La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c5
L’interconnessione globale dell’economia di Weimar. De-globalizzazione o mutamento della globalizzazione economica?
Notizie Autori
Jan-Otmar Hesse è professore ordinario di Storia economica e sociale, Universität
Bayreuth.
Notizie Autori
Elisa Poletto è studentessa magistrale di Storia ed Economia, Universität
Bayreuth.
Abstract
Nel tentativo di ricostruire il quadro complessivo delle dinamiche che hanno
condotto la Repubblica di Weimar alla crisi economica, e pertanto al suo successivo
tracollo, spesso si fa riferimento ad una presunta mancanza di interconnessione
economica globale, una “de-globalizzazione“ che sarebbe scaturita dal venir meno dei
tradizionali rapporti di scambio tra le nazioni antecedentemente alla prima guerra
mondiale. In questo capitolo si tenterà di mostrare come in realtà si debba più
propriamente parlare, in riferimento agli anni tra le due guerre, di un semplice
mutamento di forma dei rapporti globali stessi, e non di un loro abbandono. Sulla
base dell’analisi dei dati sul commercio estero, infatti, si mostrerà come non le
nazioni, bensì le singole imprese dei settori bancario, siderurgico e chimico siano
state le responsabili della creazione di canali di scambio diversi da quelli del
commercio estero.
«L’economia mondiale è interconnessa»,
così Kurt Tucholsky nel 1931, nel suo famoso articolo sulla «Frankfurter Zeitung», si prese
gioco di un’intera disciplina accademica. Presentò l’economia come se fosse basata su
tautologie e verità lapalissiane, incapace di contribuire al superamento della crisi economica
[1]
. Tuttavia, secondo gli storici dell’economia che si occupano della Repubblica di
Weimar l’osservazione di Tucholsky non è corretta dal momento che, in realtà, sarebbero
state proprio la mancanza di interconnessione economica globale e la «de-globalizzazione» ad
aggravare la situazione economica del Paese. La Prima guerra mondiale non portò solo a
perdite territoriali e restrizioni economiche, ma interruppe anche le tradizionali relazioni
commerciali della Germania e ridusse la competitività internazionale dell’economia weimariana
[2]
. John Maynard Keynes criticò l’espropriazione senza alcuna compensazione delle
risorse tedesche all’estero e la confisca della flotta mercantile tedesca, una grave
«conseguenza economica della pace» che rese più difficile alla Germania far fronte alle
riparazioni di guerra
[3]
. Secondo l’opinione prevalente nella let¶{p. 120}teratura
economica, la Prima guerra mondiale fermò la «prima ondata di globalizzazione» e portò a una
«de-globalizzazione» che colpì in particolare l’Europa e soprattutto la Gran Bretagna e la
Repubblica di Weimar
[4]
.
Le statistiche economiche a sostegno di
questa tesi sembrano chiare: come si vedrà nel prossimo paragrafo, il commercio estero
tedesco nel periodo tra le due guerre non raggiunse più la grande rilevanza che aveva avuto
nel 1913. L’economia era in crisi, i governi di Weimar adottavano politiche doganali
protezionistiche e mancava valuta estera. Il che, tuttavia, appare in contrasto con le
molteplici iniziative economiche tedesche per recuperare rapidamente la competitività
internazionale. Secondo un’opinione che si va sempre più affermando, nel periodo tra le due
guerre mondiali le relazioni economiche globali presentano caratteristiche contraddittorie
[5]
.
Muovendo da questa premessa, nel
prossimo paragrafo si sosterrà che parlare di de-globalizzazione economica non rende
giustizia alle contraddizioni presenti nell’economia mondiale dopo la Grande Guerra.
Integrando i dati sul commercio estero con gli studi sulla storia aziendale, si può
dimostrare che alla fine la globalizzazione economica subì un mutamento di forma. Il
crescente protezionismo commerciale e i profondi cambiamenti nella produzione in tempo di
guerra portarono le imprese a perseguire l’integrazione economica globale
attra¶{p. 121}verso canali diversi dal commercio estero
[6]
. Questa tesi sarà argomentata su più livelli. Dopo la presentazione dei dati sul
commercio estero, una breve considerazione sui limiti delle statistiche del commercio
estero, che non sono in grado di far emergere aspetti importanti dell’interconnessione
economica globale, evidenzierà che queste non dovrebbero essere usate come unico metodo di
valutazione dei processi di de-globalizzazione. L’interconnessione economica globale non si
basa mai esclusivamente sugli scambi tra Stati nazionali ma anche sulle imprese tra loro
connesse attraverso catene globali del valore. Nella seconda sezione, pertanto, l’analisi si
concentrerà sulle imprese, con particolare riferimento al settore bancario, l’industria
della lavorazione del ferro e l’industria chimica. Gli studi dei singoli casi indicano che
sebbene l’interconnessione globale dell’economia tedesca negli anni Venti fosse rilevante,
ciò non emergeva nelle statistiche del commercio estero.
