La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c1
Certo, nel 1919 nessuno poteva
prevedere le conseguenze fatali che l’applicazione della «costituzione di riserva»
presidenziale (Karl Dietrich Bracher), vale a dire la combinazione degli articoli 25
(scioglimento del Reichstag), 48 (misure necessarie
¶{p. 36}al
ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica) e 53 (nomina e revoca del
cancelliere del Reich), avrebbe poi avuto nella fase finale sulla tenuta della
Repubblica di Weimar. In ogni caso non mancarono le voci ammonitrici, come quella del
socialdemocratico indipendente Oskar Cohn, il quale, intervenendo in occasione della
discussione sull’articolo 48, concluse il suo discorso con una famosa analogia tra il
presente e il futuro. Se oggi fa sparare sui rivoluzionari, il ministro della Reichswehr
Noske ottempera solo al mandato ricevuto dal suo partito, affermò Cohn, ma se domani
«… a ricoprire la carica di presidente del Reich non ci fosse per caso un socialdemocratico … [?] Se … dopo 15 anni un Hohenzollern, o anche prima un seguace degli Hohenzollern, magari un generale, si ritrovasse alla testa del Reich o del Ministero della Reichswehr? Che cosa vi aspettereste dunque da un simile personaggio se dovesse farsi guidare dalle idee e dalle direttive del suo partito?» [11] .
Tanto era cieca la sua analisi del
presente, tanto era profetica la sua visione del futuro. Quel che è certo è che nel
plenum dell’Assemblea nazionale la sua fu l’unica presa di posizione capace di
anticipare il pericolo reale rappresentato da un regime presidenziale
[12]
.
Inizialmente, nella grande
maggioranza dell’Assemblea nazionale prevalse una fiducia di fondo del campo borghese (e
socialdemocratico) nella efficacia del principio parlamentare, fiducia alimentata
dall’esperienza. Così, ad esempio, l’articolo 53 non diede adito a particolari problemi
dal momento che il cancelliere e il gabinetto del Reich avrebbero dovuto ottenere la
fiducia del Reichstag
[13]
. L’articolo 48, è vero, riconosceva ¶{p. 37}al presidente
del Reich diversi importanti poteri – su questo c’era consenso – ma, primo, per ogni
decreto di emergenza era necessaria la controfirma del cancelliere del Reich; secondo,
il Reichstag poteva sempre annullare ogni decreto di emergenza del presidente del Reich,
e, terzo, l’Assemblea nazionale pensò ad una legge di attuazione – che però non venne
mai emanata. «Una semplice parola del Parlamento sarebbe sufficiente ad introdurre
subito una modifica se non si è soddisfatti di ciò che viene decretato»
[14]
.
Anche l’articolo 25, che attribuiva
al presidente del Reich la facoltà di sciogliere il Reichstag, venne considerato un
potere certo ampio ma necessario. Se il Reichstag, infatti, non avesse rispettato la
volontà popolare, in tal caso si sarebbe tornati al voto per verificare nuovamente la
volontà dell’elettorato.
Qui non ci sono dubbi: una
situazione come quella che si presentò nel settembre del 1932, con un Reichstag dominato
da una maggioranza negativa di forze estremiste, un cancelliere come Franz von Papen
attivamente impegnato contro il sistema parlamentare e un decreto di scioglimento del
Reichstag ai sensi dell’articolo 25 perché «c’è il rischio che annulli il mio decreto
d’emergenza del 4 settembre 1932», andava ben oltre ogni capacità di previsione
costituzionale della Assemblea nazionale. Questa situazione non aveva niente, ma proprio
niente a che fare con lo spirito della Costituzione weimariana, il cui impianto
istituzionale era definito da «un presidente eletto dal popolo affiancato da un governo
rigorosamente parlamentare». In tal modo, come Hugo Preuß sottolineò,
«… si regge e cade tutta la struttura del governo … Per la nostra particolare situazione, la combinazione tra una forte presidenza e il Reichstag, dunque tra due organi parimenti democratici, è la soluzione migliore se entrambi sono collegati mediante l’istituzione del governo parlamentare» [15] . ¶{p. 38}
Weimar, pertanto, dimostra quanto
‘possa’ essere perlomeno rischiosa la coabitazione di istituzioni fondate su principi di
legittimazione democratica diversi, in particolare quando un Paese è fortemente diviso e
la volontà popolare appare molto frammentata. Ciò può portare alla paralisi del sistema
democratico, e proprio la Brexit ci fornisce un esempio attuale di quanto questo possa
essere pericoloso
[16]
.
