Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c5
Per riflettere invece sulle geografie personali di ciascun bambino ci siamo serviti dello strumento della macchina fotografica analogica e dei foto-diari. L’utilizzo della fotografia è sembrato il giusto metodo per entrare in quei luoghi che altrimenti non sarebbero stati accessibili, intimi e spesso vissuti individualmente da ciascuno. Allo stesso tempo, lo strumento della macchina fotografica analogica ha appassionato molto i bambini, stimolando entusiasmo nelle attività, riflessione e creatività. Per quasi tutti i partecipanti si trattava di un oggetto mai visto prima, che necessitava di prove e chiarimenti prima di essere utilizzato. Sebbene una macchinetta digitale sarebbe stata per loro più familiare, ho scelto di utilizzare l’analogico per due ragioni importanti: la prima è che il numero di foto che è possibile scattare è limitato e questo aiuta a riflettere prima di scattare, ponderando se davvero si vuole catturare quell’immagine. La seconda è che non è possibile vedere immediatamente la foto che si è scattato, con un grande effetto sorpresa all’arrivo delle stampe che favorisce conversazioni e confronti. ¶{p. 119}Sul piano operativo, una volta chiarito il funzionamento dello strumento, ai bambini è stato chiesto di formare delle coppie e prendere in carico una macchina da condividere. L’obiettivo era scattare, separatamente oppure insieme, foto dei luoghi che in senso positivo o negativo avessero un significato per l’autore, prendendo nota della data e del luogo dove le foto venivano scattate all’interno di un foto-diario personale. Scattare foto e osservare i risultati fornisce una piattaforma per poi parlarne e ascoltare, la natura visuale del materiale raccolto aiuta a facilitare il dialogo tra bambini e adulti a partire dal punto di vista dei bambini [Clarke e Moss 2005]. Infatti, le fotografie scattate sono state utilizzate come stimolo per condurre interviste con i partecipanti servendoci della foto-elicitazione, o, come definita da alcuni autori, photovoice [von Benzon et al. 2021], quando, come in questo caso, a produrre il materiale visuale sono stati i partecipanti stessi. La conversazione sulla base delle immagini è stata organizzata in piccoli gruppi, sia per favorire il confronto, sia per la natura collettiva del processo, sia per il fatto che i bambini avevano spesso scattato le foto insieme. Le domande poste durante le interviste intendevano indagare ¶{p. 120}le ragioni che avevano portato alla scelta di rappresentare un determinato luogo, ma si chiedeva ai bambini anche di esprimere delle preferenze tra i luoghi nella propria raccolta, e in quelle dei compagni, di individuare dettagli per loro interessanti, di fare domande agli altri sulle scelte operate.
Per riannodare le idee emerse a proposito dei luoghi di ciascuno e sui luoghi invece di tutti i bambini, abbiamo sovrapposto alla mappa delle geografie comuni le case e i percorsi quotidiani di ciascuno. Ne è emersa una mappa piena di segni, un intreccio di traiettorie diverse che si incontrano in alcuni nodi, rappresentati da quei luoghi individuati come luoghi dei bambini (fig. 5.3).
A conclusione dei laboratori è stato organizzato in ogni scuola un momento di esposizione dei lavori realizzati insieme ai bambini. L’intento era quello di allargare il confronto e la riflessione sui luoghi dei bambini e sulle idee riguardo al paese anche a genitori e insegnanti. In pratica non è stato così in tutti i casi; per una serie di coincidenze in due delle tre scuole partecipanti questo momento è stato combinato con la festa per la fine dell’anno scolastico. Questo ha generato attenzione sui lavori prodotti e orgoglio da parte ¶{p. 121}dei bambini nel raccontare l’esperienza fatta, ma la volontà degli adulti era comprensibilmente quella di festeggiare e ammirare il lavoro dei bambini più che quella di discuterlo.
