Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c1
Nonostante la vocazione alla povertà e una retta
modesta, il giovane che si presentò al cospetto
dei giudici non dovette apparire loro un
accattone. È probabile che il suo portamento fosse
piuttosto dignitoso, come quello del chierico
regolare che, il 12 marzo 1787, Goethe incontrerà
a Napoli, a cena dalla «frivola principessina» di
Satriano, Teresa Ravaschieri
[71]
. A tavola, l’autore del
Werther – al tempo già
popolare, non
¶{p. 49}certo un
popolano – sarà sorpreso dal riconoscere nel suo
commensale un pari rango:
I sacerdoti regolari, specie se elegantemente vestiti, occupano in società un posto assai ragguardevole; il loro abbigliamento denota umiltà e rinunzia, ma nello stesso tempo conferisce spicco e dignità. Possono assumere un contegno ossequioso senza con ciò avvilirsi, e poi, quando riprendono la posizione eretta, ben gli si addice una cert’aria di degnazione che in uomini di condizione sociale diversa sarebbe mal accetta [72] .
Non
si possiede alcun ritratto coevo o descrizione che
aiuti a figurarsi l’aspetto di Carlo de Vivis: la
statura, la stazza, la fisionomia; il taglio e il
colore dei capelli e degli occhi. I resoconti del
processo lo ricordano, al più, «di corporatura
macilente e scolorito di volto»
[73]
; pure dalle gote paonazze, sebbene
quest’ultimo particolare fosse presentato come un
segno distintivo della malattia
[74]
; di norma, quindi, dovevano essere di
melarosa e il ragazzo doveva esibire una cera
scialba: un volto color calce o, nel migliore dei
modi possibili, carnicino. Certo, risulta
irresistibile – per chi avesse avuto l’occasione
di imbattercisi almeno una volta – non
attribuirgli i tratti che l’artista palermitano,
Francesco Manno, diede al giovane in una sua
opera: un «tondo monocromo a tempera rosso chiara
rialzata di bianco», cinto da una cornice «dorata
con oro fino da zecchino» (fig. 3)
[75]
. Il dipinto fa parte di un ciclo di
opere composto da dieci medaglioni monocromati e
due tele a olio, che il pittore dei nuovi santi e
beati – come la critica lo nominò a più riprese –
eseguì in occasione della canonizzazione di
Francesco Caracciolo (24 maggio 1807)
¶{p. 50}e che dovette completare
il 19 maggio dell’anno seguente
[76]
. Ancora oggi è possibile vederlo nella
basilica romana di San Lorenzo in Lucina se,
varcato il portale della chiesa, intrapresa la
navata destra e, fermi tra la prima e la seconda
delle ¶{p. 51}cappelle laterali,
si solleva lo sguardo. Il dipinto tondeggia tra i
due archi, al di sotto del cornicione. Lì, il
giovane «Carolo de Vivis» – come recita
l’iscrizione soggiacente, attribuita al pennello
di Giuseppe Manno, nipote dell’artista – siede su
un trono in legno massiccio e dalla linea essenziale
[77]
. Preme col fianco sul bracciolo
sinistro e, con il braccio corrispettivo, si tiene
la testa, che pende nella stessa direzione.
