guerre, di un semplice mutamento di forma dei rapporti globali stessi, e non di un loro abbandono. Sulla base dell’analisi dei dati sul commercio estero, infatti, si mostrerà come non le nazioni, bensì le singole imprese dei settori bancario, siderurgico e chimico siano state le responsabili della creazione di canali di scambio diversi da quelli del commercio estero.
«L’economia mondiale è interconnessa», così Kurt Tucholsky nel 1931, nel suo famoso articolo sulla «Frankfurter Zeitung», si prese gioco di un’intera disciplina accademica. Presentò l’economia come se fosse basata su tautologie e verità lapalissiane, incapace di contribuire al superamento della crisi economica [1]
. Tuttavia, secondo gli storici dell’economia che si occupano della Repubblica di Weimar l’osservazione di Tucholsky non è corretta dal momento che, in realtà, sarebbero state proprio la mancanza di interconnessione economica globale e la «de-globalizzazione» ad aggravare la situazione economica del Paese. La Prima guerra mondiale non portò solo a perdite territoriali e restrizioni economiche, ma interruppe anche le tradizionali relazioni commerciali della Germania e ridusse la competitività internazionale dell’economia weimariana [2]
. John Maynard Keynes criticò l’espropriazione senza alcuna compensazione delle risorse tedesche all’estero e la confisca della flotta mercantile tedesca, una grave «conseguenza economica della pace» che rese più difficile alla Germania far fronte alle riparazioni di guerra [3]
. Secondo l’opinione prevalente nella let{p. 120}teratura economica, la Prima guerra mondiale fermò la «prima ondata di globalizzazione» e portò a una «de-globalizzazione» che colpì in particolare l’Europa e soprattutto la Gran Bretagna e la Repubblica di Weimar [4]
.
Le statistiche economiche a sostegno di questa tesi sembrano chiare: come si vedrà nel prossimo paragrafo, il commercio estero tedesco nel periodo tra le due guerre non raggiunse più la grande rilevanza che aveva avuto nel 1913. L’economia era in crisi, i governi di Weimar adottavano politiche doganali protezionistiche e mancava valuta estera. Il che, tuttavia, appare in contrasto con le molteplici iniziative economiche tedesche per recuperare rapidamente la competitività internazionale. Secondo un’opinione che si va sempre più affermando, nel periodo tra le due guerre mondiali le relazioni economiche globali presentano caratteristiche contraddittorie [5]
.
Muovendo da questa premessa, nel prossimo paragrafo si sosterrà che parlare di de-globalizzazione economica non rende giustizia alle contraddizioni presenti nell’economia mondiale dopo la Grande Guerra. Integrando i dati sul commercio estero con gli studi sulla storia aziendale, si può dimostrare che alla fine la globalizzazione economica subì un mutamento di forma. Il crescente protezionismo commerciale e i profondi cambiamenti nella produzione in tempo di guerra portarono le imprese a perseguire l’integrazione economica globale attra{p. 121}verso canali diversi dal commercio estero [6]
. Questa tesi sarà argomentata su più livelli. Dopo la presentazione dei dati sul commercio estero, una breve considerazione sui limiti delle statistiche del commercio estero, che non sono in grado di far emergere aspetti importanti dell’interconnessione economica globale, evidenzierà che queste non dovrebbero essere usate come unico metodo di valutazione dei processi di de-globalizzazione. L’interconnessione economica globale non si basa mai esclusivamente sugli scambi tra Stati nazionali ma anche sulle imprese tra loro connesse attraverso catene globali del valore. Nella seconda sezione, pertanto, l’analisi si concentrerà sulle imprese, con particolare riferimento al settore bancario, l’industria della lavorazione del ferro e l’industria chimica. Gli studi dei singoli casi indicano che sebbene l’interconnessione globale dell’economia tedesca negli anni Venti fosse rilevante, ciò non emergeva nelle statistiche del commercio estero.