4.3. Lo sguardo di bambine e bambini sull’Abruzzo montano
Tentare di restituire una sintesi delle idee dei bambini rispetto ai luoghi che abitano è davvero un’operazione complessa. Proverò in questa sede soltanto a tracciare delle linee comuni nel vissuto dei partecipanti, emerso da una prima analisi dei materiali raccolti. Prima di procedere, è utile mettere a fuoco due aspetti fondamentali che riguardano la diversità di contesti e soggetti che la ricerca ha coinvolto. Nonostante Barisciano, Navelli e Campo di Giove siano identificabili come piccoli comuni, decisamente sotto i cinquemila abitanti, e nonostante essi abbiano alcune linee di similarità riscontrabili ad esempio nella prossimità con parchi nazionali e alte vette montuose (il Gran Sasso per le prime due località e la Majella per la seconda), presentano caratteristiche profondamente diverse. Sia dal punto di vista demografico, sia da quello della struttura urbana e dell’evoluzione storica, sia nelle relazioni che intrattengono con i poli urbani di riferimento, sia nelle vocazioni economiche prevalenti ci sono non poche differenze. Delineare un immaginario comune è quindi possibile soltanto parzialmente, senza scendere nelle dinamiche particolari che interessano ciascuna delle tre realtà. D’altra parte, anche restituire una visione che accomuna bambine e bambini è un’operazione di semplificazione. Ciascun partecipante possiede ovviamente un senso dei luoghi che abita, legato anche al proprio vissuto e alla propria personalità: come già affermato in precedenza, anche all’interno dello stesso gruppo i sensi di luogo sono molteplici. Esiste però un vissuto comune che si alimenta ogni giorno, una forte coesione tra le classi partecipanti e una similitudine tra i gruppi nei modi di agire lo spazio dei diversi centri, che permette di individuare delle caratteristiche condivise nei sensi di luogo della maggior parte dei partecipanti.¶{p. 122}
Dal punto di vista della maniera di vivere i luoghi del proprio quotidiano, in tutte e tre le località dove i laboratori si sono svolti, ho potuto notare una certa libertà da parte dei gruppi di bambini di muoversi all’interno dell’abitato e nelle aree subito all’esterno di esso. Il gioco in gruppo e all’aperto sembra essere la modalità preferita e quotidianamente praticata dalla maggior parte dei partecipanti che, abituati a correre, andare in bicicletta, giocare a calcio o nascondino, spesso senza la sorveglianza degli adulti, frequentano un’articolata rete di luoghi. Interessante è osservare che non vi è una netta distinzione nell’uso di questi spazi tra quelli pensati espressamente per i bambini – luoghi per i bambini [Malatesta 2015; Cele 2006; Holloway e Valentine 2000] – e quelli dove i bambini scelgono autonomamente di giocare – luoghi dei bambini [ibidem]. I giochi si svolgono, senza fare troppo caso alle distinzioni, in una piazza o in un parco giochi, un campetto da calcio o uno storico fontanile. Questo affascinante uso dello spazio è forse facilitato dall’assenza di persone. Dal fatto che l’effetto più visibile dello spopolamento è una scarsa frequentazione delle località, soprattutto durante le ore classicamente lavorative. L’abbandono ha i suoi lati affascinanti per i bambini, soprattutto nella possibilità di organizzare missioni di scoperta nelle case disabitate o emozionanti avventure tra ruderi e cantieri della ricostruzione post-sisma. La tristezza rispetto a questa condizione emerge nei racconti dei bambini soltanto tra le righe, in contrapposizione all’entusiasmo per l’arrivo dei turisti estivi o nelle festività. In queste occasioni, la comunità piuttosto stabile dei bambini del paese, coincidente in alcuni casi quasi del tutto con quella dei bambini della classe, si arricchisce di nuovi membri per alcune settimane. Tutti i partecipanti descrivono questi momenti come i più piacevoli dell’anno, in cui si aggiunge imprevedibilità alla routine quotidiana, una gioia rotta dalle partenze che mettono in luce la delusione nel rimanere in pochi.
Così i bambini, abituati a passare molto tempo in strada conoscono bene i luoghi dove crescono, i possibili collegamenti tra i nodi centrali, i segreti e le scorciatoie, mentre con meno sicurezza raccontano dei fatti storici e delle me
¶{p. 123}morie collettive connesse ai luoghi. Vi è generalmente un grande orgoglio nel parlare del proprio paese, descritto come «stupendo», «avventuroso», «il posto più bello del mondo», «meglio della città». Proprio la relazione tra l’idea di paese e l’idea di città è uno dei temi su cui è stato stimolante ragionare con i bambini. Piuttosto comune nei loro discorsi è la contrapposizione tra paese antico e incontaminato e città moderna e inquinata. Il paese sembra essere quel luogo dove «c’è la montagna» e «ci sono più cose antiche», mentre in città «ci sono le macchine e le industrie». Un’idea di città che non assomiglia tanto a quelle più prossime, L’Aquila e Sulmona, centri medi dai nuclei antichi, ma forse più vicina a una città lontana e immaginata, «Milano grandissima» o «Hollywood dove ci sono le palme». Nel rafforzare l’idea che il paese sia dotato di un’identità chiara e storica, di calma e vicinanza con la natura, ci sono due elementi interessanti. Se da una parte si può scorgere l’influenza di una retorica presente nel senso comune, e alimentata dall’interesse mediatico, che tende a sovrapporre il paese, sia esso frutto di una lottizzazione di metà Novecento o evoluzione di un castello medievale, con la celebre idea del borgo [Barbera, Cersosimo e De Rossi 2022] da visitare; dall’altra c’è l’esperienza quotidiana dei bambini in cui il limite tra il paese e i campi, il bosco, la montagna sembra non essere chiaro. Anzi, sembra non esistere affatto. Alla mia domanda: «andate spesso in montagna?», mi sono sentita rispondere da alcuni dei partecipanti: «noi siamo, in montagna». Questo mette in luce come la montagna venga pensata da questi bambini quale spazio abitato: a fare la montagna sono insieme la rete di luoghi in cui la vita quotidiana si svolge, i campi coltivati o abbandonati, i boschi, le vette, i sentieri per arrivarci. In opposizione quindi a quell’idea di montagna che arriva da lontano, di cui abbiamo discusso all’inizio di questo lavoro.
Note