Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c1

La Costituzione di Weimar tra svolta democratica e cultura del ricordo
Traduzione di Enzo Morandi

Notizie Autori
Andreas Wirsching è professore ordinario di Storia contemporanea, Ludwig-Maximilians-Universität, München, e direttore dell’Institut für Zeitgeschichte, München-Berlin.
Abstract
Vengono qui ripercorse le brevi e travagliate vicende che hanno segnato il passaggio dallo Stato nazionale tedesco alla Repubblica di Weimar, con un particolare occhio di riguardo nei confronti di quella svolta che ha determinato l’abbandono della forma monarchica in favore di un ordinamento politico di natura democratica. Nello specifico si considerano i principali argomenti del dibattito politico-costituzionale che da un lato hanno portato alla nascita della nuova repubblica e che hanno, di contro, anche successivamente determinato l’ascesa al potere del Reich nazista. Weimar rappresenta quindi un importante esempio “negativo” che ha inciso profondamente sul modo di concepire, sia da parte della Repubblica di Bonn che da parte della Germania riunificata, una struttura politica democratica efficace.
La storia è sempre contemporanea. È un argomento cui si ricorre quando il presente viene messo in relazione con qualcosa di passato, laddove il segno – non importa se positivo o negativo – può rimanere inizialmente indeterminato. Nella storia tedesca sono poche le epoche che possono competere con la Repubblica di Weimar come argomento politico, e questo vale soprattutto con riguardo alla sua Costituzione. Ma anche in questo caso trova applicazione un principio basilare della storia: l’argomento era (ed è) soggetto alle trasformazioni del tempo. In linea di massima c’erano e ci sono molti modi di guardare a Weimar e conseguentemente anche molti modi di usare Weimar come argomento politico. Forzando un po’ i termini della questione, l’argomento Weimar muta in quanto variabile dipendente delle forme di autocomprensione storica della Repubblica federale come seconda democrazia tedesca.
Nelle pagine che seguono concentreremo l’attenzione sulla fase della genesi della Costituzione, sulle motivazioni e le forze motrici che spinsero i membri dell’Assemblea nazionale costituente di Weimar (1). Una seconda riflessione riguarderà i processi di significazione di Weimar e della sua Costituzione come modello negativo della prima Repubblica federale (2), mentre nella parte finale del presente saggio si accennerà al dibattito attuale (3).{p. 32}

1. La Costituzione di Weimar come svolta democratica

Uno dei fattori che caratterizzarono profondamente la storia dello Stato nazionale tedesco sorto nel 1871 era la sensazione di trovarsi sotto una, per così dire, strutturale pressione temporale e che fosse quindi necessario bruciare le tappe sul piano politico-sociale. Il vivo desiderio di uscire il più in fretta possibile da una situazione vissuta come opprimente e nel contempo di facilitare l’avvento di uno stato di cose che si immaginava potesse essere nuovo e migliore caratterizzava già il Reich guglielmino, notoriamente impaziente di poter finalmente diventare una potenza mondiale.
Ad attraversare come un filo rosso anche i dibattiti in seno alla Assemblea nazionale weimariana fu dunque il «metodo della promessa» [1]
, per cui i politici democratici da un lato volsero lo sguardo al futuro e dall’altro presero radicalmente le distanze dal passato – e in tal modo si ritrovarono sotto una particolare pressione. Per i partiti della coalizione weimariana che si erano ritrovati insieme nella edificazione della democrazia, la rivoluzione e il passaggio dalla monarchia alla repubblica costituirono una ineludibile cesura. «È finito per sempre il tempo dei vecchi re e dei principi per grazia di Dio», proclamò Friedrich Ebert in occasione dell’apertura dell’Assemblea nazionale. «Così come è certo che in questa Assemblea c’è una grande maggioranza repubblicana, lo è altrettanto il fatto che le vecchie servitù di diritto divino non ci sono più» [2]
. «La riga è tirata ed è tirata una volta per sempre», confermò Friedrich Naumann il 13 febbraio del 1919 [3]
. Solo una simile, radicale chiusura col {p. 33}passato consentiva di valorizzare appieno e liberamente la volontà rivolta al futuro. Sempre Naumann si affrettò anche ad aggiungere: «In tempi di così grande oppressione non rimane altro che quella volontà credente che guarda oltre il presente» [4]
. «Noi, che vogliamo consapevolmente costruire insieme le basi per questo sviluppo» – era questo il tratto volontaristico che accompagnava il «metodo della promessa».