2. La Costituzione di Weimar come modello negativo per la Repubblica di Bonn
Dopo il 1945 il tema più a lungo
dibattuto relativamente alla Repubblica di Weimar è stato quello che ha riguardato il
suo fallimento. Sul punto hanno prevalso all’inizio analisi molto semplici, come ad
esempio quella del politico socialdemocratico Otto Braun secondo il quale la
responsabilità per l’ascesa dei nazionalisti andava addebitata a «Versailles e Mosca».
La tentazione di espungere, per così dire, Hitler e il regime nazista dalla storia
tedesca con l’ausilio di modelli di spiegazione esterni era moneta ancora corrente ben
oltre gli anni Cinquanta. Venivano chiamati di volta in volta in causa la crisi
economica mondiale, la «massificazione» dell’età moderna, il comunismo ma anche il
«demoniaco» che albergava nella persona di Hitler. Ben presto, però, l’attenzione si
focalizzò principalmente sulla Costituzione weimariana; e in tal modo cominciò anche il
processo di significazione di Weimar come modello negativo per la Repubblica federale in
via di consolidamento.
In questo senso il «complesso di
Weimar» (Sebastian Ullrich) divenne un costante e specifico riferimento alla prima
democrazia tedesca nel senso ben riassunto in uno slogan che avrebbe goduto di grande
fortuna: «Bonn non è Weimar»
[17]
. Negli ¶{p. 39}anni Cinquanta, in effetti, i cittadini della
Repubblica federale tedesca fecero con la loro giovane democrazia un’esperienza ben
diversa da quella che avevano fatto quelli che erano vissuti all’epoca di Weimar: in
luogo di crisi continue una insperata stabilità di governo. Invece di evitarla, come era
avvenuto durante gli anni di Weimar, i partiti non solo si assumevano la responsabilità
del governo ma addirittura la cercavano. La Repubblica federale otteneva grandi successi
sul piano economico e cresceva d’importanza nei suoi rendimenti come Stato sociale,
sicché la situazione generale appariva molto diversa rispetto a quella caratterizzata
dalla miseria di massa causata dalla crisi economica mondiale che aveva contraddistinto
buona parte dell’epoca weimariana. Senza contare che anche in politica estera la
Repubblica federale tedesca otteneva non pochi successi e, diversamente dalla Repubblica
di Weimar nei suoi primi anni di vita, non era isolata sul piano internazionale.
Di tutto questo il governo Adenauer
fu l’emblema: un governo stabile saldamente guidato dal capo dell’esecutivo, ovvero una
«democrazia del cancelliere» in luogo degli instabili governi e dei deboli cancellieri
dell’epoca weimariana. Questa esperienza di segno opposto rispetto alla Repubblica di
Weimar si rivelò decisiva per lo sviluppo dell’identità costituzionale e democratica
della Repubblica federale. Essa soddisfaceva il bisogno dei tedeschi dell’Ovest di poter
procurarsi una nuova identità storica e quindi di prendere quanto più a lungo e più
chiaramente possibile le distanze da un triste e desolante passato. Contro la democrazia
parlamentare degli anni Cinquanta, in effetti, si levarono ben poche voci critiche,
mentre le lacerazioni politico-sociali della Repubblica di Weimar assursero a costante
punto di riferimento negativo.
Era questo il contesto in cui
l’esperienza storica di Weimar venne in certo qual modo trasformata in un
imprescindibile insegnamento che legittimava l’ordinamento democratico-parlamentare
della Repubblica di Bonn e corroborava l’immagine che la vecchia-nuova elite
parlamentare aveva di se stessa. Al centro c’era ora la Costituzione di Weimar con le
sue decisive carenze strutturali e di funzionamento. Il nesso in essa presente tra
modello parlamentare ed elementi di presidenzialismo e di
¶{p. 40}democrazia diretta finì al centro di un dibattito teorico sulla
democrazia e divenne l’argomento principale delle critiche retrospettivamente rivolte al
suo indirizzo.
