La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c5
Per misurare le interconnessioni
commerciali di un’economia sul piano internazionale, gli studi più recenti in materia
economica fanno anche riferimento al suo ‘grado di apertura’,
¶{p. 124}vale a dire l’indice dato dal rapporto tra la somma delle
esportazioni e delle importazioni e il PIL. Ad esempio, il grado di apertura della Gran
Bretagna scese dal 30% al 20% all’inizio della Grande Depressione. La spinta più grande
alla de-globalizzazione venne dalla Grande Depressione e non fu un effetto della Prima
guerra mondiale. Sia il grado di apertura che le quote di export diminuirono
marcatamente in tutti i Paesi del mondo che adottarono politiche sempre più
protezionistiche. Anche la Repubblica di Weimar imboccò la via del protezionismo ma lo
fece in maniera evidente solo durante la Grande Depressione
[12]
.
anno |
Germania |
Gran
Bretagna |
Francia |
USA |
1913 |
22,9 |
26,7 |
11,3 |
10,8 |
1925 |
14,8 |
25,3 |
13,0 |
15,1 |
1926 |
16,3 |
23,3 |
11,6 |
16,4 |
1927 |
16,5 |
22,7 |
11,4 |
16,4 |
1928 |
17,3 |
21,8 |
10,5 |
17,2 |
1929 |
18,6 |
20,6 |
9,8 |
18,3 |
1930 |
19,8 |
19,4 |
10,2 |
15,4 |
1931 |
22,5 |
17,1 |
10,5 |
13,3 |
1932 |
21,6 |
19,4 |
10,6 |
11,1 |
1933 |
20,2 |
20,8 |
10,8 |
10,3 |
1934 |
17,7 |
20,5 |
10,3 |
11,8 |
1935 |
18,5 |
20,9 |
8,5 |
13,2 |
Fonte: V. Schröter, Die deutsche
Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, p. 519. |
Misurare il volume dell’export e
il grado di apertura risulta problematico perché il loro livello dipende principalmente
dalla dimensione del mercato interno. Le difficoltà di valutazione aumentano
notevolmente soprattutto per i periodi, come ¶{p. 125}quello preso in
esame, caratterizzati da molti cambiamenti territoriali. Di conseguenza gli economisti e
gli storici dell’economia hanno cercato indicatori più affidabili. Una misura importante
in questo contesto fa riferimento alla differenza dei prezzi pagati per beni omogenei in
luoghi diversi. Secondo l’idea di base della teoria del commercio estero, se il
commercio globale funziona in modo efficiente e non è soggetto a limitazioni, in tutto
il mondo dovrebbero essere pagati gli stessi prezzi per beni identici dopo aver dedotto
i costi per il trasporto. Si può dimostrare che i differenziali di prezzo per molti beni
aumentarono nel periodo tra le due guerre, e in particolare durante gli anni
inflazionistici dopo la guerra e negli anni Trenta. Alla fine degli anni Venti,
tuttavia, il livello di integrazione dei prezzi di mercato era appena inferiore a quello
degli ultimi anni prebellici. La maggiore spinta alla dis-integrazione venne pertanto
dalla Grande Depressione
[13]
. Tuttavia i dati raccolti dal team di Kevin O’Rourke riguardano
essenzialmente le relazioni commerciali inglesi mentre non sono ancora stati effettuati
studi simili relativamente al commercio tedesco
[14]
. Un limite di questa misura è dato anche dal fatto che la si può usare solo
per i beni omogenei, ma non per i manufatti, che nel contesto dell’economia tedesca
hanno un peso molto più rilevante.
Un argomento importante a sostegno
della tesi della de-globalizzazione è costituito, infine, dalle politiche commerciali
dei principali Paesi del mondo che mostravano già tendenze protezionistiche negli anni
Venti. Nel 1925 l’aliquota media ponderata relativa al commercio della Repubblica di
Weimar era del 15%, dunque alta per gli standard internazionali, anche se rispetto al
1913 l’aumento era di tre soli punti percentuali
[15]
. ¶{p. 126}Gli Stati Uniti avevano già avviato prima della
Grande Guerra una politica economica protezionistica con tariffe elevate e restrizioni
commerciali, ma sarebbe fuorviante considerare questa l’unica causa del crollo del
commercio mondiale durante la Grande Depressione. La tariffa Smoot-Hawley del 1930 non
rappresentò un serio aumento delle barriere tariffarie rispetto agli anni Venti. Le
tariffe si inasprirono soprattutto a causa del calo dei prezzi. Si può dimostrare,
inoltre, che la recessione non accelerò fino alla crisi valutaria del 1931, sicché il
protezionismo fu una reazione al dumping valutario e non alla
politica commerciale americana
[16]
.
