Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c2
Quella sera, invece, nel ridiscendere le scale al fianco del lettore Giovanni Battista Gomez, si limitò a bisbigliare: Mirabilis Deus in sanctis suis, pescando un passo dai Sal
mi
(67, 36) [86]
. Era un uomo di scienza, de Iorio, sebbene in giovinezza fosse stato «uno dei Fratelli Aggregati nella congregazione de’ studenti nel Collegio Massimo de’ Gesuiti in questa Città» [87]
.
Due sono i punti di interesse contenuti nella summenzionata sentenza: la guarigione fu «istantanea» e «perfetta» – la qual cosa escludeva che potesse essere avvenuta «per regola di arte», obbedendo quindi alle leggi di natura –; né la stessa si verificò «per opera di fantasia».
Circa l’istantaneità e la perfezione, in quanto caratteri necessari di una sanazione miracolosa, al tempo in cui de Iorio visse e operò, era ormai invalsa la prospettiva resa paradigmatica da Paolo Zacchia nelle Quaestiones medico-legales e che Prospero Lambertini confermò nella sua opera monumentale De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione (1734-1738). Dove, tra i requisiti fondamentali per l’attestazione di un evento miracoloso, si citavano, tra gli altri, l’immediatezza della guarigione e la sua perfezione, quindi la sua recidività [88]
. Come visto, de Iorio riprendeva la stessa prospettiva, tanto nel summenzionato giudizio, che articolò meglio in quattro punti, quanto snodando dinanzi ai giudici il trefolo delle definizioni di miracolo, grazia e forza naturale.
Innanzitutto, i quattro punti in cui si articolava la perizia: dato che «principio universalissimo che si ha nella nostra professione» è che se ogni male si contrae «a poco a poco», anche la guarigione «non può per forza naturale accadere, se non a poco a poco secondo il male si è contratto» [89]
; che è «impossibile, per forza di medicamenti, e meno per crisi, o evacuazione naturale, curare anche con lunghezza di tempo una ferita, o sia piaga, fatta ne’ polmoni; o sia ne’ bronchi», come il medico aveva diagnosticato a partire dall’osservazione del vomito cruento e dell’icore rimesso. Poiché, se già «tempo molto ci vuole a guarire» una ferita {p. 96}che sia esterna, «ancorché siano in parti immobili ed i rimedii siano applicabili» direttamente sull’epidermide, «assai più lunga dovrebbe esser la cura, se mai fosse possibile [...] in una parte interna, come è quella de’ polmoni, che sono in continuo movimento della sistole e diastole, et i medicamenti non si possono applicare immediatamente alla parte offesa» [90]
; «perché il sangue medesimo essendo putrido, era sin da quel tempo disposto a passare in marcia, e formar la piaga ne’ polmoni in quella parte, dove eran rotti i vasi», ergo: a corrompere irrimediabilmente la materia dei polmoni e il loro funzionamento, portando al decesso il paziente [91]
; infine, «perché quando anche dopo un lungo tempo, e con lunga applicazione di medicamenti, a taluno di quest’infermi accadesse la sorte di liberarsi dal male, anche lunghissimo tempo vi restarebbe di convalescenza, perché, mancando il sangue a tutta la macchina del corpo, e quello che vi resta anche di mala qualità, che non può contribuire a movimenti, il corpo si indebolisce, s’indebolisce la digestione e li spiriti» [92]
. Da simili premesse il medico derivava il carattere immediato della guarigione, a fronte dell’impossibilità dei farmaci di rimarginare i vasi sanguigni polmonari recisi e della difficoltà di ripristinare – se non dopo lungo tempo – la materia polmonare corrotta; nondimeno, data la totale assenza di una convalescenza, de Iorio deduceva che la guarigione toccata a Carlo fosse di tipo miracoloso.
Secondariamente, i concetti di immediatezza e perfezione tornavano, in via puramente teorica, nelle definizioni che de Iorio dava di miracolo, grazia e forza naturale.
