Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c5
Ai fini della ricerca era per me importante cogliere nel profondo idee e percezioni dei bambini sulla propria quotidianità. Per fare ciò, c’era bisogno che questi fossero in condizione di esprimere liberamente sé stessi, abbassando il livello di autorità di cui solitamente gli adulti dispongono, soprattutto nel contesto scolastico. Nell’educazione scolastica, infatti, è consuetudine la netta separazione tra docenti e dirigenti adulti, che gestiscono il funzionamento della macchina scolastica e sono incaricati di organizzare e trasmettere i saperi, e i gruppi di studenti, solitamente destinatari del sapere, con poca possibilità di decidere sul funzionamento della scuola e sulla didattica. Nelle scuole primarie poi, la giovane età degli studenti – seppur limitando forse la conflittualità che nei gradi di istruzione superiore si viene a creare tra giovani e meno giovani – definisce un netto confine tra il ruolo degli adulti e quello dei bambini. I bambini sono quindi piuttosto abituati a stare all’interno di queste regole, adeguando comportamenti e giudizi al volere degli adulti, o a quello che pensano essere il volere degli
{p. 113}adulti. Da ricercatrice che entra nel mondo della scuola, e che ha bisogno di mettere in discussione la consuetudine per ottenere dati veritieri, ho cercato di concedere gradi maggiori di libertà ai bambini [Cele 2006] rispetto alle loro abitudini e di prendere parte attivamente alle attività facendo assieme. La sfida è imparare come questi utilizzano, si relazionano e riflettono sui fenomeni, sforzandosi di comprendere quali siano le differenze tra bambini e adulti e come sia possibile metterle in comunicazione per generare mutuo apprendimento [ibidem]. Mettere in discussione l’idea che un adulto, che entra in classe e si incarica di un’attività, possa non assumere il ruolo del maestro ordinatore ha richiesto specifiche attenzioni. Una di queste è stata lavorare fin da subito sulla consapevolezza dei bambini del ruolo che avrebbero assunto nella ricerca e sugli obiettivi del lavoro da fare insieme, e cioè studiare una materia cui i maggiori esperti non erano i maestri ma i bambini stessi. Comunicare questo passaggio agli adulti è stato a volte più complesso. Alcuni dei docenti hanno scelto di prendere parte alle attività di laboratorio assieme ai bambini, sperimentando dei rapporti nuovi e più alla pari, confrontandosi all’interno di un unico gruppo in cui si lavorava spalla a spalla. Quando ciò non è accaduto, e i docenti hanno preferito assumere un ruolo di supporto alla tenuta della classe, sono stati comunque affascinati dall’assistere a un’attività inconsueta. In pochi casi gli adulti hanno assunto un atteggiamento di controllo nel lavoro dei bambini, che hanno comunque dimostrato di saper essere ottimi difensori della propria autonomia.

4.2. Metodi e strumenti per indagare il senso di luogo con i bambini

La creazione di un ambiente in cui bambine e bambini possano sentirsi liberi di esprimere sé stessi passa anche attraverso la scelta di metodi e strumenti adeguati al coinvolgimento dei bambini ricercatori. Come noto, la selezione dei metodi e degli strumenti da adottare in un percorso di ricerca non è legata soltanto ai soggetti coinvolti, ma a molti {p. 114}altri fattori come le domande di partenza, il contesto specifico nel quale lo studio viene realizzato, i riferimenti teorici o le risorse a disposizione. Mi preme quindi spiegare meglio la costruzione del percorso laboratoriale realizzato con le scuole e i principi che hanno guidato le scelte metodologiche.
