Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c2
Riportava il caso di un’allettata con febbre maligna che «al vedere una notte attaccato il fuoco a una casa vicina, sì fortemente apprese il pericolo suo, che da sé sorgendo dal
{p. 120}letto si mise carpone in salvo» [160]
. Un caso paradigmatico nella letteratura del tempo, dacché lo stesso ordinario, de Iorio, ne chiamava in giudizio una variante (il sisma). Nella sua configurazione elementare, il meccanismo illustrato da Muratori – di nervi, fibre cerebrali e spiriti animali – pagava, come anzidetto, il debito alla psicologia di Galeno; così come sembrava seguire Tommaso (Summa theologiae, III, q. 3, art. 3, ad. 3): l’immaginazione opererebbe per accidens (liberando l’organismo dall’ingorgo dei fluidi o trasfondendogli nuovi spiriti) piuttosto che per se (attraverso un’azione diretta dell’immaginazione sulla parte lesa).
Le prospettive dei veteres, però, facevano nodo con quelle dei novatores. Sempre nella Filosofia morale e, a più chiare tinte, in Della forza della fantasia umana, l’immaginazione non era più concepita al modo dei peripatetici, come una potenza inferiore dell’anima: «è verisimile ch’essa altro non sia che lo stesso cervello»; «tutta composta della medesima molle materia» scommetteva Muratori [161]
. Andrea Lamberti scorge tra le righe le Regulae ad directionem ingenii di Cartesio, dove la fantasia è vera pars corporis, sebbene l’autore non arrivasse a sostenere, con Locke, che «la materia potesse pensare» [162]
. Ritracciati i confini dell’immaginazione, per la magia, anche per quella naturalis, non restava più spazio. Così Muratori si deciderà sul malocchio, a cui il Cinquecento di Della Porta dava ancora credito: «troppo infelice sarebbe il genere umano se fosse in mano altrui colla sola volontà e con sole occhiate l’avvelenar chi è sano» [163]
. Con molta probabilità, fu una certa confidenza con la nuova filosofia meccanicistica a segnare lo stacco tra il presbitero modenese e l’ordinario, le cui concezioni in merito dipendevano, per certi versi, ancora, dalla psicologia antica e dalla magia naturale di età moderna.{p. 121}
Al netto delle differenze, a distanza di quasi due secoli, la prospettiva «naturalistica» del mago napoletano era ripresa e condivisa dal medico de Iorio. Per quanto, è bene ricordarlo, l’estensione e le possibilità che sul tramontare del Cinquecento si attribuivano alla natura erano certo diverse da quelle riservatele a metà Settecento. Per fare solo un esempio: in linea generale, in ambedue i periodi, l’attrazione magnetica era considerata un fenomeno naturale; benché nel primo se ne spiegasse il funzionamento ricorrendo al concetto di forze occulte, le quali, fuoriuscendo dalla pietra magnetite, andavano a colpire un corpo vicino, attraendolo [164]
; nel secondo, dopo la messa al bando della nozione di forza occulta e l’introduzione del modello meccanicista, quindi la matematizzazione della scienza, René Descartes ricondusse tutti i fenomeni magnetici «ai movimenti e agli urti di particelle di materia» e, più tardi, nella seconda edizione dei Principia (1713) Isaac Newton, trattando della forza di gravità, concludeva che quella «esercitata da un magnete su un altro dipendeva dal cubo della loro distanza» [165]
.
Al pari della forza magnetica («la virtù della calamita»), anche la vis imaginativa trovava spazio nell’opera di Della Porta. Nel secondo libro, infatti, l’autore parlava «della meravigliosa forza dell’imaginatione, e come si possano generare varii parti» di animali, si intende [166]
. Nondimeno, dopo la consueta, iniziale, rassegna di citazioni, si legge:{p. 122}
Quando le donne son gravide, et avendo grandissimo desiderio di alcuna cosa, quel continuo pensiero e quella imaginatione altera gli spiriti interiori, in modo che quella cosa desiderata e fissa nella imaginativa si depinge, quella muove il sangue, laonde nella tenerissima materia del bambino si dipinge l’imagine della cosa, così il parto si depinge in perpetuo delle macchie e de’ varij segni se non si sodisfà di quel desiderio [167]
.
