Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c1
Non
era dato vedervi altro. Con buona pace delle
autorità, assicurava il primo teste, Ignazio: «io
neanche al sepolcro di detto servo di Dio, né
sopra, né attorno di quello so, né ho inteso, né
veduto che siano state giammai appese, ritenute
lampadi, candele, né qualsivoglia altra sorte di
lume; né al presente se si ritengono, o accendono,
sin come neanche so, né ho inteso, che siano state
ritenute o’ accese, né al quale se ritengono o
accendano all’imagini del medesimo servo di Dio»
[51]
. Benché riferisse «ho viste molte
imagini e ritratti di detto servo di Dio Francesco
Caracciolo, tanto in tela quanto in stampa, in
detta casa di Santa Maria Maggiore e
¶{p. 44}fuori d’essa, in altri
luoghi»; ma, tranquillizzava i giudici che su di
esse non brillassero «raggi, laureole, sblendori,
titolo di beato, diadema». Azioni e simboli,
continuava coscientemente, «le quali potesse[ro]
dimostrare o denotare publica veneratione o culto»
[52]
. I nimbi, i raggi, gli aloni luminosi,
dipinti o incisi con premeditazione (o
sovrascritti a posteriori) sulle chieriche dei
venerabili o sul soggolo delle serve di Dio,
alludevano alla loro presunta santità, nonché
erano spia di venerazione idolatrica; di
conseguenza, le immagini così agghindate venivano
bandite. Su questo punto, un decreto di Urbano
VIII, promulgato il 15 marzo 1625, era risolutivo
[53]
. Pare, quindi, che il veto fosse
riuscito a domare gli entusiasmi dei napoletani.
Non
che, dalla festa del 1629 alla guarigione del
giovane Carlo, nel 1752, il Padre Eterno avesse
preso a trascurare la genia partenopea.
Tutt’altro. A più riprese, diede segno della sua
presenza attraverso il suo servo. Talvolta in modo
lampante, come attestano i casi di guarigione
emersi nell’indagine del 1711-1713. La deposizione
di Angelo Cappabianca, «d’anni trentacinque
incirca [e] religioso professo in stato laicale
della religione de’ Chierici Regolari Minori», più
di altre, torna utile a fare il punto
sull’accaduto. Godeva di un affaccio privilegiato
sulla piazza di Napoli, vuoi perché era «portinaro
della casa di Maria Maggiore, dove vengono
giornalmente persone e devoti a’ cercare
ansiosamente dette figure»; vuoi perché era stato
incaricato dal procuratore dell’ordine, Agostino
Oddi, di consegnare a
¶{p. 45}quanti erano stati
convocati dal vescovo la notifica di comparizione
[54]
. Una certa Giustina Fornara gli
«raccontò [...] che ritrovandosi in pericolo di
morte per non poter partorire, per esserli
attraversato il parto, coll’applicazione della
figura di detto servo di Dio padre Francesco
Caracciolo subito partorì»
[55]
. La miracolata «gli raccontò di più
[circa] Francesco Morello suo marito, che stando
[...] estremamente travagliato da un gravissimo
dolor di testa detto micrania [...] avendo
applicato nella testa la figura di detto servo di
Dio padre Francesco Caracciolo, subito restò
libero dal detto dolore»
[56]
. Poi, «l’istessa riferì che in casa
sua un’altra donna, chiamata Giovanna Parmese,
ricevette la gratia della vista coll’applicazione
della figura di detto servo di Dio»
[57]
; e un’altra napoletana, Margherita
della Peruta, gli «raccontò che essendogli nato un
figlio con un piede storto, o stroppio, al quale
secondo il consiglio e parere della mammana non vi
era rimedio per guarirsi, perché era nato così,
essa applicandovi con gran fede e fiducia la
figura di detto servo di Dio, fasciandola a detto
piede, ottenne la gratia della salute del figlio»
[58]
.
Con
tutta probabilità, si era verificato qualcosa di
molto simile a una psicosi collettiva, da
intendersi nei termini di una reazione condivisa a
paure condivise (malattia, morte), sostanziata a
partire da un immaginario comune (poteri
taumaturgici delle reliquie). Come sostenuto da
Robert Rowland in uno studio sulla stregoneria, ma
che, nei limiti del possibile, potrebbe valere per
i casi finora discussi, «affinché un individuo
possa fare un’accusa significativa, deve esistere
una credenza collettiva nell’esistenza e nei
poteri delle streghe. È in questo senso che Monica
Wilson si riferisce alle credenze sulle malefiche
come agli “incubi standardizzati
¶{p. 46}di un gruppo”. E le
streghe notturne e le streghe di tutti i giorni, o
la rappresentazione collettiva e il tipo di
persone effettivamente accusate, sono mantenute in
vita e dotate di senso dalla presunta esistenza e
attività di streghe “reali” o quotidiane
all’interno della società»
[59]
. Mutuando questo schema e calandolo
nel contesto della santità, si potrebbe asserire
che la credenza nei poteri delle immagini dei
servi di Dio fosse tenuta viva dall’esistenza di
uomini e donne che, giornalmente, conducevano
un’esistenza eroica (digiuni, continenza,
macerazione delle carni, ecc.) o erano ritenuti
latori di azioni sovrumane (visioni ed elevazioni,
ecc.), non di rado, espressioni di un quadro
clinico patologico
[60]
.