Sono stata impegnata nella realizzazione di tre cicli di laboratorio, in tre diverse scuole primarie, nei mesi tra marzo e giugno del 2022. Ciascun ciclo si componeva di cinque incontri che avevano l’obiettivo di riflettere insieme a bambine e bambini sui luoghi del proprio quotidiano, indagando abitudini, percezioni, sentimenti e desideri rispetto al territorio che abitano, ricostruendo insieme la geografia dei bambini [Malatesta 2015; Holloway e Valentine 2000]. Alla ricerca hanno partecipato tre pluriclassi di scuola primaria della provincia dell’Aquila: i diciannove alunni della quarta-quinta di Barisciano, i dodici della quarta-quinta della scuola di Navelli (due plessi afferenti allo stesso istituto comprensivo, IC Navelli), e i dodici alunni della prima-quinta di Campo di Giove, parte invece dell’Istituto Comprensivo Radice Ovidio di Sulmona. Si può notare sin da subito come le classi coinvolte siano caratterizzate da piccoli numeri e dalla condizione, molto comune nelle scuole dei piccoli comuni [1]
, di avere in un’unica classe alunni di età diverse, anche molto diverse, come nel caso di Campo di Giove dove imparano insieme bambine e bambini tra i sei e i dieci anni. Questo primo elemento legato al contesto non è trascurabile nell’organizzazione del lavoro: le attività proposte dovevano permettere a tutti di esprimersi al meglio e quindi contemplare l’utilizzo di metodi e strumenti diversi avrebbe aumentato la possibilità per ciascuno di trovare un modo confortevole per esprimersi. Una seconda caratteristica di questo tipo di istituti scolastici è che, dal momento che non tutti i piccoli comuni o frazioni posseggono una scuola, non {p. 115}tutti i bambini abitano nella località in cui frequentano le lezioni. Di quali luoghi avremmo parlato quindi nei nostri laboratori? Per qualcuno il sistema scuola, casa, reti sociali era ristretto nella dimensione di un unico centro, per altri invece la rete dei movimenti e delle interazioni quotidiane si dilatava in uno spazio più ampio e meno condiviso con i compagni di classe. Avevo quindi bisogno di stimolare riflessioni sugli spazi condivisi da tutti i bambini del gruppo e su quelli che invece facevano parte soltanto della vita quotidiana dei singoli, cercando alcuni strumenti per riflettere sulla geografia condivisa dalla classe e altri per lavorare invece sulle geografie personali di ciascuno.
L’oggetto del mio lavoro con i bambini, cioè la maniera in cui questi vivono e percepiscono il paese e i luoghi della propria quotidianità, aveva già assunto così una doppia dimensione d’indagine, quella individuale e quella collettiva. Indagare le relazioni tra persone e luoghi pone di per sé una sfida metodologica [Cele 2006] in quanto si vuole affrontare un oggetto complesso e multiforme, entrando nella sfera intima e soggettiva dell’esperienza umana. Come affermato già nei paragrafi precedenti, l’interazione con lo spazio fisico attorno a noi avviene a livello sia fisico sia mentale, la nostra esperienza dei luoghi è fatta di ricordi, di emozioni, ma è vissuta anche attraverso i corpi che nello spazio si muovono, così come tramite le strutture che la società ci trasmette. Complesso è concettualizzare i propri sentimenti e pensieri rispetto ai luoghi e ancor più complesso può risultare comunicarlo. In un lavoro in cui sono i bambini a essere invitati a esprimere idee e sentimenti rispetto ai luoghi, possono non essere le parole la maniera più adatta per raccogliere le loro considerazioni; occorre quindi cercare metodi altri per permettere loro di comunicare lati diversi delle proprie esperienze. Cele [ibidem] evidenzia come gli aspetti astratti (quali sentimenti suscitano i luoghi, quali sogni e immaginari i bambini connettono ai luoghi) e concreti (dove e con cosa i bambini interagiscono) della loro esperienza di luogo, possano emergere diversamente utilizzando metodi diversi, anche in relazione all’età e all’humus culturale nel quale i bambini crescono. In letteratura sono molti infatti i {p. 116}lavori che nel coinvolgere i bambini si servono di metodi di indagine visuale (visual methods) [Cooper 2017; Rose 2007; Burke 2005]; creativa (creative methods) [Giorgi, Vacchelli e Pizzolati 2021; von Benzon et al. 2021; Cele 2006]; basata su pratiche artistiche (arts-informed methods) [Butler-Kisber e Poldma 2010]. Mettendo insieme metodi qualitativi diversi si riesce a dare ai bambini la possibilità di dimostrare la propria prospettiva in un ventaglio di modi, facendo affidamento sui loro «cento linguaggi» [Edwards et al. 1998].
