Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c6
Infine vi sono musei dedicati alle
culture linguistiche rappresentate entro uno spazio geografico: il primo esempio di
questo tipo è stato il Museo della lingua canadese fondato nel 2011 presso l’Università
di Toronto e ancora diretto da Elaine Gold, docente di linguistica in quell’ateneo per
oltre vent’anni. Il Museo è nato per invitare il pubblico canadese a conoscere e a
interessarsi alla ricchezza delle diverse culture linguistiche rappresentate nel vasto
territorio del paese, che comprendono le due lingue ufficiali (inglese e francese), i
loro dialetti locali e un numero considerevole di lingue indigene (fig. 1); e inoltre
numerose «lingue di tradizione» (o heritage languages, come sono
definite nei contesti anglosassoni), fra cui ad esempio l’italiano, disseminate nel
territorio dai migranti che vi si sono stabiliti nel corso del tempo. Il museo funziona
essenzialmente attraverso mostre
¶{p. 64}itineranti, organizzate dagli
studenti dell’ateneo e portate in tutti gli angoli del paese, ma ha anche una piccola
sede fisica presso la Glendon Gallery (Glendon College, Toronto, ON) e un sito molto ben
fatto (https://www.languagemuseum.ca, ultimo accesso: gennaio 2023).
Il Canadian Language Museum
costituisce un modello di museo della lingua assai interessante. L’oggetto rappresentato
è la cultura linguistica entro uno spazio geografico chiaramente identificato, il che
consente di sottrarsi allo spinoso problema di cui si è parlato nel paragrafo
precedente, ossia quali lingue rappresentare. Il museo è legato a una grande università
– che ha pertanto come missione istituzionale l’insegnamento, la ricerca e la
divulgazione del sapere – e, pur dotato di un piccolo spazio al suo interno, si proietta
essenzialmente, se non esclusivamente, verso l’esterno. In epoca di pandemia anche
questo museo ha intensificato le proprie attività in rete e in forma virtuale, che in
questo caso – proprio in ragione della vocazione itinerante con cui il museo è nato – è
in un certo senso un formato naturale per le sue attività.
Un progetto simile è in corso
d’opera da circa dieci anni presso La Sapienza. Si chiama
Eurotales, ed è anch’esso legato a una università e nutrito dalla
collaborazione attiva fra docenti, studenti e territorio (fig. 2). Come il museo
canadese, Eurotales è dedicato a uno spazio geografico, l’Europa, e
¶{p. 65}ha l’ambizione di riuscire a trovare forme innovative per
l’identificazione, la rappresentazione e lo studio, nonché la condivisione del
patrimonio culturale immateriale costituito dalle lingue che si sono intrecciate in
Europa, nella storia passata e nel tempo presente. Il museo-laboratorio raccoglie i dati
sulle lingue in due grandi database: Tracce di voci e
Risonanze. Tracce di voci raccoglie come
singoli oggetti di esposizione e di studio, e dunque come documenti di archivio, le
«tracce di voci» reperibili dal territorio
[9]
. Una traccia (in questa accezione) è una eco di lingua
testimoniata e conservata grazie al suo legame con un monumento, un luogo, un oggetto,
un muro, uno spazio urbano, un murale, un’iscrizione, un graffito; le tracce sono
ricavabili dalla toponomastica, da tradizioni orali, canti o da oggetti parlanti. Esiste
infatti una relazione profonda e stratificata che unisce gli oggetti fisici al loro
intangibile significato, e una dimensione linguistica nell’esperire la cultura
materiale. Gli oggetti si conservano perché le comunità annettono loro un valore; i
luoghi si legano a tradizioni di cui la collettività conserva memoria, e come queste
ultime conservano traccia di atti linguistici che mette conto portare alla luce, per
riuscire così ¶{p. 66}a ricostruire, almeno in parte, l’archeologia
delle lingue che si stratificano nella storia e nella vita dei territori
[10]
.
Considerate nel loro insieme, le
tracce costituiscono un museo vivente in grado di restituire una documentazione delle
lingue che hanno risuonato – a qualunque titolo – in un territorio. L’idea di
Eurotales è di costruire un’esposizione, pensata come un museo
diffuso, il ©Diffuseum, e incoraggiarne la visita, sia virtuale sia
fisica. La dimensione virtuale del museo consente di raggruppare le tracce attraverso un
complesso sistema di parole chiave, in modo che i visitatori possano crearsi itinerari
da percorrere sul territorio nel quale si trovano. A Roma, ad esempio, in prossimità
dell’università si possono inseguire le voci del latino parlato fra IV e VIII secolo
grazie alle testimonianze sparse nelle iscrizioni, visibili in gran numero nei chiostri
della basilica di San Lorenzo fuori le Mura, nei chiostri della basilica dei SS. Quattro
Coronati e nell’area intorno alla basilica di San Giovanni; oppure si possono
rintracciare le voci contemporanee nella street art fra Pigneto, Quadraro e Trullo. Ma è
possibile anche inoltrarsi in viaggi ideali, inseguendo una lingua, una forma o un
personaggio: vi sono ad esempio iscrizioni runiche che corrono dalla Svezia all’Irlanda,
tracce delle firme e delle lingue di mercanti e guerrieri scandinavi inoltratisi sulle
rive dei fiumi che hanno attraversato l’Europa fino a Bisanzio, e sono arrivati in
Italia, lasciando memoria di sé anche nelle catacombe
romane e pugliesi
[11]
; si possono visitare le firme che Byron, Piranesi e altri hanno lasciato
sugli scavi di capo Sunio o a ¶{p. 67}Villa Adriana o i graffiti dei
Lanzichenecchi che sfregiano gli affreschi nelle Stanze Vaticane, e valutare il legame
che essi stabiliscono fra la cultura dei loro autori e i siti di cui si vollero
simbolicamente appropriare.