A
ridosso della guarigione del 1752, altri due
miracoli si imposero all’opinione pubblica. Lo
stesso Carlo de Vivis, il risanato, mostrò di
averne sufficiente contezza: «ho inteso che il
nostro venerabile padre Francesco Caracciolo abbia
fatto due miracoli: uno in persona di un
fabbricatore, a cui restituì la salute in un
tratto per la caduta fatta da un tetto, o solaro,
sopra un piano terra»
[61]
. Di gran lunga meticoloso nella
descrizione dell’accaduto – com’era da aspettarsi
– sarà l’agiografo Cencelli: il giardiniere della
chiesa di San Giovanni Battista, detta di San
Giovannello, «salito in alto da terra sedici
palmi» per riparare il pergolato del baldacchino
che sorgeva nel chiostro del monastero, precipitò
rovinosamente «colla parte sinistra del corpo» su
una fontana di pietra che fioriva in
corrispondenza dell’asse centrale della struttura
– anche visibile dai disegni in scala allegati
all’incartamento del processo
[62]
.¶{p. 47}
Proseguiva Carlo:
l’altro [miracolo] fatto anche repentinamente in persona di Antonia Niglio, moglie di mastro Pietro Feola, la quale essendo stata afflitta da un fiero male di sciatica per molti mesi, né avendo ritrovato sollievo della sua guarigione, in un giorno della Novena, che a consiglio di un nostro padre fecero al venerabile servo di Dio, essendo a detto Feola comparso in sogno lo stesso venerabile padre Francesco Caracciolo, l’annunciò la sanità restituita alla moglie, e di fatto essendosi svegliato, la riconobbe perfettamente sana [63] .
Al
caso di Antonia si indagò nel corso del processo
napoletano del 1753 – l’episodio è rubricato al
punto 22 della griglia riassuntiva
[64]
–; lo stesso a cui prese parte Carlo
de Vivis e nel quale si discusse il presunto
miracolo che lo vide protagonista.
3. Primo testimone
Il
giovane fece la sua comparsa dinanzi ai giudici,
giovedì 8 marzo 1753; alla vigilia della Quaresima
e del suo rientro a Roma, dove era nato – «mia
Padria» – aveva atteso i primi studi – «da padri
gesuiti dove io ero scolare» – e, di lì a poco,
avrebbe ripreso a vivere – nel monastero annesso
alla chiesa di San Lorenzo in Lucina, casa romana
dei fratelli caracciolini: l’ordine a cui apparteneva
[65]
. «Sono religioso de Chierici Regolari
Minori», si presentava
[66]
. «Sono suddiacono», cioè aveva il
permesso di toccare e portare all’altare i vasi
sacri ¶{p. 48}durante la messa; e
proseguiva: «scolare di filosofia»
[67]
. Era povero, va da sé; vestita la
tunica, si era spogliato di ogni ricchezza
materiale, oltreché aveva rifiutato ad ambire a
qualsivoglia dignità ecclesiastica – come il
quarto voto regolato dai padri dell’ordine imponeva
[68]
. Soltanto, alla prosperità spirituale,
appetto mezzi di sussistenza minimi – «la
Religione mi contribuisce quanto basta» –
affiancava «un livello annuo scudi dodici di
moneta romana [...] per qualche mio straordinario
bisogno, se mi occorre altra circostanza di
aggiungere circa la mia persona e la mia condizione»
[69]
. Una retta pari a poco più di dieci
euro annui. Un capitale irrisorio, se si considera
che, al tempo, lo stipendio medio annuale di una
carica amministrativa dello Stato Pontificio
ammontava a un equivalente di circa 723 euro:
settanta volte tanto
[70]
.