Il tema centrale dell’Assemblea nazionale ruotava intorno ad una fondamentale questione di teoria democratica che per inciso si può considerare attuale anche oggi e che si può riassumere così: qual è il sistema che meglio consente al popolo di esprimere la sua volontà in una democrazia in via di edificazione? Come si potrà in futuro far emergere la volontà empirica del popolo nel modo più accurato e scrupoloso possibile e tradurla poi in pratica concreta? Per rispondere a queste domande chiave sul terreno politico-costituzionale la particolare percezione del tempo in cui gli eletti si trovavano ad agire era della massima importanza. Non c’era, ad esempio, alcun precedente storico cui rifarsi per definire un ordinamento democratico, se si prescinde dall’edificio teorico della Verfassung della Paulskirche (Francoforte, 1848). «Bisognava trovare subito il passaggio dal cripto-assolutismo del passato al parlamentarismo fortemente connotato in senso democratico», come ebbe modo di sottolineare Hugo Preuß [5]
. Il quale, come è noto, era lo spiritus rector dei lavori della Assemblea costituente [6]
, e alcuni tratti fondamentali della futura Costituzione erano già stati delineati prima dell’insediamento dell’Assemblea nazionale. Così, tra il 9 e il 12 dicembre del 1918 la «sala parto della Costituzione di Weimar» fu soprattutto il comitato informale per le consul{p. 34}tazioni sul progetto di costituzione prussiana istituito presso il Ministero degli Interni del Reich [7]
. Non mancavano certo modelli democratici già adottati con successo in altri Paesi occidentali, ma come è noto vennero scartati. I costituzionalisti consideravano la democrazia americana troppo presidenzialista e la Terza repubblica francese troppo sbilanciata in favore del Parlamento. Si decise quindi per un sistema ibrido. «Nel nostro caso sono combinati insieme due diversi sistemi, l’americano e il francese», ebbe già modo di osservare Friedrich Meinecke [8]
. Detto diversamente: l’Assemblea nazionale non ‘poteva’ rifarsi al passato nazionale e non ‘voleva’ rifarsi ad esempi stranieri.
Nel corso del dibattito, quindi, si preferì ignorare il passato e rivolgere lo sguardo esclusivamente al futuro. Il che costituì una risorsa e un peso allo stesso tempo. Da un lato il futuro appariva ampiamente plasmabile: se si fossero adottate solo le ‘giuste’ disposizioni la democrazia avrebbe potuto svilupparsi in modo organico nonostante il suo repentino inizio; dall’altro, però, se l’esperienza del passato non conta più ma nello stesso tempo il futuro è più incerto che mai, in tal caso si apre la strada alla teoria. Con il risultato che i parlamentari si esercitarono per ampi tratti nell’arte della previsione politico-costituzionale. Previsione pura e semplice, non di rado, anzi, vera e propria speculazione su ciò che poteva succedere in questa o in quella plausibile situazione e su quali fossero le {p. 35}norme più adatte per regolamentare il ruolo dei futuri organi costituzionali e le loro interazioni.
Solo su questo sfondo si può comprendere la genesi dell’assai discusso ordinamento costituzionale di Weimar. Come è noto, esso fu il risultato della innovativa e – come si ritenne – particolarmente «democratica» combinazione dei tre modelli conosciuti tramite i quali si poteva democraticamente esprimere la volontà popolare: il plebiscitario, il presidenziale e il rappresentativo. Si preferì scartare il modello rappresentativo puro a causa del pericolo delineato dal cosiddetto «assolutismo parlamentare» – una ipotesi poco plausibile di Robert Redslob, condivisa da Hugo Preuß, che nasceva da una percezione sbagliata sia del sistema parlamentare francese che di quello inglese [9]
. Si trattava, d’altro canto, di una opinione molto diffusa. Di questo avviso, ad esempio, era anche Bruno Ablaß, vale a dire uno dei più influenti esponenti del partito democratico tedesco (DDP) in seno al comitato costituzionale, che non a caso sottolineò la nuova strada verso il futuro che aveva in mente con queste parole:
«Vogliamo un governo democratico-parlamentare. Perciò il progetto costituzionale imbocca una strada del tutto nuova, che propone una buona soluzione sulla base del vero parlamentarismo. In Francia dopo le elezioni il popolo non ha alcuna possibilità di controllare l’onnipotente Parlamento. Non è questo il vero parlamentarismo. Non vogliamo un Parlamento onnipotente; il potere di controllo deve spettare al presidente del Reich, che in quanto eletto dal popolo esercita una funzione di contrappeso nei confronti del Reichstag» [10]
.