Il secondo database,
Risonanze, mira a fornire una identificazione, una
classificazione e un archivio delle culture linguistiche degli individui – sia figure
storiche o contemporanee note, sia i membri della comunità e potenzialmente anche i
visitatori dello spazio virtuale (web e app) e del museo-laboratorio che vogliano
partecipare alla raccolta dei materiali fornendo in forma anonima i loro dati personali.
Come le tracce inseguono la memoria della cultura linguistica immateriale legata agli
oggetti materiali, così le risonanze raccolgono i dati legati alla vita delle persone,
in un esperimento di tracciamento, identificazione e ricerca volto a rivelare
l’archeologia delle lingue presenti negli individui e il rapporto funzionale che si è
stabilito fra di esse nel tempo, e che varia naturalmente con la storia politica e
sociale dei territori. Sfugge spesso alla percezione generale, e persino a quella degli
studiosi, che per molti scrittori latini – compresi Catullo, Virgilio e Seneca – il
latino non era la lingua madre, né l’unica in uso. È scoperta recente che a Pompei si
rappresentavano opere teatrali in greco – segno che la conoscenza di quella lingua
doveva essere ben diffusa nella prima età imperiale, e non solo nelle classi
intellettuali –, mentre meno noto è che il sicano era lingua ancora in uso in Sicilia
nel V secolo (testimoniata epigraficamente in caratteri greci; sull’isola si conservano
anche testimonianze epigrafiche di osco in caratteri greci)
[12]
. Si tratta di una preistoria che ha segnato anche le lingue moderne – e
l’italiano fra le altre –, e che costituisce il tratto caratterizzante della cultura
linguistica e della storia culturale dell’Europa. È appena necessario ricordare che per
la maggioranza assoluta degli scrittori canonici della nostra letteratura l’italiano non
¶{p. 68}era lingua madre, né – spesso – la prima o unica lingua di uso
scritto, ma solo la lingua dell’arte. Questo vale naturalmente per gli scrittori
bassomedievali, e più in là per Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto, e via via per
Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Alessandro Manzoni, fino a Grazia Deledda, Luigi
Pirandello, Italo Svevo, Pier Paolo Pasolini e Luigi Meneghello. Questo vale anche –
come è stato segnalato, ma non studiato analiticamente – per altre figure chiave della
nostra storia: qual era la lingua madre di Federico II o di Ildegarda di Bingen, di
Bianca Maria Sforza o di Isabella d’Este? E quale quella di Napoleone, Cavour, Francesco
Crispi o Marie Curie? Quali sono le lingue che in loro hanno risuonato e quali sono le
diverse funzioni che esse hanno svolto per ciascuno di questi individui? Sono dati che
contrastano con l’idea comunemente diffusa che si scrive nella lingua in cui si parla, e
che la nostra cultura personale è fondamentalmente monolingue, quando invece il
monolinguismo è piuttosto l’eccezione che la regola.
Infine, recentissimo è il progetto
dell’Università di Cambridge, diretto da Wendy Ayers-Bennet
[13]
e finanziato dall’ARHC (Arts and Humanities Research Council, un soggetto
pubblico), che ha lanciato un museo pop-up, cioè itinerante e allestito in brevissimo
tempo in luoghi pubblici (centri commerciali, negozi, ristoranti), con lo scopo di
diffondere informazioni e soprattutto interesse per le lingue, per la coscienza della
propria identità linguistica e il multilinguismo. Nelle intenzioni iniziali il progetto
avrebbe dovuto costituire un modo per saggiare l’interesse e la fattibilità di un museo
permanente dedicato alle lingue e al multilinguismo, ma pure in questo caso le
conseguenze della pandemia lo hanno temporaneamente fermato, anche se il museo intende
coltivare almeno una presenza virtuale in rete.
¶{p. 69}
Note
[9] Il sito di Eurotales (www.eurotales.eu), curato dalla società AND (Ambienti narrativi digitali) di Firenze, sarà online a breve.
[10] Il termine «traccia» è stato coniato da Armando Petrucci per descrivere quei testi della prima tradizione scritta del volgare che si conservano in spazi non originariamente destinati alla scrittura, grazie al valore del supporto sul quale sono stati lasciati [Petrucci 1983]. Prendo a prestito la definizione, adattandola alla nostra fattispecie, da Petrucci e dagli studi di antropologia con cui mi pare vi sia una innegabile convergenza [cfr. Bille, Hastrup e Sørensen 2010; Napolitano 2015].
[11] Dodici nomi anglosassoni, ad esempio, sono stati identificati nelle catacombe di Commodilla, dieci nelle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, sempre a Roma, e fra questi anche quello di una donna – Faghild. Si veda per tutta la tematica Sönmez, Cannata e Gahtan [2023].
[12] Fonti inesauribili di notizie sulle stratificazioni linguistiche nella Sicilia antica sono il progetto ERC Crossreads, diretto da Jonathan Prag, e il suo antecedente I-Sicily. Cfr. https://crossreads.web.ox.ac.uk/#/ (ultimo accesso: gennaio 2023).
[13] https://www.mmll.cam.ac.uk/news/pop-world-languages (ultimo accesso: gennaio 2023).