La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c3
Con la fine della guerra e la
rivoluzione che ne seguì questa messa in discussione dell’autorità conobbe un nuovo e
più forte impulso. Nelle scuole e soprattutto nei licei essa si manifestò in una forma
finora inedita, l’elezione dei consigli scolastici. I quali, come ha evidenziato Martin
Geyer, oltre a mostrare la
¶{p. 76}loro faccia ribelle già con il
rifiuto di rivolgere il saluto agli insegnanti, vollero anch’essi, da posizioni liberali
di sinistra, partecipare alla rivoluzione, anche se il loro impegno fu di breve durata.
Un nuovo e non meno appariscente godimento della libertà si manifestò nel comportamento
dei soldati, che una volta tornati a casa se ne andavano in giro indossando larghe
uniformi fuori ordinanza e a volte strappavano perfino le spalline agli ufficiali che
incontravano. Ora la vita sembrava scorrere nel segno della gioventù – in senso lato –
sempre alla ricerca di nuovi modi per soddisfare il piacere di vivere. Non a caso si
imposero nuovi balli come il foxtrot e il tango, abiti più aderenti e costumi sessuali
decisamente più permissivi. Come alla fine del 1919 annotarono con grande disappunto i
responsabili decisionali locali della Sassonia – appartenenti ad un’altra epoca e già in
carica durante il Reich guglielmino, e dunque esponenti del vecchio funzionariato –
c’era «una depravazione e un abbrutimento» della gioventù che si manifestavano in una
«ricerca sfrenata del divertimento, un comportamento assai maleducato per strada … e un
disprezzo delle regole familiari e delle autorità costituite»
[3]
. Senza voler negare i problemi cui un simile comportamento poteva dare
adito, nel giudizio dei funzionari si riflette inequivocabilmente una liberalizzazione
sociale che si accompagnò a quella politica in seguito alla rivoluzione e alla entrata
in vigore della nuova Costituzione.
Il processo di liberalizzazione sul
piano politico è dimostrato dal fatto che ai gruppi sociali finora trascurati vennero
riconosciuti maggiori e più importanti diritti anche rispetto al passato più recente. Il
che valeva per i lavoratori e anche per le donne, alle quali venne riconosciuto il
diritto di voto anche tramite la costituzionalizzazione del suffragio universale
maschile e femminile. I nuovi diritti vennero formalmente recepiti anche nei vari
Länder, che dovettero procedere all’eliminazione delle norme discriminanti ancora
presenti nelle loro Costituzioni: ¶{p. 77}norme che non solo avevano
sempre escluso le donne, ma avevano sempre attribuito un peso chiaramente minore ai voti
dei lavoratori rispetto a quelli espressi dagli appartenenti alle classi abbienti. Già
con l’Accordo Stinnes-Legien dei giorni della rivoluzione i sindacati liberi erano stati
accettati come partner a pieno titolo dei datori di lavoro anche in settori un tempo ad
essi preclusi come quello, di fondamentale importanza, dell’industria pesante. A ciò si
aggiunga che la giornata lavorativa di otto ore introdotta con l’accordo in questione,
anche se negli anni successivi i datori di lavoro non sempre rispettarono l’impegno
preso, garantì ai lavoratori un significativo aumento del tempo libero a disposizione e
in tal modo diede loro anche maggiori possibilità di decidere autonomamente il proprio
stile di vita. Oltre a riconoscere i classici diritti fondamentali, la Costituzione fece
della Germania una democrazia parlamentare e malgrado il suo carattere compromissorio si
poterono gettare le basi di un ordinamento politico-sociale liberale.
Spesso decantata e in questa sede
non oggetto di una dettagliata disamina, la scena culturale weimariana diede un forte
impulso al processo di liberalizzazione, soprattutto grazie alla sua varietà, al suo
carattere sperimentale e al fatto che numerosi ruoli guida vennero assunti da ex
outsider. Certo, non bisogna trascurare il fatto che la sua influenza si fece sentire
soprattutto nelle aree urbane, in particolare a Berlino, mentre nel resto della Germania
continuavano a prevalere altri modelli culturali; né d’altro canto bisogna dimenticare
che tra gli attori e i creatori culturali non mancavano certo quelli con un profilo
decisamente conservatore. Sviluppatasi in un contesto urbano, anche l’idea guida della
«nuova donna» svolse un ruolo significativo nel processo di liberalizzazione. Tale idea,
d’altra parte, fu prima di tutto un fenomeno mediatico, e dal momento che l’accento
veniva posto in particolare su aspetti come sportività e indipendenza il tradizionale, e
prevalente, modello imperniato su matrimonio e maternità non ne veniva in alcun modo
scalfito.¶{p. 78}
III.