Il lavoro con le classi è stato così organizzato scegliendo di mettere insieme metodi di indagine diversi che coinvolgessero la rappresentazione tramite disegni e fotografie e l’esplorazione attraverso il corpo dei luoghi oggetto di studio e l’elaborazione delle riflessioni con mappe collettive ed esposizioni finali. La costruzione delle singole attività è stata pensata per stimolare i due filoni di ragionamento sulle geografie condivise dai bambini della classe e sulle geografie personali di ciascuno (fig. 5.1), anche se non vi è stata nei vari appuntamenti una netta divisione delle due tematiche.
Sul piano collettivo, ci siamo dedicati alla riflessione su quali fossero i luoghi dei bambini [Malatesta 2015] all’interno dei centri insediativi dove le scuole sono situate. Attraverso una prima fase di brainstorming li abbiamo individuati e rappresentati disegnando. Alcuni di questi luoghi sono diventati le tappe dell’itinerario da attraversare insieme nell’appuntamento successivo: quello dedicato al tour del paese attraverso i luoghi dei bambini. In questa attività – guided tour o walking interview [von Benzon et al. 2021] – i partecipanti erano coscienti che sarebbero stati le mie guide all’interno della loro realtà. Mi ero posta, quale in effetti ero, come estranea al contesto, qualcuno che, arrivato per caso, volesse scoprire di quali luoghi e giochi si componesse la quotidianità dei bambini della classe. Farmi guidare attraverso il paese ci ha dato l’opportunità di acquisire confidenza camminando insieme, scambiando chiacchiere informali. Ha permesso a me di vedere i bambini interagire con i luoghi del proprio quotidiano e tra di loro, cogliere conversazioni distratte o assistere a incontri inattesi. Per i bambini la passeggiata è stata occasione per elaborare l’uso {p. 117}che fanno dei luoghi attraverso il racconto, connettendovi storie e memorie del loro vissuto, personale e collettivo. Inoltre, il percorso stesso che i partecipanti hanno scelto di attraversare, o non attraversare, e lo stimolo della riflessione su questo aspetto, ha messo in evidenza le microgeografie sociali dei luoghi, nonché i loro confini invisibili e simbolici [ibidem]. Così luoghi, appunti, temi emersi dalla passeggiata e disegni realizzati durante il primo incontro sono diventati i dati per costruire una mappa collaborativa. Si tratta di una mappa mentale costruita su un grande cartoncino bianco, con la quale intendevamo rappresentare il paese dei bambini attraverso i luoghi da loro frequentati quotidianamente. Abbiamo poi sintetizzato in simboli le osservazioni fatte insieme – suoni, odori, presenza di animali, vegetazione o persone incontrate durante il walking tour – le distanze in termini di tempo tra un sito e l’altro, il percorso fatto per raggiungerli. In principio ho scelto di non appoggiarci a una carta fisica, ma di chiedere ai bambini di posizionare ciascun oggetto, in relazione a un altro, secondo le percezioni condivise (fig. 5.2).
Fig. 5.1. Organizzazione dei laboratori, elaborazione dell’autrice.
Note
[1] Ai fini della legge, per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti. In un’indagine sul rapporto tra piccola scuola e piccolo comune, promossa da INDIRE nell’ambito del progetto Piccole Scuole, risulta che nel 51,1% dei comuni partecipanti allo studio, sono presenti una o più pluriclassi. Per ulteriori approfondimenti cfr. Bartolini e Mangione [2020].