La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c1
La Costituzione di Weimar tra svolta democratica e
cultura del ricordo Traduzione di Enzo Morandi
Notizie Autori
Andreas Wirsching è professore ordinario di Storia contemporanea,
Ludwig-Maximilians-Universität, München, e direttore dell’Institut für
Zeitgeschichte, München-Berlin.
Abstract
Vengono qui ripercorse le brevi e travagliate vicende che hanno segnato il
passaggio dallo Stato nazionale tedesco alla Repubblica di Weimar, con un
particolare occhio di riguardo nei confronti di quella svolta che ha determinato
l’abbandono della forma monarchica in favore di un ordinamento politico di natura
democratica. Nello specifico si considerano i principali argomenti del dibattito
politico-costituzionale che da un lato hanno portato alla nascita della nuova
repubblica e che hanno, di contro, anche successivamente determinato l’ascesa al
potere del Reich nazista. Weimar rappresenta quindi un importante esempio “negativo”
che ha inciso profondamente sul modo di concepire, sia da parte della Repubblica di
Bonn che da parte della Germania riunificata, una struttura politica democratica
efficace.
La storia è sempre contemporanea. È un
argomento cui si ricorre quando il presente viene messo in relazione con qualcosa di
passato, laddove il segno – non importa se positivo o negativo – può rimanere inizialmente
indeterminato. Nella storia tedesca sono poche le epoche che possono competere con la
Repubblica di Weimar come argomento politico, e questo vale soprattutto con riguardo alla
sua Costituzione. Ma anche in questo caso trova applicazione un principio basilare della
storia: l’argomento era (ed è) soggetto alle trasformazioni del tempo. In linea di massima
c’erano e ci sono molti modi di guardare a Weimar e conseguentemente anche molti modi di
usare Weimar come argomento politico. Forzando un po’ i termini della questione, l’argomento
Weimar muta in quanto variabile dipendente delle forme di autocomprensione storica della
Repubblica federale come seconda democrazia tedesca.
Nelle pagine che seguono concentreremo
l’attenzione sulla fase della genesi della Costituzione, sulle motivazioni e le forze
motrici che spinsero i membri dell’Assemblea nazionale costituente di Weimar (1). Una
seconda riflessione riguarderà i processi di significazione di Weimar e della sua
Costituzione come modello negativo della prima Repubblica federale (2), mentre nella parte
finale del presente saggio si accennerà al dibattito attuale (3).¶{p. 32}
1. La Costituzione di Weimar come svolta democratica
Uno dei fattori che caratterizzarono
profondamente la storia dello Stato nazionale tedesco sorto nel 1871 era la sensazione
di trovarsi sotto una, per così dire, strutturale pressione temporale e che fosse quindi
necessario bruciare le tappe sul piano politico-sociale. Il vivo desiderio di uscire il
più in fretta possibile da una situazione vissuta come opprimente e nel contempo di
facilitare l’avvento di uno stato di cose che si immaginava potesse essere nuovo e
migliore caratterizzava già il Reich guglielmino, notoriamente impaziente di poter
finalmente diventare una potenza mondiale.
Ad attraversare come un filo rosso
anche i dibattiti in seno alla Assemblea nazionale weimariana fu dunque il «metodo della promessa»
[1]
, per cui i politici democratici da un lato volsero lo sguardo al futuro e
dall’altro presero radicalmente le distanze dal passato – e in tal modo si ritrovarono
sotto una particolare pressione. Per i partiti della coalizione weimariana che si erano
ritrovati insieme nella edificazione della democrazia, la rivoluzione e il passaggio
dalla monarchia alla repubblica costituirono una ineludibile cesura. «È finito per
sempre il tempo dei vecchi re e dei principi per grazia di Dio», proclamò Friedrich
Ebert in occasione dell’apertura dell’Assemblea nazionale. «Così come è certo che in
questa Assemblea c’è una grande maggioranza repubblicana, lo è altrettanto il fatto che
le vecchie servitù di diritto divino non ci sono più»
[2]
. «La riga è tirata ed è tirata una volta per sempre», confermò Friedrich
Naumann il 13 febbraio del 1919
[3]
. Solo una simile, radicale chiusura col ¶{p. 33}passato
consentiva di valorizzare appieno e liberamente la volontà rivolta al futuro. Sempre
Naumann si affrettò anche ad aggiungere: «In tempi di così grande oppressione non rimane
altro che quella volontà credente che guarda oltre il presente»
[4]
. «Noi, che vogliamo consapevolmente costruire insieme le basi per questo sviluppo» – era questo il tratto volontaristico
che accompagnava il «metodo della promessa».
