Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c2
Allo stesso modo, più di un secolo era trascorso dalla dipartita di Caracciolo; dalla crisi di «routinizzazione del carisma» che, nella prospettiva di Max Weber, seguirebbe alla morte di un leader [227]
. Nonostante tutto, a metà Settecento, quel che restava immutato presso i Chierici della Pietrasanta doveva essere il bisogno di un «riconoscimento da Roma come mezzo per garantire che la loro struttura sarebbe sopravvissuta [anche] alla loro morte» [228]
. Senza dimenticare che, per dirla ancora con Parigi, «il riconoscimento da Roma [...] istituzionalizzava il messaggio del candidato e produceva un flusso di risorse alla nuova struttura locale»: «donazioni, nuove proprietà e offici» [229]
. In verità, nel corso del tempo, l’ordine era riuscito a espandere la propria area di influenza cittadina, a partire dal sagrato della chiesa di Santa Maria Maggiore. Un fascicolo rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Napoli riferisce di una contesa legale tra i caracciolini e i Maestri del Santissimo Salvatore, proprietari di una cappelletta che si affaccia sullo spiazzo antistante la Pietrasanta. I Chierici dirimpettai rivendicavano «l’affacciata della chiesa e [di] render più
{p. 135}spazioso il largo d’avanti» [230]
. La ottennero nel 1676, come sottoscrive una «copia della cessione della cappella del Salvatore» [231]
. Pure, la copia di un atto notarile, rogato il 4 gennaio 1738 e riguardante una «donazione fatta a beneficio del nostro monastero da Don Benedetto e Donna Teresa Pugliucci», attesta l’espansione immobiliare dei Chierici. Si trattava di un «ospizio di case consistente in più e diverse stanze inferiori e superiori, sito in questa città di Napoli e proprio del quartiero della chiesa di San Giovanni e a Carbonara nel vicolo cognonimato de cavajoli». Edificio che, di affitto, fruttava rendite esose: «docati 75 in circa l’anno» [232]
. La casa di San Giuseppe – situata a circa un chilometro di distanza dalla Pietrasanta – quindi la masseria, nel quartiere Sanità, e l’ospizio di San Michele Arcangelo a Santa Maria di Capua, costituivano ulteriori satelliti napoletani dell’ordine. Da non trascurare, infine, la relazione tra devozione e pubblico riconoscimento. Riconosce Fiorelli: «il fallimento della promozione di un santo faceva infatti perdere agli ordini e alle istituzioni conventuali che lo avevano subito quel riscontro nel tessuto sociale al quale essi appartenevano che costituiva la linfa vitale per la loro stessa sopravvivenza». Era quanto accaduto in conseguenza al processo inquisitoriale del 1629 e alla conseguente sottrazione del corpo del candidato alla pubblica devozione: pare che i chierici «fossero diventati oggetto di dileggio da parte della popolazione urbana» [233]
.
Conquistata un’ampia porzione di territorio – e un buon numero di devoti – nel Regno, ai Chierici non restava che occupare un angolo d’empireo. E bisognava sbrigarsi: di santi il cielo di Napoli era piuttosto ingombro.{p. 136}
Come anticipato, i servi di Dio, «dal punto di vista della storia della percezione, andrebbero considerati soprattutto come testimoni dell’epoca in cui sono stati canonizzati» [234]
. Va da sé che il contesto religioso, politico e culturale della Napoli di metà XVIII secolo era profondamente mutato rispetto al Cinquecento in cui Francesco Caracciolo visse e operò; come rinnovato doveva risultare il concetto di santità. Lo studio di Pasquale Palmieri su Santi e potere politico nel secolo dei Lumi fornisce un utile schema per rileggere il particolare alla luce dell’universale. Perché: «di fronte a una diversa percezione del potere, anche le rappresentazioni mentali della santità subiscono trasformazioni degne di nota» [235]
. Difatti, quelli del miracolo furono gli anni del consolidamento del potere di don Carlos (dal 1734 sul trono di Napoli) e del Concordato tra il Regno e la Santa Sede, vale a dire tra Carlo III di Borbone e Benedetto XIV (1741); dove «gli interessi di fondo, le forze che premevano alla base dei negoziati», affidandosi alla sintesi di Mario Rosa, erano principalmente due:
il rilancio del regalismo attraverso il proiettarsi delle esigenze giuridico-politiche ed economico-sociali del Regno intorno alla figura del monarca riacquistato dopo la ultra secolare parentesi viceregnale, e l’attenzione posta in prevalenza dalla pubblicistica e dalla classe politica non più, o non soltanto, sulla immunità locale e personale quanto sugli stridenti privilegi derivanti agli ecclesiastici dalla immunità reale [236]
.