Tuttavia, dopo la guerra anche le
nazioni favorevoli al libero scambio inasprirono le loro politiche tariffarie. In Gran
Bretagna la conversione al protezionismo avvenne con l’Imperial
Preference in occasione della Conferenza di Ottawa (1932) che creò un
blocco commerciale e monetario britannico
[17]
. Nella Repubblica di Weimar il cambiamento fu meno drastico. Dopo la
ritrovata sovranità economica (1925), infatti, venne emanata una tariffa che era
inferiore alla ‘tariffa Bülow’ del 1902. Le posizioni protezionistiche divennero sempre
più prevalenti dopo il 1928 in seguito alla crescente crisi economica e istituzionale.
L’introduzione dei controlli sui cambi nel luglio 1931 aggiunse uno strumento di
politica monetaria che venne usato con finalità protezionistiche al più tardi a partire
dal 1932
[18]
.¶{p. 127}
L’osservazione integrata dei dati
statistici a livello macro evidenzia un quadro relativamente chiaro con riguardo
all’interconnessione globale dell’economia tedesca. Secondo la letteratura in materia
meno recente
[19]
, il protezionismo agricolo postbellico dei Paesi industriali europei
contribuì notevolmente alla dis-integrazione economica globale. Sul piano internazionale
questo cambiamento non si tradusse in un crollo del commercio, ma al massimo favorì uno
spostamento dei flussi commerciali dall’Europa, un «decentramento economico mondiale»
(Gerd Hardach). La Gran Bretagna fu la prima ad essere toccata dal cambiamento che poi
avrebbe coinvolto altre potenze europee, inclusa la Repubblica di Weimar. Tuttavia in
altre parti del mondo, come in Sud America e in Asia, gli anni Venti rappresentarono un
vero e proprio periodo d’oro per il commercio mondiale
[20]
, che era basato su relazioni commerciali multilaterali secondo la clausola
della nazione più favorita e collegava i Paesi esportatori periferici di materie prime
con gli esportatori europei di manufatti
[21]
. Fu solo con la Grande Depressione che le tendenze alla dis-integrazione
sfociarono in una vera e propria de-globalizzazione con caratteristiche diverse nelle
differenti regioni e aree monetarie del mondo
[22]
.
Dopo la Prima guerra mondiale
l’integrazione dell’economia tedesca su scala globale si svolse in condizioni
sfavorevoli e le imprese che operavano a livello internazionale dovettero cercare nuove
modalità oltre al commercio estero convenzionale. Su ¶{p. 128}questo
mutamento nella forma dell’interconnessione globale ci soffermeremo nelle sezioni
seguenti.
2. La logica nazionale delle statistiche del commercio estero e le catene globali del valore
È noto che la contabilità
nazionale, i dati del commercio estero e le bilance dei pagamenti sono strumenti
statistici quanto mai problematici. Solo dopo la Seconda guerra mondiale la contabilità
nazionale diventò affidabile e standardizzata a livello internazionale
[23]
. I cambiamenti territoriali, come quelli a seguito della guerra,
rappresentano un problema per la contabilità nazionale perché considerano commercio
estero le relazioni commerciali che in precedenza avevano una dimensione nazionale:
problema che potrebbe essere aggirato calcolando le «esportazioni pro capite», ma un
metodo di questo tipo può al massimo portare a risultati molto approssimativi. Un altro
problema è che le bilance dei pagamenti registrano flussi di pagamenti e non flussi di
merci. Una diminuzione dei prezzi del mercato mondiale delle merci tedesche
d’esportazione rispetto a quelli del mercato interno, ad esempio, determina un calo
delle esportazioni nella bilancia dei pagamenti anche se il volume degli scambi ‘fisici’
del mercato mondiale potrebbe non risultarne modificato. Se per interconnessione del
mercato mondiale si intende un processo che riguarda lo scambio di persone e il
commercio ‘fisico’ di beni, essa risulta pertanto rappresentata in modo incompleto dalla
bilancia dei pagamenti che registra solo transazioni monetarie filtrate dai movimenti
dei prezzi.