Il tema centrale dell’Assemblea
nazionale ruotava intorno ad una fondamentale questione di teoria democratica che per
inciso si può considerare attuale anche oggi e che si può riassumere così: qual è il
sistema che meglio consente al popolo di esprimere la sua volontà in una democrazia in
via di edificazione? Come si potrà in futuro far emergere la volontà empirica del popolo
nel modo più accurato e scrupoloso possibile e tradurla poi in pratica concreta? Per
rispondere a queste domande chiave sul terreno politico-costituzionale la particolare
percezione del tempo in cui gli eletti si trovavano ad agire era della massima
importanza. Non c’era, ad esempio, alcun precedente storico cui rifarsi per definire un
ordinamento democratico, se si prescinde dall’edificio teorico della
Verfassung della Paulskirche (Francoforte, 1848). «Bisognava
trovare subito il passaggio dal cripto-assolutismo del passato al parlamentarismo
fortemente connotato in senso democratico», come ebbe modo di sottolineare Hugo Preuß
[5]
. Il quale, come è noto, era lo spiritus rector dei
lavori della Assemblea costituente
[6]
, e alcuni tratti fondamentali della futura Costituzione erano già stati
delineati prima dell’insediamento dell’Assemblea nazionale. Così, tra il 9 e il 12
dicembre del 1918 la «sala parto della Costituzione di Weimar» fu soprattutto il
comitato informale per le consul¶{p. 34}tazioni sul progetto di
costituzione prussiana istituito presso il Ministero degli Interni del Reich
[7]
. Non mancavano certo modelli democratici già adottati con successo in altri
Paesi occidentali, ma come è noto vennero scartati. I costituzionalisti consideravano la
democrazia americana troppo presidenzialista e la Terza repubblica francese troppo
sbilanciata in favore del Parlamento. Si decise quindi per un sistema ibrido. «Nel
nostro caso sono combinati insieme due diversi sistemi, l’americano e il francese», ebbe
già modo di osservare Friedrich Meinecke
[8]
. Detto diversamente: l’Assemblea nazionale non ‘poteva’ rifarsi al passato
nazionale e non ‘voleva’ rifarsi ad esempi stranieri.
Nel corso del dibattito, quindi, si
preferì ignorare il passato e rivolgere lo sguardo esclusivamente al futuro. Il che
costituì una risorsa e un peso allo stesso tempo. Da un lato il futuro appariva
ampiamente plasmabile: se si fossero adottate solo le ‘giuste’ disposizioni la
democrazia avrebbe potuto svilupparsi in modo organico nonostante il suo repentino
inizio; dall’altro, però, se l’esperienza del passato non conta più ma nello stesso
tempo il futuro è più incerto che mai, in tal caso si apre la strada alla teoria. Con il
risultato che i parlamentari si esercitarono per ampi tratti nell’arte della previsione
politico-costituzionale. Previsione pura e semplice, non di rado, anzi, vera e propria
speculazione su ciò che poteva succedere in questa o in quella plausibile situazione e
su quali fossero le ¶{p. 35}norme più adatte per regolamentare il ruolo
dei futuri organi costituzionali e le loro interazioni.
Solo su questo sfondo si può
comprendere la genesi dell’assai discusso ordinamento costituzionale di Weimar. Come è
noto, esso fu il risultato della innovativa e – come si ritenne – particolarmente
«democratica» combinazione dei tre modelli conosciuti tramite i quali si poteva
democraticamente esprimere la volontà popolare: il plebiscitario, il presidenziale e il
rappresentativo. Si preferì scartare il modello rappresentativo puro a causa del
pericolo delineato dal cosiddetto «assolutismo parlamentare» – una ipotesi poco
plausibile di Robert Redslob, condivisa da Hugo Preuß, che nasceva da una percezione
sbagliata sia del sistema parlamentare francese che di quello inglese
[9]
. Si trattava, d’altro canto, di una opinione molto diffusa. Di questo
avviso, ad esempio, era anche Bruno Ablaß, vale a dire uno dei più influenti esponenti
del partito democratico tedesco (DDP) in seno al comitato costituzionale, che non a caso
sottolineò la nuova strada verso il futuro che aveva in mente con queste parole:
«Vogliamo un governo democratico-parlamentare. Perciò il progetto costituzionale imbocca una strada del tutto nuova, che propone una buona soluzione sulla base del vero parlamentarismo. In Francia dopo le elezioni il popolo non ha alcuna possibilità di controllare l’onnipotente Parlamento. Non è questo il vero parlamentarismo. Non vogliamo un Parlamento onnipotente; il potere di controllo deve spettare al presidente del Reich, che in quanto eletto dal popolo esercita una funzione di contrappeso nei confronti del Reichstag» [10] .