Osserva l’effigie di Francesco, tenuta in piedi su
di un tavolo dal drappeggio severo – o un
pulvinare – da due sagome. Femminili
[78]
. Basterebbe quest’ultimo particolare a
suggerire l’inaffidabilità storica della
rappresentazione: mai alcuna donna si portò nella
stanza del miracolato – almeno, stando a quanto è
dato sapere
[79]
. Più plausibile, allora, è sorprendere
in una delle due ancelle la personificazione della
Vergine a cui la chiesa di Santa Maria Maggiore di
Napoli, dove si svolsero i fatti, era consacrata e
a cui Caracciolo era devoto – al punto che avrebbe
voluto intitolare la religione che andava fondando
dei «Chierici Mariani»
[80]
. Non meno fantasiosi sono i tratti
fisici e fisiognomici del protagonista. Risulta
evidente che essi siano sbozzati facendo
riferimento agli schemi formali del tempo. Risale
proprio a quel periodo la «moderata conversione al
neoclassicismo» di Francesco
¶{p. 52}Manno, come conferma la
storica dell’arte Fiorella Pansecchi
[81]
. Si può indovinare nell’opera, a un
secondo e più approfondito sguardo, quello che
Peter Burke definisce un tentativo di
«assimilazione [...] dell’ignoto al noto»
[82]
. Un fenomeno riscontrabile perlopiù
«quando ha luogo un incontro tra culture diverse»,
ma che potrebbe verificarsi, come nel presente
caso, allorquando si tenta di rappresentare
episodi del passato
[83]
. Dopotutto, va tenuto a mente che
«l’artista non è una macchina fotografica, ma un
comunicatore con le sue priorità»: politiche,
religiose, culturali e, si è tentati di
sottolineare, estetiche
[84]
. Sotto questo rispetto, la priorità di
Manno sembra fosse quella di conferire una patina
classica alla scena. Austera e drammatica allo
stesso tempo. I particolari sembrano accentuare
tale percezione: l’aderenza del tessuto alla gamba
flessa suggerisce un modellato carnoso, fortemente
plastico e statuario. Innaturale, d’altro canto,
per chi, consumato da un male, dovrebbe apparire
più simile a una larva che a un Laocoonte.
Nonostante tutto, due sono gli elementi che, con
molta probabilità, hanno una qualche attinenza con
la realtà storica del XVIII secolo e riescono nel
tentativo di fare immaginare, in modo purtuttavia
sbiadito, la sagoma del ragazzo: la veste, una
zimarra scura, che gli fodera il collo, le braccia
e le gambe, fino alle caviglie; la stessa che i
caracciolini erano soliti portare d’estate, come
alcune incisioni di un secolo precedente
testimoniano (fig. 4); e la tonsura, che era
proporzionata all’ordine, «cosicchè minore sia ne’
Chierici Minori, e cresca ne’ maggiori» – sebbene
fosse richiesta indistintamente a chi prendesse
parte all’«ecclesiastica milizia»
[85]
.¶{p. 53}
Quando, giovedì 8 marzo 1753, il giovane
raggiunse la Pietrasanta, erano circa le consuete
«ore venti [3 PM]»
[86]
. La sua voce prese a riecheggiare
nella cappella sub titulo Assumptionis
Beatae Mariae Virginis, nicchiata in
una delle navate della chiesa
[87]
. Dinanzi al teste, «d’età di anni
ventidue» – specificherà una nota a margine di
Cristoforo de Acampora, secondo notaio
(adjunctus)
[88]
– sedevano i giudici:
¶{p. 54}Costantino Vigilante
(1685-1754), vescovo di Caiazzo dal 1727 e
confessore del re di Spagna Carlo III di Borbone,
sovrano sul trono del Regno di Napoli al tempo del processo
[89]
; Francesco de Novellis (1695-1760),
dal 1738 vescovo della diocesi di Sarno, in
provincia di Salerno
[90]
. E, poi, il subpromotore della fede,
Ambrosio Scaramuzza. Completava la commissione il
notaio Giuseppe Cinnarelli, attuario della causa e
archivista della Curia arcivescovile di Napoli
[91]
.
Note
[71] J.W. Goethe, Viaggio in Italia, cit., p. 361.
[72] Ivi, p. 223.
[73] Così lo descrive Michelangelo Pigna, prefetto dei giovani studenti dell’ordine, in AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 210v.
[74] Giuseppe Maria Ricci, incaricato dell’«esercizio della risoluzione de’ casi morali» e «applicato alle prediche», la mattina del 9 agosto 1752, vede in Carlo: «macchie troppo rosse che aveva sparse nelle gote», ivi, f. 114v. Domenico Messina, nel descrivere i sintomi patiti dal compagno di studi, parla di «accensione di gote», ivi, f. 131v.