Certo, nel 1919 nessuno poteva prevedere le conseguenze fatali che l’applicazione della «costituzione di riserva» presidenziale (Karl Dietrich Bracher), vale a dire la combinazione degli articoli 25 (scioglimento del Reichstag), 48 (misure necessarie
{p. 36}al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica) e 53 (nomina e revoca del cancelliere del Reich), avrebbe poi avuto nella fase finale sulla tenuta della Repubblica di Weimar. In ogni caso non mancarono le voci ammonitrici, come quella del socialdemocratico indipendente Oskar Cohn, il quale, intervenendo in occasione della discussione sull’articolo 48, concluse il suo discorso con una famosa analogia tra il presente e il futuro. Se oggi fa sparare sui rivoluzionari, il ministro della Reichswehr Noske ottempera solo al mandato ricevuto dal suo partito, affermò Cohn, ma se domani
Note
[1] B. Weisbrod, Die Politik der Repräsentation. Das Erbe des Ersten Weltkrieges und der Formwandel der Politik in Europa, in H. Mommsen (ed), Der Erste Weltkrieg und die europäische Nachkriegsordnung. Sozialer Wandel und die Formveränderung der Politik, Köln et al., Böhlau, 2000, pp. 13-41, qui p. 31. Cfr. sul punto: R. Gruhlich, Geschichtspolitik im Zeichen des Zusammenbruchs. Die deutsche Nationalversammlung 1919/20. Revolution – Reich – Nation, Düsseldorf, Droste, 2012, pp. 48-56.
[2] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, Berlin 1920, vol. 326, p. 1, prima seduta, 6 febbraio 1919.
[3] F. Naumann, Die Demokratie in der Nationalversammlung, Rede am 19. Februar 1919 in der Verfassunggebenden deutschen Nationalversammlung, in F. Naumann, Werke, Politische Schriften, a cura di T. Schieder, Köln - Opladen, Westdeutscher Verlag, 1964, II, pp. 537-557, qui p. 542.
[4] Ibidem, p. 553.
[5] H. Preuss, Das Verfassungswerk von Weimar (10.8.1919), in H. Preuss, Gesammelte Schriften, IV: Politik und Verfassung in der Weimarer Republik, a cura di D. Lehnert - C. Müller, Tübingen, Mohr Siebeck, 2008, pp. 87-93, qui p. 90.
[6] Cfr. M. Dreyer, Hugo Preuß. Biografie eines Demokraten, Stuttgart, Franz Steiner, 2018, in particolare pp. 329-403.
[7] W.J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik, Tübingen, Mohr, 1959, p. 350. Si veda l’annotazione sulle discussioni nell’Ufficio degli Interni del Reich relativamente ai tratti fondamentali del progetto di Costituzione da sottoporre all’Assemblea nazionale costituente tedesca (9-12 dicembre 1918), in H. Preuss, Gesammelte Schriften, a cura di D. Lehnert - C. Müller, III: Das Verfassungswerk von Weimar, Tübingen, Christoph Müller, 2015, pp. 111-134, qui pp. 128-132. Cfr. S. Vestring, Die Mehrheitssozialdemokratie und die Entstehung der Reichsverfassung von Weimar 1918/19, Münster, LIT, 1987, pp. 154-172; M. Dreyer, Hugo Preuß, pp. 350-355. Sulla genesi della Costituzione vedi l’esauriente lavoro di J.-D. Kühne, Die Entstehung der Weimarer Reichsverfassung. Grundlagen und anfängliche Geltung, Düsseldorf, Droste, 2018.
[8] F. Meinecke, Bemerkungen zum Entwurf der Reichsverfassung (31.1. u. 7.2.1919), in F. Meinecke, Politische Schriften und Reden, a cura di G. Kotowski, Darmstadt, Toeche-Mittler, 19794, pp. 299-312, qui p. 309.
[9] R. Redslob, Die parlamentarische Regierung in ihrer wahren und in ihrer unechten Form. Eine vergleichende Studie über die Verfassungen von England, Belgien, Ungarn, Schweden und Frankreich, Tübingen, Mohr, 1918.
[10] Comitato costituzionale dell’Assemblea nazionale, 22a seduta, 4 aprile 1919; fonte: «Weimarer Landeszeitung», in J.-D. Kühne, Die Entstehung, p. 560. Cfr. ibidem, p. 587 (25a seduta, 8 aprile 1919).