Certo, nel 1919 nessuno poteva
prevedere le conseguenze fatali che l’applicazione della «costituzione di riserva»
presidenziale (Karl Dietrich Bracher), vale a dire la combinazione degli articoli 25
(scioglimento del Reichstag), 48 (misure necessarie
¶{p. 36}al
ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica) e 53 (nomina e revoca del
cancelliere del Reich), avrebbe poi avuto nella fase finale sulla tenuta della
Repubblica di Weimar. In ogni caso non mancarono le voci ammonitrici, come quella del
socialdemocratico indipendente Oskar Cohn, il quale, intervenendo in occasione della
discussione sull’articolo 48, concluse il suo discorso con una famosa analogia tra il
presente e il futuro. Se oggi fa sparare sui rivoluzionari, il ministro della Reichswehr
Noske ottempera solo al mandato ricevuto dal suo partito, affermò Cohn, ma se domani
Note
[1] B. Weisbrod, Die Politik der Repräsentation. Das Erbe des Ersten Weltkrieges und der Formwandel der Politik in Europa, in H. Mommsen (ed), Der Erste Weltkrieg und die europäische Nachkriegsordnung. Sozialer Wandel und die Formveränderung der Politik, Köln et al., Böhlau, 2000, pp. 13-41, qui p. 31. Cfr. sul punto: R. Gruhlich, Geschichtspolitik im Zeichen des Zusammenbruchs. Die deutsche Nationalversammlung 1919/20. Revolution – Reich – Nation, Düsseldorf, Droste, 2012, pp. 48-56.
[2] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, Berlin 1920, vol. 326, p. 1, prima seduta, 6 febbraio 1919.
[3] F. Naumann, Die Demokratie in der Nationalversammlung, Rede am 19. Februar 1919 in der Verfassunggebenden deutschen Nationalversammlung, in F. Naumann, Werke, Politische Schriften, a cura di T. Schieder, Köln - Opladen, Westdeutscher Verlag, 1964, II, pp. 537-557, qui p. 542.
[4] Ibidem, p. 553.
[5] H. Preuss, Das Verfassungswerk von Weimar (10.8.1919), in H. Preuss, Gesammelte Schriften, IV: Politik und Verfassung in der Weimarer Republik, a cura di D. Lehnert - C. Müller, Tübingen, Mohr Siebeck, 2008, pp. 87-93, qui p. 90.
[6] Cfr. M. Dreyer, Hugo Preuß. Biografie eines Demokraten, Stuttgart, Franz Steiner, 2018, in particolare pp. 329-403.
[7] W.J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik, Tübingen, Mohr, 1959, p. 350. Si veda l’annotazione sulle discussioni nell’Ufficio degli Interni del Reich relativamente ai tratti fondamentali del progetto di Costituzione da sottoporre all’Assemblea nazionale costituente tedesca (9-12 dicembre 1918), in H. Preuss, Gesammelte Schriften, a cura di D. Lehnert - C. Müller, III: Das Verfassungswerk von Weimar, Tübingen, Christoph Müller, 2015, pp. 111-134, qui pp. 128-132. Cfr. S. Vestring, Die Mehrheitssozialdemokratie und die Entstehung der Reichsverfassung von Weimar 1918/19, Münster, LIT, 1987, pp. 154-172; M. Dreyer, Hugo Preuß, pp. 350-355. Sulla genesi della Costituzione vedi l’esauriente lavoro di J.-D. Kühne, Die Entstehung der Weimarer Reichsverfassung. Grundlagen und anfängliche Geltung, Düsseldorf, Droste, 2018.
[8] F. Meinecke, Bemerkungen zum Entwurf der Reichsverfassung (31.1. u. 7.2.1919), in F. Meinecke, Politische Schriften und Reden, a cura di G. Kotowski, Darmstadt, Toeche-Mittler, 19794, pp. 299-312, qui p. 309.
[9] R. Redslob, Die parlamentarische Regierung in ihrer wahren und in ihrer unechten Form. Eine vergleichende Studie über die Verfassungen von England, Belgien, Ungarn, Schweden und Frankreich, Tübingen, Mohr, 1918.
[10] Comitato costituzionale dell’Assemblea nazionale, 22a seduta, 4 aprile 1919; fonte: «Weimarer Landeszeitung», in J.-D. Kühne, Die Entstehung, p. 560. Cfr. ibidem, p. 587 (25a seduta, 8 aprile 1919).