1. Documentazione statistica della de-globalizzazione dell’economia tedesca

I dati evidenziano che la Prima guerra mondiale interruppe il commercio globale con gravi conseguenze sulla ripresa economica nel periodo tra le due guerre. Il che può essere bene illustrato quantificando i volumi del commercio globale rispetto alla produzione: mentre la produzione industriale mondiale nel 1926-1930 aumentò in media rispetto all’anteguerra del 41% e la popolazione mondiale dell’11%, il commercio mondiale crebbe solo del 23% (materie prime) e del 13% (manufatti) [7]
. {p. 122}Questa tendenza caratterizzò soprattutto l’Europa, mentre per quanto attiene alla Repubblica di Weimar negli anni Venti si registrarono livelli di produzione uguali e perfino superiori a quelli raggiunti prima della guerra. Quanto all’export nel biennio 1928-1929 (tab. 1), le esportazioni di prodotti alimentari corrispondevano alla metà di quelle registrate nel 1913 [8]
, mentre solo per i prodotti metallici, dell’ingegneria meccanica e per i prodotti chimici finiti venne superato il volume prebellico.
Tab. 1. Indici dei volumi di esportazione, 1924-1933 in percentuale dei valori del 1913
anno
alimentari
materie prime
semi-lavorati
di cui:
prodotti finiti
di cui:
ferro/semilavorati
macchinari
prodotti chimici
1924
36,2
26,6
35,1
24,0
62,8
60,5
45,1
1925
42,0
63,9
59,6
51,4
74,1
78,4
68,7
1926
42,2
80,6
83,1
80,9
79,2
86,4
79,2
1927
31,0
76,0
77,5
66,1
86,4
91,2
86,8
1928
45,2
79,6
88,1
74,2
94,1
110,1
97,4
1929
55,6
90,3
101,2
86,2
106,7
129,6
108,9
1930
52,0
86,0
86,7
68,1
103,1
134,4
95,9
1931
45,7
79,6
75,5
61,3
92,5
117,7
86,8
1932
25,7
58,9
52,3
36,0
61,2
77,4
67,3
1933
24,7
58,8
47,4
32,7
55,2
59,6
61,2
 
 
 
 
 
 
 