«Desiderio», «imaginativa», «spiriti interiori»: termini, concetti, significati che de Iorio riprendeva dalle pagine della Magia naturalis, non senza operare su di essi una seppur sfumata risemantizzazione. Come, dalle stesse pagine, pescava l’esempio della partoriente, di cui esacerbava alcuni particolari – che probabilmente aveva strappato ad altre fonti: come visto, ammetteva che il desiderio della madre, oltre a modificare la materia molle del feto, macchiandola, avrebbe potuto financo uccidere quest’ultimo.
In definitiva, al pari di Della Porta, per il medico ordinario la fantasia avrebbe potuto agire solo e soltanto entro le maglie del naturale. La natura, nella concezione del secondo, però, esibiva un aspetto parecchio differente e aveva perso i meravigliosi poteri che la cultura del Cinquecento le aveva attribuito – una palude dai confini labili e ribollente di fenomeni tra i più bizzarri (parti mostruosi, influssi astrali, ecc.). Così, nel Settecento, il suo profilo era radicalmente mutato: aveva assunto le sembianze di una landa brulla e meccanizzata; la sua vivacità, esondante, era stata quasi del tutto prosciugata. Eppure, la facoltà immaginifica, con i suoi portenti, fu risparmiata da quella bonifica culturale – sebbene solo in parte. Assottigliatane la portata, le si attribuì il ruolo di sentina del meraviglioso – per quel poco che era ammesso – quindi di linea di boa tra natura e sovrannatura: il segno di confine o il termine ultimo oltre il quale il primo dei due poli, il naturale, perdeva ogni diritto di azione. Per usare le parole di Lorraine Daston, «l’ultima risorsa per le spiegazioni naturali, una carte blanche per coprire i più elusivi, misteriosi e intrattabili fenomeni» [168]
. Al di là della {p. 123}cortina immaginifica, solo Dio e, in ambito cattolico, i suoi santi, avrebbero avuto giurisdizione. Di conseguenza, per la teologia e per la scienza del tempo, la vis imaginativa divenne il discrimine attraverso cui poter riconoscere e definire, via negationis, il miracoloso. Lo schema era netto: l’immaginazione umana spazzava via l’intervento divino; viceversa, quest’ultimo metteva alla porta l’azione della fantasia umana. Tertium non datur.
Nel caso di Carlo, concludeva l’ordinario, la fantasia non avrebbe potuto operare alcuna guarigione. Non che essa, come anticipato, fosse da questi ritenuta priva di potere. Tant’è che, sosteneva, «in molti altri mali ha operato delle cose meravigliose istantaneamente, o in cagionare i mali e le morti, o in liberare repentinamente gli infermi da loro malori»: provocava la morte degli infanti; così come era in grado di sciogliere le paralisi ai «podagrosi», di liberare istantaneamente dalle febbri terzane gli allettati [169]
. Tuttavia, specificava il medico, «può operare la fantasia, se non nella continuazione delle fibre, dove possa comunicare le sue impressioni, e non già dove le fibre son rotte, e non è comunicabile l’impressione» [170]
. Al punto che, proseguiva, «non si è veduto, né si vede, né si potrà veder mai, che la fantasia abbia operato, o possa operare, nelle ferite e piaghe instantaneamente, e guarirle» [171]
. E questo, precisamente, era il caso di Carlo, dove una guarigione immaginifica «non [era]stat[a] possibile per la ferita interna de polmoni» [172]
. Inoltre, continuava de Iorio, anche qualora l’emorragia non fosse stata originata dalla completa rottura dei vasi polmonari, ma da una loro meno grave lesione, poco avrebbe potuto ripristinare la fantasia:
pure ci sarebbe stato bisogno del lungo tempo, dell’applicazione de’ medicamenti per curarli, e non si sarebbe il detto chierico {p. 124}veduto restituito nella pristina sanità, anzi migliore, siccome fu veduto da me e d’altri istantaneamente, né fin oggi robusto senz’applicazione di altri medicamenti, di regolamento di vitto, ed affatto senz’altri ajuti naturali, perché, per potersi mantener chiusi i vasi aperti, la natura non può indurire la cicatrice in instanti per non farli buttare più sangue [173]
.