Una analoga influenza viene
esercitata dal valore delle valute: quando il valore estero del
Reichsmark aumentò del 30% come risultato della svalutazione
della sterlina nel settembre 1931, i prodotti tedeschi nell’area della sterlina
divennero più costosi
¶{p. 129}e gli esportatori dovettero abbassare i
loro prezzi di vendita nella stessa misura per mantenere inalterato l’ammontare delle
vendite. In un certo senso era questo lo sfondo monetario della «politica
deflazionistica» di Brüning. Al contrario, la perdita di valore della moneta negli anni
della grande inflazione postbellica favorì un vero e proprio boom delle esportazioni e
degli investimenti interni
[24]
.
Note
[12] D. Stegmann, Deutsche Zoll- und Handelspolitik 1924/25-1929 unter besonderer Berücksichtigung agrarischer und industrieller Interessen, in H. Mommsen - D. Petzina - B. Weisbrod (edd), Industrielles System und politische Entwicklung, pp. 499-513.
[14] Ibidem, su Berlino forniscono alcuni dati per gli anni 1927-1929 e 1930-1932 in un’appendice online del seguente articolo: W. Hynes - D.S. Jacks - K. O’Rourke, Commodity Market Disintegration in the Interwar Period, in «European Review of Economic History», 16, 2012, pp. 119-143. Ringraziamo Markus Lampe (Vienna) per il consiglio.
[15] Dati da: D.A. Irwin, The GATT’s Contribution to Economic Recovery in Post-War Western Europe, in B. Eichengreen (ed), Europe’s Post-War Recovery, Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 127-150. La «tariffa media ponderata» si ottiene dividendo il totale delle entrate doganali per la somma dei valori delle importazioni.
[16] B. Eichengreen - D.A. Irwin, Trade Blocs, Currency Blocs and the Reorientation of World Trade in the 1930s, in «Journal of International Economics», 38, 1995, pp. 1-24; D.A. Irwin, Clashing Over Commerce. A History of US Trade Policy, Chicago IL - London, University of Chicago Press, 2017, pp. 439-441.
[17] A. de Bromhead - A. Fernihough - M. Lampe - K. O’Rourke, When Britain Turned Inward: The Impact of Interwar British Protection, in «American Economic Review», 109, 2019, 2.
[18] J. Bellers, Außenwirtschaftspolitik und politisches System. Historisch-komparatistische Studien zur Weimarer Republik und zur Bundesrepublik Deutschland im Vergleich mit anderen Industrie- und Entwicklungsländern, in «Geschichte und Gesellschaft», 23, 1997, pp. 241-245; D. Stegmann, Deutsche Zoll- und Handelspolitik 1924/25-1929, pp. 499-513.
[19] Si veda l’eccellente lavoro di V. Schröter, Die deutsche Industrie auf dem Weltmarkt 1929-1933, qui p. 32.
[20] Si veda pars pro toto: V. Bulmer-Thomas, The Economic History of Latin America Since Independence, New York, Cambridge University Press, 1995, pp. 155-193; R. Hartmann, Geschichte des modernen Japan. Von Meiji bis Heisei, Berlin, Akademie, 1996, pp. 122-165.
[22] B. Eichengreen - D.A. Irwin, The Slide to Protectionism in the Great Depression: Who Succumbed and Why?, in «The Journal of Economic History», 70, 2010, pp. 871-897.
[23] D. Speich Chassé, Die Erfindung des Bruttosozialprodukts. Globale Ungleich- heit in der Wissensgeschichte der Ökonomie, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2013, pp. 80-112.
[24] Si veda, per gli anni dell’inflazione, C.-L. Holtfrerich, Aus dem Alltag des Reichswirtschaftsministeriums während der Großen Inflation 1919-1923/24, in C.-L. Holtfrerich (ed), Das Reichswirtschaftsministerium der Weimarer Republik und seine Vorläufer, Berlin - Boston, De Gruyter, 2016, pp. 237 s.; per la politica deflazionistica: H. James, Das Reichswirtschaftsministerium und die Außenwirtschaftspolitik: «Wir deutschen Pleitokraten, wir sitzen und beraten», ibidem, pp. 569-571. Sulla discussione circa il margine d’azione di Brüning si veda anche R. Köster, Keine Zwangslagen? Anmerkungen zu einer neuen Debatte über die deutsche Wirtschaftspolitik in der Großen Depression, in «Vierteljahrsschrift für Zeitgeschichte», 63, 2015, pp. 241-257.