Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c2
Quel che importa in grado maggiore è
che a essere condivisa, tra individuo e mondo, fosse in primis la
sostanza spirituale. Una membrana sottilissima, «quasi un non-corpo e quasi già anima, e
similmente quasi non-anima e quasi già corpo», tentò di definirla lo stesso neoplatonico
fiorentino (De vita, III, 3)
[108]
. Era grazie a questa comune pellicola che l’uomo avrebbe potuto agire sul
cosmo inviando, ricevendo, quindi scambiando messaggi immaginifici con esso, e
viceversa. Ciò, attraverso un sapiente impiego dei fantasmi, poiché le immagini
fantastiche erano fatte della stessa, sottilissima, materia spirituale. Sosterranno
storici della cultura e delle religioni come Walker e il già citato Culianu che, per una
sua ampia parte – quella mondata dal commercio con le entità demoniache
[109]
– la magia della prima modernità
¶{p. 105}fosse di tipo
immaginifico; che presupponesse la corretta gestione delle immagini mentali e insegnasse
ad agire su sé stessi e sul mondo circostante attraverso una meticolosa manipolazione di
queste ultime. Così, nel tentativo di elaborare una «teoria generale della magia
naturale», Walker scrisse: «la vis imaginativa è quasi sempre
presente, perché è la forza fondamentale, centrale, e le altre [vis
verborum, vis musices, vis
rerum] sono di solito usate solo come ausili per accentuarla o come modi
per comunicarla. Il mezzo di trasmissione abituale in tutto il processo è lo spirito,
cosmico e umano»
[110]
. E Culianu, al netto delle differenze, rimarcherà: «quanto alla magia
propriamente detta, essa rappresenta un sapere che consente all’operatore di sfruttare
le correnti pneumatiche le quali istituiscono rapporti occulti tra le parti dell’universo»
[111]
. Sicché, nella prima età moderna, la teoria dell’immaginazione funzionava
come mitrale del cuore o, generalmente, come una valvola a battente che incamera aria e
inibisce sfiatamenti di sorta; allo stesso modo, essa inglobava in sé dottrine fresche e
ne serbava di più antiche.
Un cambio di tendenza si avvertì nel
Seicento e si protrasse per tutto il Settecento, quando la ragion-magica fu sottoposta a
dura critica
[112]
. Allora, la capacità di azione, ¶{p. 106}riconosciuta
all’immaginazione fino a un secolo prima, ne risultò cintata; le sue aspirazioni
soffocate. D’altra parte, i censori continuarono ad avvalersi a fini esplicativi di
alcune strutture basilari della facoltà fantastica, per come furono teorizzate e
consegnate da Aristotele, dagli Stoici e dai Neoplatonici; da Galeno e dai commentatori
arabi della scienza greca. Ancora al tempo dei Lumi, infatti, era ammesso che
un’immagine che fosse ritenuta nell’imaginativa – una delle
partizioni del senso interno, adibita all’elaborazione dei
phantasmata – fosse in grado di imprimere una trasformazione
nel corpo
[113]
. Di comprometterlo, facendolo ammalare, o di risanarlo. Come? «Sciogliendo»,
diceva il medico de Iorio, quindi lavando l’immagine dalla mente o sostituendola con
un’altra. Sotto il profilo fisiologico, si sosteneva che la rimozione o l’introduzione
di un nuovo phantasma avrebbe impresso un moto differente nei
succitati spiriti – gli esili corpuscoli che si credeva scorressero nel sangue o nei
nervi – i quali avrebbero agito a loro volta sulla materia, facendo ammalare
l’organismo, se influenzati da un’immagine ostile – o liberandolo dal malore
[114]
.¶{p. 107}
Il caso che il medico ordinario
portava all’attenzione era quello dei podagrosi, ossia degli affetti da gotta del piede
(quando il gonfiore e dolore all’alluce compromette la deambulazione). Celebre era il
racconto di allettati che, alla prima scossa sismica avvertita, erano stati visti