[75] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, in «Prospettiva», 33-36 (1983-1984), pp. 327-334, in particolare p. 330.
[76] Alcune guide attribuiscono erroneamente i medaglioni monocromi a Roberto Bompiani, che nel 1858 decorò il sommo delle pareti della navata centrale di San Lorenzo in Lucina con due dipinti (ivi, p. 328). Nel 1909 le due tele furono trasferite nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, a Roma (ibidem). Sulla data di completamento dei medaglioni, cfr. ivi, p. 330. Circa le committenze del pittore nell’ambito delle cause di beatificazione e canonizzazione dei santi cfr. S. Papaldo, Notizie sul primo periodo romano di Francesco Manno, in «Storia dell’Arte», 30-31 (1977), pp. 187-190, in particolare p. 189.
[77] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, cit., p. 330. L’iscrizione completa recita: «Carolo de Vivis C.R.M. | Deperditam valetudinem | repente restituit».
[78] Così riporta la scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1200231190-8 (ultima consultazione in data 4 gennaio 2024).
[79] In AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 139r, riferirà Domenico Messina, collega di Carlo: «essendo chierico studente, e sotto la cura del prefetto, non mi è permesso di trattare con secolari, ed uscire se non con lui e con gli altri miei compagni chierici per esercizio e per respirare un poco di aria di campagna». Il Saggio del sacerdozio, e del sacrifizio esposto da un religioso dell’ordine de’ Minori Osservanti..., In Venezia, Presso Giuseppe Rosa, 1774, p. 56, riporta: «pretende ella [la Chiesa] che li chierici, e massimamente soli, non frequentino per verun titolo le case delle femmine, né loro diano accesso nelle proprie».
[80] C. Piselli, Compendio della vita, virtù, e doni del ven. servo di Dio P. Francesco Caraccioli fondatore de Chierici Regolari Minori..., In Napoli, Nella Stamperia di Felice Mosca, 1705, p. 183; A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., p. VIII.
[81] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, cit., p. 331.
[82] P. Burke, Testimoni oculari, cit., p. 145.
[83] Ibidem.
[84] Ivi, p. 103.
[85] Circa il vestiario in uso presso i Chierici Regolari Minori cfr. V.M. Coronelli, Catalogo degli ordini religiosi della Chiesa Militante, espresso con imagini, e spiegato con breve narrazione..., 2 voll., vol. I, Venezia, [s.e.], 1707, cap. 45. A proposito della tonsura, cfr. Saggio del sacerdozio, e del sacrifizio esposto da un religioso dell’ordine de’ Minori Osservanti..., cit., pp. 66-67.
[86] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 42v.
[87] Ibidem.
[88] Ivi, f. 44r. La prima attestazione utile che si è riusciti a rintracciare la si trova in una Responsio ad Animadversiones, in Francisci De Hieronymo sacerdotis professi Societatis Jesu. Positio super dubio..., Romae, Ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae, 1767, p. 9. Nel documento – con molta probabilità, sottoscritto anni prima della pubblicazione – Cristoforo d’Acampora si firma: «Notaro apostolico, e di questa [...] Curia Arcivescovile di Napoli».
[89] G. Cito e N. Amenta, Vita di Niccolò Amenta detto fra gli Arcadi Pisandro Antiniano scritta dall’abate signor don Gioseppe Cito detto fra gli stessi Panfilo Teccaleio. All’Illustriss. E Reverendiss. Signore Monsignor Costantino Vigilante vescovo di Caiazza, In Napoli, Nella stamperia di Gennario Muzio, 1728.
[90] Cfr. Notizie per l’anno 1738..., In Roma, Nella Stamperia del Chracas, presso S. Marco al Corso, 1738, p. 146; G. Normandia, Notizie storiche ed industriali della città di Sarno, In Napoli, Dalla Stamperia del Vaglio, 1851, p. 185.
[91] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 58v.