Nel corso dell’epoca weimariana la
liberalizzazione sociale trovò espressione in un modo quanto mai ambivalente nel vero e
proprio boom dell’attività sportiva. Le associazioni sportive videro aumentare
notevolmente il numero degli iscritti, che nel 1925 erano già più di cinque milioni e
quindi superavano i membri delle organizzazioni paramilitari chiaramente responsabili
del processo di militarizzazione di cui si dirà in seguito. L’offerta era in continua
crescita, e oltre al calcio anche sport come il tennis e il pugilato videro aumentare
enormemente la loro popolarità. Un contributo alla liberalizzazione sociale lo sport lo
diede soprattutto diffondendo nuovi stili di vita, in particolare quello legato al
concetto della «nuova donna». Come Eric Jensen ha potuto dimostrare, questo avvenne con
il pugilato, cui anche le donne non rimasero estranee, ma soprattutto con il tennis. I
tennisti di successo potevano esibire senza problemi una virilità ‘dolce’, mentre le
tenniste più popolari venivano celebrate proprio per la violenza dei loro colpi e per la
grinta che dimostravano sul campo. Sta di fatto che uomini e donne acquisirono ruoli
nuovi e decisamente diversi rispetto ai modelli fino ad allora dominanti. Il che, certo,
contribuì alla liberalizzazione dei rapporti tra i sessi, ma senza mai mettere
sostanzialmente in discussione la loro tradizionale collocazione.
Ben diversa, d’altra parte, fu la
valenza che lo sport assunse nel momento in cui gli venne assegnato un compito di
educazione popolare a livello nazionale, un compito a fronte del quale il singolo non
poteva che passare in secondo piano rispetto alla comunità da educare. Come risulta dalle ricerche di Sonja Levsen, questo aspetto
emerge in modo particolare nella pratica sportiva studentesca, che dopo la sconfitta in
guerra venne diversamente definita e rivalutata. Mentre fino al 1914 la
Mensur e la capacità di reggere l’alcol costituivano una prova
di virilità, a prevalere era ora il «modello dello sportivo-guerriero»
[4]
. ¶{p. 79}Oltre alla scherma, c’erano anche altri sport – in
particolare il nuoto, l’ippica o l’atletica leggera – che potevano consentire agli
«sportivi» di acquisire l’agilità e la destrezza necessarie in vista di un loro impiego
come soldati nel momento in cui si sarebbe tornati alla coscrizione obbligatoria abolita
dal Trattato di Versailles. Non c’è dubbio che anche questo aspetto dello sport può essere considerato
un contributo alla militarizzazione, tanto più che molti studenti nel corso dei primi
anni della Repubblica di Weimar, quelli caratterizzati da una situazione generale quasi
da guerra civile, avevano combattuto come volontari in organizzazioni paramilitari, non
di rado dopo aver preso parte, sempre come volontari, anche alla Prima guerra mondiale.
Occorre anche considerare che già nel 1911 lo Stato aveva costituito formazioni
paramilitari giovanili che avevano il compito di
preparare i giovani al servizio militare (e anche di sottrarli alla perniciosa influenza
dei socialdemocratici). Durante la guerra, è vero, la loro importanza diminuì ma non
scomparvero del tutto, sicché si può qui riconoscere una linea di continuità nel
processo di militarizzazione anche al di fuori dell’impiego diretto in guerra,
militarizzazione che durante il conflitto procedette in parallelo alla già trattata
liberalizzazione.