issarsi e darsela a gambe. L’immagine di una morte violenta – il finire risucchiati
nelle viscere della terra o seppelliti sotto le rovine pesanti e aguzze di un tetto –
favoriva l’estinguersi della malattia. Il medico, inoltre, menzionava casi di aborto
istantaneo, scatenati da un forte desiderio. Quest’ultimo, difatti, era considerato
intimamente collegato all’immaginazione: cos’altro è il desiderare se non il formarsi
l’immagine di qualcosa bramata – teoria che trovò un suo sviluppo estetico nell’ambito
della poesia dolcestilnovista, infestata di innamorati che, di là dal bramare le carni
dell’amata, commerciavano più che altro con il suo fantasma: l’immagine spirituale della donna
[115]
. Allo stesso modo, la letteratura di età moderna fantasticava di madri che,
desiderose di frutti succosi e pietanze lontane, trasferivano i loro desideri
sull’epidermide del feto sotto forma di macchie. Quando, continuava de Iorio, la loro
fantasia non era così veemente da togliere alla creaturina la vita
[116]
. Una credenza quest’ultima particolarmente pervicace, che sarà sconfessata
solo nel 1729, per opera del medico francese a Londra, James
¶{p. 108}Blondel (1666-1734)
[117]
. Prospero Lambertini terrà fede alle obiezioni di quest’ultimo, sebbene in
più di un’occasione tornerà a fare riferimento all’immaginazione materna, per esempio
riportando il parere di alcuni giuristi che definirono legittimi i bambini concepiti
ex coito, attraverso la forte immaginazione della madre
(vehemente imaginatione) e nonostante l’assenza del marito
[118]
; nonché asserendo che il meccanismo di impressione immagine-epidermide
fosse, più che inconsistente, difficile da spiegare
[119]
. Riabilitato quest’ultimo, sebbene solo in parte, sarà riconsiderato dallo
stesso Vincenzo de Iorio, nonostante, si potrebbe dire, il Settecento fosse nel «mezzo
del cammin di sua vita». E da qualche anno, ormai
[120]
.
4. «Un autorevolissimo napoletano»
A puntellare le tesi sull’«evento
naturale» e la fantasia, de Iorio pose un libro. Un solo libro. L’unico che,
evidentemente, riteneva valesse la pena citare. Il trattato di «un autorevolissimo
napoletano» del Cinquecento
[121]
.¶{p. 109}
Vi è un autorevolissimo napoletano, Giambattista della Porta, che ne fa un intero trattato: de miraculis naturae, dove dà a conoscere questi prodigiosi eventi, ma niente superiori alle leggi naturali, le quali, con tutto lo sforzo ed abilità delle sue cause, non possono operare né veri miracoli, né può operare l’immaginativa umana, la quale ha solamente forza nella macchina umana, in quelle parti del corpo dove l’anima è operatrice e non in quelle parti che sono guaste o rotte [122] .
Si riferiva all’opera
Magia naturalis di Giambattista Della Porta, stampata per la
prima volta nel 1558, in quattro libri, a Napoli e ampliata nel 1589 fino a venti libri
[123]
. Un trattato che ebbe molta fortuna, ma che, allo stesso tempo, addensò su
di sé i sospetti e l’intransigenza della censura cattolica. Per un verso, infatti,
ottenne sedici edizioni latine e sei traduzioni solo in Italia – per non contare quelle
estere: sette in francese, due in olandese e, stando a quanto riportava l’autore, anche
versioni in spagnolo e in arabo
[124]
; per l’altro, fece presenza fissa nell’Index librorum prohibitorum
sino al 1596, quando fu finalmente espunto dall’indice clementino. Tuttavia,
a partire dal 1580, lo si sorprende in una lista di libri di cui si vietava la vendita
e, tre anni dopo, entrava a far parte dell’Indice spagnolo, tra le opere da espurgare;
persino in quello sistino (1590) – mai promulgato – compariva l’edizione del 1559 e,
nell’Index sisto-clementino del 1593, erano incluse,
donec expurgerentur, le edizioni dell’opera precedenti al 1587
[125]
.