Certo, questa era il risultato di
una rielaborazione successiva più che di una esperienza diretta dei politici weimariani.
Dopo il 1945, in ogni caso, i politici che erano già attivi durante la Repubblica di
Weimar difficilmente facevano riferimento a presunte carenze strutturali della
Costituzione del 1919. Nelle loro analisi e nelle loro memorie la Costituzione non
rivestiva praticamente alcun ruolo nel fallimento della democrazia
[18]
, anche se la maggioranza dei componenti della commissione incaricata della
stesura della Costituzione che si riunì nell’ex convento di Herrenchiemsee si trovò
comunque d’accordo sul fatto che «il presidente federale in nessun caso doveva godere
degli ampi poteri che la Costituzione di Weimar aveva riconosciuto al presidente del Reich»
[19]
. E nelle deliberazioni del Consiglio parlamentare Theodor Heuss escluse
categoricamente, con un verdetto che in seguito sarebbe stato spesso citato, la
possibilità di introdurre elementi di democrazia diretta a livello federale. Per la
Svizzera, disse, questa era forse una strada praticabile, ma l’esperienza di Weimar
aveva dimostrato che lo strumento del plebiscito non andava bene ai fini di un iter
democraticamente regolato della formazione della volontà popolare. Per Heuss, infine, in
un «Paese democratico di grandi dimensioni» le petizioni e i referendum erano solo «una
ricompensa per ogni demagogo»
[20]
. Queste prese di posizione, d’altro canto, non favorirono un più intenso
dibattito teorico in materia costituzionale.
¶{p. 41}
Note
[11] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, vol. 327, 47a seduta, p. 1330, 5 luglio 1919 (Oskar Cohn).
[12] Si veda su Cohn la biografia di L. Heid, Oskar Cohn. Ein Sozialist und Zionist im Kaiserreich und in der Weimarer Republik, Frankfurt a.M. - New York, Campus, 2002, qui pp. 90 ss. in particolare sul suo ruolo in seno alla Assemblea nazionale.
[13] Si veda per esempio le Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, vol. 327, 47a seduta, p. 1330, 5 luglio 1919 (Hugo Preuß); p. 1339 (Rudolf Heinze, DVP).
[14] Si veda per esempio ibidem, vol. 327, 47a seduta, 5 luglio 1919, pp. 1324 e 1330 (Hugo Preuß); pp. 1332 s. (Dohna-Schlodien, Theobald Alexander Graf zu Haas). La citazione proviene dal ministro degli Interni prussiano, Wolfgang Heine, ibidem, p. 1336.
[15] Ibidem, vol. 336: allegati ai resoconti stenografici, n. 391: relazione del Comitato costituzionale, p. 235, 4 aprile 1919.
[17] F.R. Allemann, Bonn ist nicht Weimar, Köln - Berlin, Kiepenheuer & Witsch, 1956. S. Ullrich, Der Weimar-Komplex. Das Scheitern der ersten deutschen Demokratie und die politische Kultur der frühen Bundesrepublik, Göttingen, Wallstein, 2009.
[18] A. Wirsching, Konstruktion und Erosion. Weimarer Argumente gegen Volksbegehren und Volksentscheid, in A. Wirsching et al. (edd), Demokratie und Gesellschaft. Historische Studien zur europäischen Moderne, Göttingen, Wallstein, 2019, pp. 40-55 (20031).
[19] Il Consiglio parlamentare del 1948-1949. Atti e verbali, pubblicato per il Bundestag tedesco e dall’Archivio federale sotto la direzione di Kurt Georg Wernicke e Hans Booms, in Deutscher Bundestag und Bundesarchiv (ed), Der Verfassungskonvent auf Herrenchiemsee, II, Boppard am Rhein, Boldt, 1981, doc. n. 14, p. 546.
[20] Ibidem, IX: Plenum, revisione di W. Werner, München, 1996, seduta del 9 settembre 1948, pp. 111 s. (la citazione a p. 111).