Un accordo che, come presto ci si accorse, finì per favorire la parte reale. In questo nuovo clima politico-religioso, impiegando ancora la lente di Palmieri, le nuove devozioni, di là dall’essere «espressione fedele del fronte cattolico intransigente che resisteva ostinatamente alle novità del {p. 137}secolo XVIII», «si inserirono in un ampio orizzonte strategico capace di unire le diverse anime del composito fronte clericale e di promuovere, già in ampio anticipo rispetto alla rottura rivoluzionaria, un organico progetto politico basato sul rafforzamento dell’alleanza tra trono e altare» [237]
. Il processo super miraculis del 1753 si celebrò, tra gli altri, sotto la supervisione del giudice Costantino Vigilante, confessore privato del re ed esponente di un infuocato «episcopalismo regalista» [238]
; nonché, l’ultima pagina dell’agiografia che il chierico Agostino Cencelli approntò per la beatificazione di Caracciolo, nel 1769, spiegava così il ritardo di due secoli nel conseguimento dell’onorificenza:
Non si scorge con evidenza, nelle varie vicende ed accidenti frapposti nel progresso della sua causa, le divine disposizioni giusta i voti di Francesco per differirne fino a questo tempo la sua beatificazione? Questa già celebrata nel predetto giorno; sono già state insieme esaudite le premurose istanze de’ popoli, de’ principi, de’ potentati, specialmente dell’invitto monarca delle Spagne don Carlo III felicemente regnante, in cui accumulata la pietà non meno che il zelo della Cattolica Religione di tutti i suoi gloriosi antecessori, soprammodo risplende [239]
.
In questo modo, la Santa Sede era giustificata e il re reverito.
Chierici, medici, infermieri e barbieri. All’unanimità ribadirono che quanto capitò a Carlo dovette interpretarsi, senza ombra di dubbio, come miracoloso. Nessuno sospettò che la causa della cura potesse rintracciarsi nella fervida immaginazione del giovane, per quanto, si può sospettare, ben pochi fossero a digiuno di simili teorie. Difatti, più di uno, tra cui lo stesso Carlo, accennò all’eventualità di una cura per via fantastica, sebbene alcuni, come de Iorio, si impegnarono a sconfessarne l’eventualità a suon di citazioni e dimostrazioni.{p. 138}
Come che fosse, la partita non poteva dirsi conclusa. Che l’immaginazione dovesse ritenersi esonerata da ogni responsabilità, le autorità apostoliche non si dichiararono convinte. E, tra queste, in primis, l’avvocato del diavolo. Ai curiali spettò ripercorrere le dinamiche del caso, avvalendosi del giudizio di un ulteriore professionista in ambito medico. Così, nel più tardo dibattito, nella cosiddetta positio super dubio, in cui si succedevano le sentenze del giudice proponente, del promotore della fede, e del medico apostolico, il tema della vis imaginativa fece ancora una volta capolino.
Note
[227] M. Weber, Economia e società, 2 voll., Milano, Edizioni di Comunità, 1974 (ed. or. Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr Siebeck, 1922).
[228] P. Parigi, The Rationalization of Miracles, cit., p. 76.
[229] Ivi, pp. 79 e 103.
[230] ASN, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria Maggiore, 3855.
[231] ASN, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria Maggiore, 3856 (cfr. indice alfabetico all’interno). Della cappella di Santa Caterina si parla nel sopracitato fascicoletto in ASN, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria Maggiore, 3855.
[232] ASN, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria Maggiore, 3853 (cfr. indice alfabetico all’interno).
[233] V. Fiorelli, I sentieri dell’inquisitore, cit., p. 192.
[234] P. Burke, Scene di vita quotidiana nell’Italia moderna, cit., p. 69; P. Parigi, The Rationalization of Miracles, cit., p. 70.
[235] P. Palmieri, I taumaturghi della società. Santi e potere politico nel secolo dei Lumi, Roma, Viella, 2010, p. 259.
[236] M. Rosa, Politica concordataria, giurisdizionalismo e organizzazione ecclesiastica nel Regno di Napoli sotto Carlo di Borbone, in «Critica Storica», 4 (1967), pp. 494-531, in particolare p. 498.
[237] P. Palmieri, I taumaturghi della società, cit., p. 11.
[238] M. Rosa, Politica concordataria, giurisdizionalismo e organizzazione ecclesiastica nel Regno di Napoli sotto Carlo di Borbone, cit., p. 511.
[239] A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., p. 254.