Nella deposizione, il medico citava
il testo col nome de miraculis naturae, privilegiando la seconda
parte del titolo originale, invero di poco differente (sive de miraculis rerum
naturalium)
[126]
. Un’imprecisione forse derivata ritraducendo in lingua latina il titolo
dell’edizione volgare De i miracoli et meravigliosi effetti dalla natura
prodotti (1560)
[127]
; o dovuta a uno scherzo della memoria. Difatti, sul frontespizio della prima
edizione, le parole Magiae naturalis sono stampate con caratteri
tipografici talmente piccoli da risultare poco visibili all’occhio, se messe a confronto
con il prosieguo dell’intestazione, De Miraculis rerum naturalium,
che campeggia in grande, nel primo quarto di pagina. La memoria del lettore potrebbe
aver rimosso il particolare sfuggente e fissato l’informazione più evidente. D’altro
canto, la svista potrebbe essere stata volontaria. È possibile, infatti, che da
professore di medicina quale si fregiava, de Iorio trovasse stucchevole il sapore di
quella parola, esotica e stantia: «magia» – sebbene, in ultimo, non si possa escludere
che a riformulare il titolo come lo si legge nelle carte processuali fosse stata, più
banalmente, la mano del notaio. Per quanto si possa sospettare che quest’ultimo avesse
una non minore cognizione dell’opera dell’«autorevolissimo napoletano», i cui titoli, da
quel che si è potuto verificare, circolavano tra i caracciolini della Pietrasanta. Nel
posseduto della biblioteca della basilica di Santa Maria Maggiore era presente un volume
del De humana physiognomia dello stesso autore. Lo si apprende dal
manoscritto Vat. Lat. 11318 della Biblioteca Apostolica Vaticana, consegnato al
cardinale di Venosa «adì 8. di maggio 1600» dall’al tempo padre generale dell’ordine
Andrea Albertini, possibile firmatario del documento
[128]
.{p. 111}
Note
[108] M. Ficino, Sulla vita, cit., p. 198. Per un approfondimento sulla pneumatologia di Ficino resta illuminante il saggio dello storico dell’arte R. Klein, L’immaginazione come veste dell’anima in Marsilio Ficino e Giordano Bruno, in Id., La forma e l’intelligibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna, Torino, Einaudi, 1975, pp. 45-74 (ed. or. La forme et l’intelligible, Paris, Gallimard, 1970). Cfr. ora M.J.E. van den Doel, Ficino and Fantasy, cit., pp. 73-127.
[109] Per un inquadramento sulle teorie e pratiche della magia demoniaca cfr. la raccolta di contributi in C. Fanger (a cura di), Invoking Angels. Theurgic Ideas and Practices, Thirteenth to Sixteenth Centuries, Pennsylvania, The Pennsylvania State University Press, 2012. Nonché J. Machielsen (a cura di), The Science of Demons Early Modern Authors Facing Witchcraft and the Devil, London, Routledge, 2020, soprattutto parti 3-4, incentrate rispettivamente sul dibattito demonologico del XVII secolo e sul rapporto demonologia-teologia; non ultimo, P. Zambelli, Magia bianca magia nera nel Rinascimento, Ravenna, Longo, 2004.
[110] D.P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, cit., p. 76.
[111] I.P. Culianu, Eros e magia nel Rinascimento, cit., p. 191. Critiche al sistema di D.P. Walker, ivi, pp. 168-172.
[112] Che la magia, dalla tarda antichità all’età moderna, non possa essere ridotta a una corona di superstizioni, ma presupponga una concezione ontologica, cosmologica, antropologica e psicologica coerente è un’idea sottesa all’opera giovanile di I.P. Culianu, Iocari serio. Scienza e arte nel pensiero del Rinascimento, cit.; che fa sistema con la successiva e più matura monografia Eros e magia nel Rinascimento, cit. Il riferimento a Immanuel Kant e alla sua Critica della ragion pura non è corsivo, cfr. Postfazione, in Id., Iocari serio, cit., pp. 241-244. A proposito dell’importanza del «sintetizzatore fantasmatico», e più in generale della fisiologia della facoltà immaginativa a fini magici cfr. P. Zambelli, L’immaginazione e il suo potere. Desiderio e fantasia psicosomatica o transitiva, in Id. (a cura di), L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Padova, Marsilio, 1996, pp. 53-75.
[113] Avicenna identificava cinque sensi interni: a) sensus communis o phantasia; b) imaginatio o vis formalis; c) imaginativa o vis cogitativa; d) extimativa o excellentior iudex; e) memoria. Il fatto che egli spacchettasse la phantasia aristotelica (b e c) in immaginazione ritentiva e compositiva sembrerebbe suggerire l’attribuzione di una funzione rispettivamente passiva e attiva alla facoltà. Diversamente, Averroè ne individuava quattro di sensi interni. Le opinioni, dunque, erano molteplici, come documentato in H.A. Wolfson, The Internal Senses in Latin, Arabic and Hebrew Philosophical Texts, in «Harvard Theological Review», 28 (1935), pp. 69-133, ora in I. Twersky e G.H. Williams (a cura di), Studies in the History of Philosophy and Religion, vol. I, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1973, pp. 250-314 e in K. Park, The Organic Soul, in C.B. Schmitt et al. (a cura di), The Cambridge History of Renaissance Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 464-484. Circa la diffusione delle scienze arabe nell’Occidente latino cfr. L. Saif, The Arabic Influences on Early Modern Occult Philosophy, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2015.