Nonostante la vocazione alla povertà e una retta
modesta, il giovane che si presentò al cospetto
dei giudici non dovette apparire loro un
accattone. È probabile che il suo portamento fosse
piuttosto dignitoso, come quello del chierico
regolare che, il 12 marzo 1787, Goethe incontrerà
a Napoli, a cena dalla «frivola principessina» di
Satriano, Teresa Ravaschieri
[71]
. A tavola, l’autore del
Werther – al tempo già
popolare, non
¶{p. 49}certo un
popolano – sarà sorpreso dal riconoscere nel suo
commensale un pari rango:
Note
[51] Ivi, f. 51v.
[52] Ivi, f. 52r.
[53] Decreto stampato in L. Castellini, Elucidarium theologicum de certitudine gloriae sanctorum canonizatorum..., Romae, Sumptibus Guilelmi Facciotti, 1628, p. 121. Circa la possibilità di intervenire ex post sulle immagini (nello specifico il caso trattato è il graffito) cfr. V. Plesch, Destruction or Preservation? The Meaning of Graffiti on Paintings at Religious Sites, in V. Chieffo Raguin (a cura di), Art, Piety and Destruction in the Christian West, Farnham-Burlington, Ashgate, 2010, pp. 137-172; O. Niccoli, Vedere con gli occhi del cuore. Alle origini del potere delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 46 porta l’attenzione su quanto questi segni giustapposti e «spesso eliminati dal restauro, [...] meriterebbero di essere conservati in quanto testimoniano il potere forte esercitato dalle immagini sulla comunità a cui appartenevano».
[54] AAV, Cause dei Santi, Processus 1892, ff. 300r, 301r. L’unità archivistica consiste di un faldone rilegato, di fogli che seguono la numerazione 1r-381v, con copertina gialla in pergamena.
[55] Ivi, ff. 294r, 300r.
[56] Ibidem.
[57] Ivi, f. 300v.
[58] Ibidem.
[59] M.H. Wilson, Witch Beliefs and Social Structure, in «American Journal of Sociology», 56, 4 (1951), pp. 307-313; R. Rowland, Fantasticall and Devilishe Persons: European Witch-Beliefs in Comparative Perspective, in B. Ankarloo e G. Henningsen (a cura di), Early Modern European Witchcraft. Centres and Peripheries, Oxford, Clarendon Press, 1990, pp. 161-190, in particolare p. 171.
[60] Cfr. M. Zangari, Santità femminile e disturbi mentali fra Medioevo ed età moderna, Bari-Roma, Laterza, 2022.
[61] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 45v.
[62] A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., p. 241. Una storia dettagliata del monastero delle monache domenicane annesso alla chiesa di S. Giovanni Battista si legge in C. Celano, Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli..., 5 voll., vol. III, t. I, Napoli, Stamperia di Agostino de Pascale, 1858, pp. 51-55. I disegni, non numerati, sono allegati in coda a AAV, Cause dei Santi, Processus 1894. L’unità segue la numerazione 1r-294r.
[63] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 45v.
[64] Ivi, f. 20v.
[65] Ivi, f. 44r e f. 44v; al f. 118r, Filippo Maria Ruoti, ex compagno di studi in filosofia di Carlo, riporta a proposito di quest’ultimo: «sino al passato mese di marzo [1752] che dimorò in questa casa, e sento sin oggi che continui nell’istessa perfetta salute in Roma».
[66] Ivi, f. 44r.
[67] Ibidem. Il ministero del suddiaconato sarà soppresso dopo la riforma paolina del 1972.
[68] C. Piselli, Notizia historica della Religione de’ PP. Chierici Regolari Minori..., cit., p. 6.
[69] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 44r. A proposito del sostentamento dei Chierici Regolari Minori, cfr. M.C. Giannini, «Accrescere il culto divino, et l’honore, et servitio della Religion cattolica»: le origini e i primi anni di vita dei Chierici Regolari Minori (1588-1608), in I. Fosi e G. Pizzorusso (a cura di), L’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Caracciolini), cit., pp. 115-135, in particolare p. 131. «Un ordine del generale, emanato nel dicembre 1607, richiamava a tutti i confratelli il divieto di possedere a qualunque titolo denaro, oggetti preziosi, scritture di credito o altri beni» (ivi, p. 135). La circolare, emessa dal padre Manco il 31 dicembre 1607, dovette decadere se, come visto, negli anni Cinquanta del Settecento, ai chierici era consentito gestire un proprio reddito, seppur minimo.
[70] Il calcolo è stato effettuato sulla base dei dati tratti da M.R. Caroselli, Società ed economia in Italia nel secolo dei Lumi, in «Rivista di storia dell’agricoltura», 19, 3 (1979), pp. 3-46, in particolare p. 35.
[71] J.W. Goethe, Viaggio in Italia, cit., p. 361.