1. Documentazione statistica della de-globalizzazione dell’economia tedesca
I dati evidenziano che la Prima
guerra mondiale interruppe il commercio globale con gravi conseguenze sulla ripresa
economica nel periodo tra le due guerre. Il che può essere bene illustrato quantificando
i volumi del commercio globale rispetto alla produzione: mentre la produzione
industriale mondiale nel 1926-1930 aumentò in media rispetto all’anteguerra del 41% e la
popolazione mondiale dell’11%, il commercio mondiale crebbe solo del 23% (materie prime)
e del 13% (manufatti)
[7]
. ¶{p. 122}Questa tendenza caratterizzò soprattutto l’Europa,
mentre per quanto attiene alla Repubblica di Weimar negli anni Venti si registrarono
livelli di produzione uguali e perfino superiori a quelli raggiunti prima della guerra.
Quanto all’export nel biennio 1928-1929 (tab. 1), le esportazioni di prodotti alimentari
corrispondevano alla metà di quelle registrate nel 1913
[8]
, mentre solo per i prodotti metallici, dell’ingegneria meccanica e per i
prodotti chimici finiti venne superato il volume prebellico.
anno |
alimentari |
materie
prime |
semi-lavorati |
di cui: |
prodotti
finiti |
di cui: |
|
ferro/semilavorati |
macchinari |
prodotti
chimici |
|||||
1924 |
36,2 |
26,6 |
35,1 |
24,0 |
62,8 |
60,5 |
45,1 |
1925 |
42,0 |
63,9 |
59,6 |
51,4 |
74,1 |
78,4 |
68,7 |
1926 |
42,2 |
80,6 |
83,1 |
80,9 |
79,2 |
86,4 |
79,2 |
1927 |
31,0 |
76,0 |
77,5 |
66,1 |
86,4 |
91,2 |
86,8 |
1928 |
45,2 |
79,6 |
88,1 |
74,2 |
94,1 |
110,1 |
97,4 |
1929 |
55,6 |
90,3 |
101,2 |
86,2 |
106,7 |
129,6 |
108,9 |
1930 |
52,0 |
86,0 |
86,7 |
68,1 |
103,1 |
134,4 |
95,9 |
1931 |
45,7 |
79,6 |
75,5 |
61,3 |
92,5 |
117,7 |
86,8 |
1932 |
25,7 |
58,9 |
52,3 |
36,0 |
61,2 |
77,4 |
67,3 |
1933 |
24,7 |
58,8 |
47,4 |
32,7 |
55,2 |
59,6 |
61,2 |
Gli indici dei volumi
di esportazione sono calcolati dividendo le esportazioni per i loro prezzi.
Il calcolo presenta numerosi problemi: non viene fatta alcuna correzione per
i cambiamenti territoriali rispetto al periodo prebellico. Inoltre, i valori
del commercio estero prima del 1928 sono basati su stime di esperti non
specificate più dettagliatamente. | |||||||
Fonte: W.G. Hoffmann, Das Wachstum der
Deutschen Wirtschaft seit der Mitte des 19. Jahr- hunderts,
Berlin, Springer, 1965, tab. 129, p. 531 e tab. 130, p. 534, così come le
spiegazioni pp. 532 e 535. |
Un’analisi comparativa dei volumi
di produzione e del commercio, tuttavia, non porta necessariamente a concludere che si
verificò una de-globalizzazione economica generalizzata, anche
¶{p. 123}perché il commercio globale era in realtà cresciuto rispetto al
periodo prebellico.
Per meglio cogliere
l’interconnessione dell’economia tedesca con l’economia globale sono quindi preferibili
strumenti di misurazione come l’indice di esportazione che mette in relazione il reddito
generato dalle esportazioni con il PIL. Nel 1928 la quota di export della Germania era
poco meno del 15%, ovvero si collocava sullo stesso livello del 1910. In questo caso
pertanto non si può parlare di de-globalizzazione
[9]
. Lo sviluppo delle esportazioni tedesche ebbe luogo in particolare durante
la stabilizzazione economica seguita alla riforma monetaria. Alla vigilia della Grande
Depressione le esportazioni di molte merci, tra cui i manufatti, raggiunsero nuovamente
i livelli prebellici (tab. 2). Negli anni Venti l’industria esportatrice tedesca
beneficiò dell’aumento dei prezzi sul mercato mondiale dei beni d’esportazione prodotti
nel Reich, mentre i prezzi dei beni d’importazione necessari per produrli ristagnavano o diminuivano
[10]
. Nel 1925, il valore delle esportazioni tedesche pro capite superava quello
toccato nel 1910
[11]
.