[114] A proposito dell’esplicazione in chiave meccanica dei fenomeni «magici» tra la seconda metà del Seicento e il Settecento (qui, in particolare, in Inghilterra) cfr. B.C. Southgate, «The Power of Imagination»: Psychological Explanations in Mid-Seventeenth-Century England, in «History of Science», 30, 9 (1992), pp. 288-292. Per ripercorrere come il concetto si sia sviluppato nell’Ottocento, cfr. R.C. Sha, Imagination and Science in Romanticism, London-Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2018.
[115] Sull’argomento cfr. la monografia, approfondita e ricca di suggestioni, di G. Agamben, Stanze, cit., pp. 121-155.
[116] Sulle voglie materne, cfr. T. Griffero, Immagini attive, cit., pp. 121-142. Più in generale, sulla mitologia-fisiologia dell’utero femminile dall’antichità al Medioevo, cfr. M.E. Couto-Ferreira e L. Verderame (a cura di), Cultural Constructions of the Uterus in Pre-modern Societies. Past and Present, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2018; e per l’età moderna I. Maclean, The Renaissance Notion of Woman: A Study in the Fortunes of Scholasticism and Medical Science in European Intellectual Life, Cambridge, Cambridge University Press, 1980.
[117] P.K. Wilson, «Out of Sight, Out of Mind?»: The Daniel Turner-James Blondel Dispute over the Power of the Maternal Imagination, in «Annals of Science», 49 (1992), pp. 63-85; M. Shildrick, Maternal Imagination: Reconceiving First Impressions, in «Rethinking History», 4, 3 (2000), pp. 243-260.
[118] DSDB, lib. IV, cap. De imaginatione (d’ora in avanti DI), nr. 19.
[119] F. Vidal, Prospero Lambertini’s «On the Imagination and Its Powers», cit., p. 308.
[120] La dissertazione di Blondel sarà tradotta in italiano solo nel 1760, a dimostrazione, forse, della sua lenta diffusione e refrattaria accoglienza: G. Blondel, Dissertazione del Signor Giacomo Blondel inglese, tradotta in italiano, In Ferrara, Per Francesco Gardi all’Insegna del Sansone, 1760.
[121] Nell’elogio accademico steso da Giovanni Faber (1574-1629), trascritto dal Ms. Linc. 4, cc. 318-328 in G. Gabrieli, Giovan Battista Della Porta Linceo, da documenti per gran parte inediti, in «Giornale critico di filosofia italiana», 8, 1 (1927), pp. 360-397 e 423-431 (in particolare pp. 423-428), si dice che Della Porta fu educato alla lettura, alla musica, alla danza, alla ginnastica e ad altri «esercitii cavallereschi», formazione che si era soliti destinare ai giovani nobili di corte.
[122] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 69v.
[123] G.B. Della Porta, Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV. Jo. Baptista Porta Neapolitano auctore, Neapoli, Apud Matthiam Cancer, 1558; G.B. Della Porta, Magiae naturalis libri XX, Neapoli, Horatium Salvianum, 1589.
[124] M. Valente, Della Porta e l’Inquisizione. Nuovi documenti dell’archivio del Sant’Uffizio, in «Bruniana & Campanelliana», 5 (1999), pp. 415-434, in particolare p. 417, n. 8.
[125] Ivi, pp. 423 e 426-427.
[126] G.B. Della Porta, Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV. Jo. Baptista Porta Neapolitano auctore, cit.
[127] G.B. Della Porta, De i miracoli et meravigliosi effetti dalla natura prodotti, Libri IIII, Venetia, Appresso Lodovico Avanzi, 1560.
[128] P. Zito, Le biblioteche dei Caracciolini nel 1600 (Napoli e Roma) secondo il Ms. Vat. Lat. 11318, in I. Fosi e G. Pizzorusso (a cura di), L’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Caracciolini), cit., pp. 317-330, in particolare pp. 318 e 324. Alla luce dei documenti archivistici rinvenuti da M. Valente, Della Porta e l’Inquisizione. Nuovi documenti dell’archivio del Sant’Uffizio, cit., la notizia suscita un certo stupore. Si consideri che, nello stesso periodo della redazione dell’inventario della biblioteca dei caracciolini napoletani, Della Porta e le sue opere erano nel mirino dell’Inquisizione. Limitatamente all’opera in esame, «Il 6 marzo 1593 [Della Porta] subiva un’ulteriore intimazione da parte dell’arcivescovo di Napoli di non tentare di far stampare la Fisionomia» (ivi, p. 426); mentre il 28 settembre 1596, la Congregazione dell’Indice si riuniva e «chiede[va] che la Phisonomia di Della Porta [fosse] inclusa tra le opere da espurgare» (ivi, p. 428).