D’altro canto, il rapporto tra
sport e militarizzazione si complica un po’ allorché si deve prendere atto che nel caso
delle associazioni studentesche, malgrado la loro ribadita dimensione comunitaria, era
comunque presente il desiderio di veder riconosciuto il merito individuale, come del
resto si evince dalle continue e forti lamentele nei confronti di chi era solo alla
«ricerca del record»
[5]
. Anche nel caso delle associazioni sportive di tiro che negli anni di Weimar
spuntarono come funghi non si può non constatare un analogo mix di addestramento
paramilitare e di puro e semplice desiderio di valersi di un nuovo sport. La nuova
attitudine a considerare e ad apprezzare lo sport come un’attività nella quale si
esaltavano la prestazione individuale e i risultati raggiunti non contribuì
necessariamente alla liberalizzazione politica; le implicazioni politiche furono anzi
piuttosto polivalenti. Tuttavia, anche rispetto al processo di
¶{p. 80}militarizzazione gli effetti della partecipazione alle
associazioni studentesche sportive o ai club di tiro non furono né evidenti né
congruenti con le finalità programmatiche di queste nuove attività sportive.
IV.
Abbastanza chiara sembra essere
invece, almeno di primo acchito, la diagnosi relativa alla militarizzazione della
Repubblica di Weimar come conseguenza della formazione dei gruppi paramilitari e del
loro sempre più frequente ricorso alla violenza a seguito dello scoppio della
rivoluzione. Come è noto, una prima fase che andò dall’inizio di novembre fino alla metà
di dicembre del 1918 e nel corso della quale non si registrarono scontri particolarmente
aspri, fu seguita da una seconda che invece fu contrassegnata da un crescente ricorso
alla violenza. Che venne scatenata soprattutto dagli scontri che ebbero luogo nel
periodo natalizio intorno al Marstall a Berlino e dalla cosiddetta sollevazione
«spartachista» del gennaio del 1919, crebbe d’intensità in seguito agli scontri che
ebbero luogo a Berlino, e non solo, nel mese di marzo e toccò provvisoriamente il
culmine con la brutale repressione della seconda repubblica dei Consigli a Monaco nel
maggio del 1919. Ad una sorta di ripetizione e all’ulteriore aumento di un tasso di
violenza che era ormai da guerra civile contribuirono i conflitti armati che scoppiarono
nel 1920 in seguito al Putsch di Kapp, in primo luogo nella Ruhr, e che ebbero una sorta
di epilogo nell’«azione di marzo» della KPD e nella sua
successiva repressione (1921). Diversi furono i fattori che contribuirono agli scoppi di
violenza: l’esitante comportamento dei socialdemocratici maggioritari, che controllavano
il governo ma erano restii ad operare profondi cambiamenti in campo economico, nella
pubblica amministrazione e nelle forze armate, un movimento di massa deluso per le
mancate riforme che da un lato si veniva restringendo e dall’altro si radicalizzava, i
maldestri tentativi della sinistra radicale di continuare la rivoluzione e il graduale
ma continuo rafforzamento delle forze controrivoluzionarie. Anche la paura giocò un
ruolo
¶{p. 81}molto importante: la paura diffusa tra i soldati
rivoluzionari di una cospirazione delle forze controrivoluzionarie nelle vecchie forze
armate, la paura di un tentativo di presa del potere da parte dei bolscevichi e il caos
che ne conseguì nelle file della borghesia e tra i socialdemocratici moderati.
Autosuggestioni e voci incontrollate contribuirono all’escalation della violenza. A
fronte della dissoluzione del vecchio esercito imperiale il governo guidato dai
socialdemocratici maggioritari acconsentì alla creazione di gruppi paramilitari di
volontari allo scopo di contrastare le formazioni della sinistra radicale da poco
costituite e spesso caratterizzate da un basso livello di disciplina.
Note
[3] Lettera del Regierungspräsident di Magdeburgo al ministro degli Interni prussiano, 25 ottobre 1919, in Landesarchiv Sachsen-Anhalt Dresden, sez. Magdeburg, C 20 Ib 1996/I, cc. 332 s.
[4] S. Levsen, Elite, Männlichkeit und Krieg. Tübinger und Cambridger Studenten 1900-1929, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2005, p. 258.
[5] Ibidem, pp. 263 s.