Interrogato sull’argomento, martedì 13 marzo 1753, rispose:
il miracolo [è] di sua natura superiore ad ogni legge della natura medesima e potrà essenzialmente accadere in istanti, o il male sia curabile col tempo, o vero sia di sua natura incurabile, secondo la teoria che noi abbiamo nella nostra professione per le infermi{p. 97}tà o i malori che si devono curare col tempo; poiché ogni male, ancorché curabile, deve avere il tratto successivo maggiore o minore del tempo, ma superiore ad ogni ordine di natura; e quando il male è fatale et incurabile et il signore si degna di sanarlo, e sanarlo in instanti senza verun ajuto di medicamenti o delle forze istesse della natura medesima; e questo è il miracolo limitato a’ puri casi di infermità, poiché in altro genere se ne possono assegnare mille esempi, come nella resurrezione de’ morti, nel caminar sopra le acque senza affondare, nell’essere uno immerso nelle acque istesse senza bagnarsi, nell’essere in mezzo le fornaci accese di vive fiamme e non brugiarsi; perché tutto accadrebbe o sopra o contro l’ordine della legge data da Dio alle sue creature, che non solamente non producono effetti simili, ma o diversi o contrari [93]
.
De Iorio non avrebbe potuto definire il miracolo se non attraverso la propria lente: quella del medico-fisico. O, meglio, per spiegarne il significato, non avrebbe potuto partire che dall’esame di casi clinici. Come, sempre obbedendo alla professione, faceva il barbiere Orlando Sirignano. Al netto delle differenze. Anch’egli, interrogato sull’argomento, esacerbò i tratti più crudi e nefandi che il lavoro gli metteva innanzi agli occhi quotidianamente: «intendo per miracolo tutto quello che Iddio opera sopra le forze della natura, come sarebbe se uno, cadendo da un alto solaro, rompendosi il cranio, ed uscendo una porzione del cervello dalla sua testa, per la qual cagione dovrebbe effettivamente morire, il Signore si compiacesse restituirlo in vita» [94]
. Parole che fanno indovinare un riferimento al citato caso di Filippo Rubinacci. Diversamente, la descrizione di de Iorio, sebbene anch’essa incentrata su casi di guarigione, suona moderata; più tenuta. D’altronde, egli restava un professore di medicina: tastava i polsi, misurava i battiti per minuto del cuore, ma si teneva ben lontano dal praticare un salasso.
Nella sua prospettiva, l’essenza di un evento soprannaturale consisteva nell’essere superiore (quindi diverso) – o contrario, ossia di segno opposto, aggiungeva il medico – alle {p. 98}leggi di natura. Il miracolo ha il carattere dell’istantaneità. Guarisce immediatamente, sia che la malattia richieda del tempo acché si dilegui, sia che risulti incurabile. Inoltre, agisce senza aiuto di medicamenti o concorso di forze naturali (il caso più noto è quello delle crisi involontarie che, attraverso l’espulsione di umori guasti, risanano il corpo). Vi sarebbero altre circostanze, come la resurrezione dei morti – esempio citato spesso e volentieri nelle carte dei processi – il riuscire a camminare sulle acque, l’immergersi in esse senza bagnarsi, o il passare tra le fiamme senza correre il rischio di ustionarsi.
Conclusa la breve trattazione sul senso del miracolo, il medico proseguiva:
Grazia, a differenza del miracolo, secondo le regole della medesima mia professione, intendo di esser quella che il Signore concede a qualcheduno infermo, ma coll’ordine e colle forze della natura in restituirli la sanità, con una maniera però straordinaria, o in abbreviarli il tempo della cura, o in rinvigorire i spiriti dell’uomo debilitato, o in altra forma [95]
.