In definitiva il problema del
commercio estero tedesco non era dato dalle esportazioni, ma dalla forte domanda di beni
non nazionali che richiedeva costantemente valuta estera. L’economia pertanto risultava
vulnerabile ai cicli del mercato finanziario internazionale e nei primi anni Trenta
cadde in una grave crisi.
Per misurare le interconnessioni
commerciali di un’economia sul piano internazionale, gli studi più recenti in materia
economica fanno anche riferimento al suo ‘grado di apertura’,
¶{p. 124}vale a dire l’indice dato dal rapporto tra la somma delle
esportazioni e delle importazioni e il PIL. Ad esempio, il grado di apertura della Gran
Bretagna scese dal 30% al 20% all’inizio della Grande Depressione. La spinta più grande
alla de-globalizzazione venne dalla Grande Depressione e non fu un effetto della Prima
guerra mondiale. Sia il grado di apertura che le quote di export diminuirono
marcatamente in tutti i Paesi del mondo che adottarono politiche sempre più
protezionistiche. Anche la Repubblica di Weimar imboccò la via del protezionismo ma lo
fece in maniera evidente solo durante la Grande Depressione
[12]
.
Note
[1] K. Tucholsky, Kurzer Abriß der Nationalökonomie, in K. Tucholsky, Gesamtasugabe, a cura di S. Becker, XIV: Texte 1931, Reinbek, Rowohlt, 1998, pp. 395-398.
[2] H. Knortz, Wirtschaftsgeschichte der Weimarer Republik. Eine Einführung in Ökonomie und Gesellschaft der ersten deutschen Demokratie, Stuttgart, Vandenhoeck & Ruprecht, 2010, pp. 26 s.
[3] J.M. Keynes, Die wirtschaftlichen Folgen des Friedensvertrages, München - Leipzig, Duncker & Humblot, 1920.
[4] Cfr. G. Hardach, Der Erste Weltkrieg 1914-1918, Frankfurt a.M., dtv, 1973, p. 266, lo descrive come «decentramento dell’economia globale». Dalla letteratura anglo-americana più recente: J. Frieden, Global Capitalism. Its Fall and Rise in the 20th Century, New York, W.W. Norton, 2006, pp. 129-134 e R. Findlay - K.H. O’Rourke, Power and Plenty. Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium, Princeton NJ - Oxford, Princeton University Press, 20096, pp. 429-472; R. Boyce, The Great Interwar Crisis and the Collapse of Globalization, New York, Palgrave Macmillan, 2009.
[5] C. Wrigley, The War and the International Economy, in C. Wrigley (ed), The First World War and the International Economy, Cheltenham, Edward Elgar, 2001, pp. 1-34; R. Findlay - K.H. O’Rourke, Power and Plenty, pp. 443-455; A. Tooze, Deluge. The Great War and the Remaking of Global Order, 1916-1931, London, Penguin, 2015, p. 519; B. Barth, Europa nach dem Großen Krieg. Die Krise der Demokratie in der Zwischenkriegszeit, 1918-1938, Frankfurt a.M., Campus, 2016, p. 108.
[6] Il concetto di mutamento di forma è stato recentemente utilizzato da: A. Smith - S. Mollan - K.D. Tennent, Introduction, in A. Smith - S. Mollan - K.D. Tennent (edd), The Impact of the First World War on International Business, New York, Routledge, 2017, pp. 1-21; si veda anche G. Jones, Multinationals and Global Capitalism: From the Nineteenth to the Twenty-First Century, New York, Oxford University Press, 2005; C. Dejung - N.P. Petersson, Introduction, in C. Dejung - N.P. Petersson (edd), The Foundations of Worldwide Economic Integration. Power, Institutions and Global Markets, 1850-1930, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, pp. 1-17.
[7] V. Schröter, Die deutsche Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1984, p. 516.
[8] D. Petzina - W. Abelshauser, Zum Problem der relativen Stagnation der deutschen Wirtschaft in den zwanziger Jahren, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung in der Weimarer Republik, I/2, Düsseldorf, Athenäum, 1977, pp. 57-76.
[9] A. Maddison, The World Economy. A Millennial Perspective, Paris, OECD, 2006, p. 127; per la Germania: M. Lampe - N. Wolf, Binnenhandel und Außenhandel, in T. Rahlf (ed), Deutschland in Daten. Zeitreihen zur Historischen Statistik, Bonn, De Gruyter Oldenbourg, 2015, pp. 276-291.
[10] V. Schröter, Die deutsche Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, p. 519; W. Fischer, Die Weimarer Republik unter den weltwirtschaftlichen Bedingungen der Zwischenkriegszeit, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung, pp. 26-54.
[12] D. Stegmann, Deutsche Zoll- und Handelspolitik 1924/25-1929 unter besonderer Berücksichtigung agrarischer und industrieller Interessen, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung, pp. 499-513.