 
Gli indici dei volumi di esportazione sono calcolati dividendo le esportazioni per i loro prezzi. Il calcolo presenta numerosi problemi: non viene fatta alcuna correzione per i cambiamenti territoriali rispetto al periodo prebellico. Inoltre, i valori del commercio estero prima del 1928 sono basati su stime di esperti non specificate più dettagliatamente.
Fonte: W.G. Hoffmann, Das Wachstum der Deutschen Wirtschaft seit der Mitte des 19. Jahr- hunderts, Berlin, Springer, 1965, tab. 129, p. 531 e tab. 130, p. 534, così come le spiegazioni pp. 532 e 535.
Un’analisi comparativa dei volumi di produzione e del commercio, tuttavia, non porta necessariamente a concludere che si verificò una de-globalizzazione economica generalizzata, anche {p. 123}perché il commercio globale era in realtà cresciuto rispetto al periodo prebellico.
Per meglio cogliere l’interconnessione dell’economia tedesca con l’economia globale sono quindi preferibili strumenti di misurazione come l’indice di esportazione che mette in relazione il reddito generato dalle esportazioni con il PIL. Nel 1928 la quota di export della Germania era poco meno del 15%, ovvero si collocava sullo stesso livello del 1910. In questo caso pertanto non si può parlare di de-globalizzazione [9]
. Lo sviluppo delle esportazioni tedesche ebbe luogo in particolare durante la stabilizzazione economica seguita alla riforma monetaria. Alla vigilia della Grande Depressione le esportazioni di molte merci, tra cui i manufatti, raggiunsero nuovamente i livelli prebellici (tab. 2). Negli anni Venti l’industria esportatrice tedesca beneficiò dell’aumento dei prezzi sul mercato mondiale dei beni d’esportazione prodotti nel Reich, mentre i prezzi dei beni d’importazione necessari per produrli ristagnavano o diminuivano [10]
. Nel 1925, il valore delle esportazioni tedesche pro capite superava quello toccato nel 1910 [11]
.
In definitiva il problema del commercio estero tedesco non era dato dalle esportazioni, ma dalla forte domanda di beni non nazionali che richiedeva costantemente valuta estera. L’economia pertanto risultava vulnerabile ai cicli del mercato finanziario internazionale e nei primi anni Trenta cadde in una grave crisi.
Per misurare le interconnessioni commerciali di un’economia sul piano internazionale, gli studi più recenti in materia economica fanno anche riferimento al suo ‘grado di apertura’,
{p. 124}vale a dire l’indice dato dal rapporto tra la somma delle esportazioni e delle importazioni e il PIL. Ad esempio, il grado di apertura della Gran Bretagna scese dal 30% al 20% all’inizio della Grande Depressione. La spinta più grande alla de-globalizzazione venne dalla Grande Depressione e non fu un effetto della Prima guerra mondiale. Sia il grado di apertura che le quote di export diminuirono marcatamente in tutti i Paesi del mondo che adottarono politiche sempre più protezionistiche. Anche la Repubblica di Weimar imboccò la via del protezionismo ma lo fece in maniera evidente solo durante la Grande Depressione [12]
.
Note
[1] K. Tucholsky, Kurzer Abriß der Nationalökonomie, in K. Tucholsky, Gesamtasugabe, a cura di S. Becker, XIV: Texte 1931, Reinbek, Rowohlt, 1998, pp. 395-398.
[2] H. Knortz, Wirtschaftsgeschichte der Weimarer Republik. Eine Einführung in Ökonomie und Gesellschaft der ersten deutschen Demokratie, Stuttgart, Vandenhoeck & Ruprecht, 2010, pp. 26 s.
[3] J.M. Keynes, Die wirtschaftlichen Folgen des Friedensvertrages, München - Leipzig, Duncker & Humblot, 1920.
[4] Cfr. G. Hardach, Der Erste Weltkrieg 1914-1918, Frankfurt a.M., dtv, 1973, p. 266, lo descrive come «decentramento dell’economia globale». Dalla letteratura anglo-americana più recente: J. Frieden, Global Capitalism. Its Fall and Rise in the 20th Century, New York, W.W. Norton, 2006, pp. 129-134 e R. Findlay - K.H. O’Rourke, Power and Plenty. Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium, Princeton NJ - Oxford, Princeton University Press, 20096, pp. 429-472; R. Boyce, The Great Interwar Crisis and the Collapse of Globalization, New York, Palgrave Macmillan, 2009.
[5] C. Wrigley, The War and the International Economy, in C. Wrigley (ed), The First World War and the International Economy, Cheltenham, Edward Elgar, 2001, pp. 1-34; R. Findlay - K.H. O’Rourke, Power and Plenty, pp. 443-455; A. Tooze, Deluge. The Great War and the Remaking of Global Order, 1916-1931, London, Penguin, 2015, p. 519; B. Barth, Europa nach dem Großen Krieg. Die Krise der Demokratie in der Zwischenkriegszeit, 1918-1938, Frankfurt a.M., Campus, 2016, p. 108.
[6] Il concetto di mutamento di forma è stato recentemente utilizzato da: A. Smith - S. Mollan - K.D. Tennent, Introduction, in A. Smith - S. Mollan - K.D. Tennent (edd), The Impact of the First World War on International Business, New York, Routledge, 2017, pp. 1-21; si veda anche G. Jones, Multinationals and Global Capitalism: From the Nineteenth to the Twenty-First Century, New York, Oxford University Press, 2005; C. Dejung - N.P. Petersson, Introduction, in C. Dejung - N.P. Petersson (edd), The Foundations of Worldwide Economic Integration. Power, Institutions and Global Markets, 1850-1930, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, pp. 1-17.
[7] V. Schröter, Die deutsche Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1984, p. 516.
[8] D. Petzina - W. Abelshauser, Zum Problem der relativen Stagnation der deutschen Wirtschaft in den zwanziger Jahren, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung in der Weimarer Republik, I/2, Düsseldorf, Athenäum, 1977, pp. 57-76.
[9] A. Maddison, The World Economy. A Millennial Perspective, Paris, OECD, 2006, p. 127; per la Germania: M. Lampe - N. Wolf, Binnenhandel und Außenhandel, in T. Rahlf (ed), Deutschland in Daten. Zeitreihen zur Historischen Statistik, Bonn, De Gruyter Oldenbourg, 2015, pp. 276-291.
[10] V. Schröter, Die deutsche Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, p. 519; W. Fischer, Die Weimarer Republik unter den weltwirtschaftlichen Bedingungen der Zwischenkriegszeit, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung, pp. 26-54.
[11] M. Lampe - N. Wolf, Binnenhandel und Außenhandel, p. 282.
[12] D. Stegmann, Deutsche Zoll- und Handelspolitik 1924/25-1929 unter besonderer Berücksichtigung agrarischer und industrieller Interessen, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung, pp. 499-513.