Anche in questa seconda definizione, la lente impiegata è quella del professore di medicina: quando il Signore restituisce la salute a un malato, operando nel reticolo delle leggi naturali – invero da lui create e donate – ecco che si compie la grazia. Di queste leggi, Dio può potenziare gli effetti tramite l’intercessione dei suoi servi (diminuire il tempo necessario alla cura, o sopperire a una mancanza; per esempio, rinvigorire gli spiriti umani, corpi spirituali adibiti alla motilità della macchina umana, secondo una tradizione di lungo corso) [96]
. Benché irrobustite, nel contesto della grazia, sono sempre le leggi della natura ad agire e non altrimenti. Di converso, quando queste ultime operano spogliate di qualsivoglia traccia divina, nella loro terrena nudità, si parla di «evento naturale».{p. 99}
La tripartizione del medico napoletano sembra ricalcare la stessa che Tommaso impiegò al fine di catalogare le possibili tipologie di avvenimenti fisici. Una scansione triplice, che sarà spessissimo ripresa nel Medioevo e che si manterrà perlopiù inalterata nella prima età moderna. Lorraine Daston e Katharine Park ne forniscono un utile compendio:
Tommaso distingueva tre tipi di accadimenti fisici. Il primo era naturale nel senso usato da Aristotele: «ciò che è sempre o per lo più». Ma questo ordine naturale delle cose poteva essere violato in uno dei due seguenti modi: 1. da eventi casuali, accidentali o altrimenti imprevedibili (l’uomo con sei dita); 2. da miracoli compiuti direttamente da Dio senza scomodare cause seconde. Chiameremo quest’ultima categoria di fenomeni soprannaturale; gli eventi miracolosi erano naturalmente impossibili, «al di sopra della natura». Ma la categoria intermedia – che noi chiameremo preternaturale (dall’espressione ripetuta di Tommaso praeter naturae ordinem) – era composta di avvenimenti insoliti che dipendevano però solo da cause seconde e non richiedevano la sospensione della normale provvidenza divina. I Mirabilia appartenevano a quest’ultima categoria, che era strettamente associata alla passione della meraviglia [97]
.
Favoriti dalla lente mediatrice delle storiche, si potrebbe ipotizzare che de Iorio pensasse alla tripartizione tomista quando fu chiamato a rendere conto delle differenze intercorrenti tra miracolo, grazia e fenomeni naturali. Dove i fenomeni «gratuiti», disposti da Dio, parrebbero avere più di un aspetto in comune con quelli praeter ordinem naturae di cui parlava l’Aquinate (escluso l’intervento divino, ammesso nella grazia e non contemplato nella «categoria intermedia degli avvenimenti insoliti»). Manifestazioni che la maggior parte dei pensatori della prima modernità porrà nel calderone del preternaturale, non esclusa la vis imaginativa, ossia la capacità portentosa dell’immaginazione.
{p. 100}
Note
[86] Ivi, f. 204r.
[87] Ivi, f. 68v. Cfr. M. Errichetti, L’antico Collegio Massimo dei Gesuiti a Napoli (1552-1806), in «Campania Sacra», 7 (1976), pp. 170-264.
[88] QML, pp. 224-225; DSDB, lib. IV, pars I, cap. 8.
[89] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 79r.
[90] Ibidem.
[91] Ibidem.
[92] Ivi, ff. 79r-79v.
[93] Ivi, f. 69r.
[94] Ivi, f. 124r.
[95] Ivi, f. 69r.
[96] O. Temkin, On Galen’s Pneumatology, in «Gesnerus», 8 (1951), pp. 180-189; J.J. Bono, Medical Spirits and the Medieval Language of Life, in «Traditio», 40 (1984), pp. 91-130; V. Nutton, Ancient Medicine, London, Routledge, 2004, pp. 233-234.
[97] L. Daston e K. Park, Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, Roma, Carocci, 2000, p. 102 (ed. or. Wonders and the Order of Nature 1150-1750, New York, Zone Books, 1998).