Fugata la possibilità di un intervento riparatore della fantasia, il medico fu costretto a: «inferi[re] per infallibile conseguenza, che il suddetto chierico non potette guarirsi, se non per opera soprannaturale dell’Onnipotente» [174]
.

5. Il mandante

La notizia del miracolo si diffuse rapidamente. Attraversò le strade, fece il giro delle piazze; sgattaiolò tra i vicoli, fin nei cunicoli, per poi sbucare in slarghi assolati e tornare a intrufolarsi nelle chiese e nelle case partenopee. Non solo in quelle del popolo, come si potrebbe supporre, più ospitali nei riguardi del soprannaturale. Una simile fuga di notizie c’era da aspettarsela, considerato il fittissimo reticolo, architettonico e umano, che era Napoli a metà Settecento. Un crocicchio di arterie, vie e viuzze sovraccariche di passanti. Fino a notte, «come nemmeno se ne vede a mezzogiorno in un’altra città», scriveva il 10 luglio 1787, durante il suo secondo soggiorno napoletano, il pittore Tischbein al vecchio compagno di viaggio, Goethe [175]
. Soprattutto l’occhio di quest’ultimo, da fine antropologo questa volta, torna utile a figurarsi quel trambusto cittadino. Dopo che una volta, volendo guadagnare il Vesuvio, tentò di abbandonare la città in biroccio, raccontò: «il cocchiere non faceva che gridare: “Largo, largo!” per mettere in guardia e far scansare gli asini, che portano legna o rifiuti, i calessi che sfrecciano in senso contrario, gli uomini, i bambini e i vecchi che
{p. 125}trascinano carichi o se ne vanno a passeggio» [176]
. Come un fiotto di lava, si faceva strada il carro «verniciato di un rosso fiammante» e trainato da cavalli impennacchiati di rosso anch’essi [177]
; tagliava in tutta corsa i «rosari di salsicce» che pendevano da un capo all’altro della strada, tra il copricapo del passeggero e la cupola del cielo, «serenamente azzurra», dove – si voleva – i santi patroni si dessero convegno [178]
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Note
[160] Ibidem.
[161] L.A. Muratori, Della forza della fantasia umana, cit., p. 24.
[162] R. Descartes, Regole per la direzione dell’ingegno, Regola XII, in Id., Opere postume. 1650-2009, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009, pp. 751-753. Circa il confronto con la filosofia di Locke, cfr. C. Pogliano, Introduzione, cit., p. 15.
[163] L.A. Muratori, Della forza della fantasia umana, cit., p. 137.
[164] A tal proposito, cfr. G.B. Della Porta, Della magia naturale del Sig. Gio. Battista Della Porta Linceo Napolitano, libri XX tradotti di latino in volgare..., cit., lib. VII, cap. 2. Il napoletano, sotto falso nome di Giovanni de Rosa, in una nota dell’interprete al proemio dello stesso libro, sostiene di esser stato plagiato da William Gilbert (1544-1603) per quel che concerne «tutto il settimo libro che parla della calamita» (ivi, pp. 291-292). Cfr. D. Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel Rinascimento, cit., pp. 92-94. Sul concetto di «forza occulta» cfr. L. Daston e K. Park, Le meraviglie del mondo, cit., pp. 97 e 108.
[165] R.W. Home, L’Età dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. Luce, calore, elettricità e magnetismo, in Storia della Scienza, Enciclopedia Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002, pp. 78-92, in particolare p. 89.
[166] G.B. Della Porta, Della magia naturale del Sig. Gio. Battista Della Porta Linceo Napolitano, libri XX tradotti di latino in volgare..., cit., lib. II, cap. 19.
[167] Ivi, p. 97.
[168] L. Daston, Preternatural Philosophy, in Id. (a cura di), Biographies of Scientific Objects, Chicago, University of Chicago Press, 2000, pp. 15-41, in particolare p. 35.
[169] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 79v.
[170] Ibidem.
[171] Ibidem.
[172] Ibidem.
[173] Ivi, f. 80r.
[174] Ivi, f. 79v.
[175] J.W. Goethe, Viaggio in Italia, cit., p. 398.
[176] Ivi, p. 213.
[177] Ivi, p. 376.
[178] Ivi, pp. 378 e 376.