La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c8
Secondo: l’iniziativa di inserire
una frase così concepita fu presa dalla DDP, e in particolare da Friedrich Naumann, già
in seno alla Commissione (dei 28) incaricata di redigere il testo definitivo della
Costituzione. Si può supporre che Naumann abbia agito anche d’intesa con le suffragette
liberali che facevano parte del gruppo della DDP in seno alla Assemblea nazionale. Tra
di loro c’erano anche Gertrud Bäumer, presidente del Bund Deutscher Frauenvereine (BDF)
e quindi rappresentante della più grande associazione femminile allora esistente in
Germania, e Marie Baum, anch’essa molto attiva nel BDF e in altre associazioni femminili
[4]
. Come le loro colleghe dell’SPD, queste donne impegnate in politica
vantavano una lunga esperienza in fatto di discriminazione femminile fondata su una
gerarchia di genere ancora considerata «naturale». Tutte loro avevano attivamente
partecipato al dibattito sul nuovo codice civile del 1900, che aveva ampiamente
riconfermato il ruolo subordinato della donna in famiglia e nel matrimonio. Conoscevano
i molti dibattiti sulla parità di diritti per le donne, dibattiti che riguardavano in
particolare l’ammissione agli istituti
¶{p. 196}d’istruzione e ai
partiti politici, l’uguaglianza di trattamento negli istituti di assistenza sociale, la
posizione giuridica delle madri di figli illegittimi e molto altro ancora. Sulla scorta
di queste esperienze le donne che svolgevano attività politica nelle file
socialdemocratiche e liberali ritenevano necessario superare gli steccati
dell’appartenenza partitica e operare all’unisono per ottenere che venisse espressamente
costituzionalizzato il principio dell’uguaglianza di genere. Un principio che avrebbe
dovuto essere formulato in questo modo: «Le donne e gli uomini hanno gli stessi diritti
e gli stessi doveri civici»
[5]
. Ma la formulazione adottata per il testo da sottoporre all’esame
dell’Assemblea costituente recitava invece: «Uomini e donne hanno ‘fondamentalmente’ gli
stessi diritti e gli stessi doveri civici»
[6]
. Anche coloro i quali non sono pratici di diritto capiscono subito (e lo
capirono anche all’epoca) che quell’aggiunta mirava a rendere possibile l’introduzione
di eventuali eccezioni. Già in seno alla Commissione dei 28, allorché venne proposto di
introdurre questa aggiunta gli esponenti del Zentrum cattolico e della DDP osservarono
che non «c’era ancora certezza in merito alle implicazioni e agli effetti della
disposizione in tutti i possibili dettagli» e che quindi era meglio «procedere con
cautela e in termini generali nella direzione indicata»
[7]
. Questa stessa cautela emerge anche dal dibattito in sede di Assemblea
nazionale.
L’articolo in discussione sollevava
due questioni fondamentali che erano di primaria importanza soprattutto per i
socialdemocratici: da un lato (secondo comma), la parità di diritti come principio
costituzionale fondamentale, e, dall’altro, nelle frasi seguenti, il rapporto con la
nobiltà e i suoi privilegi nella nuova repubblica. Le discussioni su questo articolo
tematizzarono quindi entrambe queste problematiche: alcune oratrici,
¶{p. 197}come la socialdemocratica Marie Juchacz, si occuparono in
prevalenza del principio di uguaglianza, mentre altri, come il tedesco-nazionale conte
Posadowsky-Wehner, preferirono intervenire sulla questione della nobiltà. L’SPD e la
USPD avanzarono due chiare richieste: da un lato chiesero di eliminare le parole
«fondamentalmente» e «doveri», e dall’altro proposero di aggiungere una frase così
formulata: «Le disposizioni del diritto pubblico e privato vanno conseguentemente modificate»
[8]
. Entrambe le proposte si scontrarono con una forte opposizione anche nelle
file dei partiti della coalizione weimariana, la DDP e il Zentrum. Entrambi i partiti
giustificarono la loro presa di posizione sostenendo che erano contrari a portare
«all’estremo la parificazione» (Zentrum) e che l’«esercizio dei nostri (delle donne, KH)
doveri civici non potesse prescindere dalla natura fisica e psichica della donna».
L’oratore della DDP si disse totalmente d’accordo e aggiunse che, se accolta, la
proposta delle sinistre volta ad estendere il principio di uguaglianza anche al diritto
privato non avrebbe fatto altro che aumentare la confusione e l’incertezza e quindi
andava senz’altro respinta. Aggiunse anche che non voleva che si spingesse la parità dei
diritti civici fino al punto di mettere in discussione il ruolo subordinato della donna:
«Tutte le donne dovrebbero avere il diritto di rivestire una carica onorifica e dovrebbero poter assumere questi obblighi. Ma voi non dovete comunque privare una moglie del diritto di lasciare un tale incarico nel caso in cui abbia dei figli. Non potete certo riconoscere un simile diritto ad un uomo; finora una cosa del genere non è mai avvenuta».
In tal modo l’oratore della DDP
pose l’accento su quello che era il principale motivo di dissenso tra la sinistra, i
liberali (maschi) e gli esponenti del Zentrum: la raggiunta equiparazione tra uomini e
donne sul terreno politico-elettorale doveva essere estesa anche ad altre branche del diritto? Le donne
della sinistra e alcune donne liberali risposero affermativamente a questa domanda.
Luise Zietz (USPD) fu molto chiara: «Noi ¶{p. 198}vogliamo che questa
Costituzione affermi chiaramente che la riforma del diritto civile va posta subito
all’ordine del giorno». L’SPD e l’USPD nonché le «deputate democratiche presenti (!)»
[9]
approvarono quindi la proposta della sinistra, che tuttavia venne respinta
con 149 voti contrari e 119 favorevoli
[10]
. Con il risultato che l’articolo 109 della Costituzione weimariana coincise
alla fine con il testo proposto dalla Commissione: «Uomini e donne hanno
fondamentalmente gli stessi diritti e doveri
civici». In tal modo, se da un lato venne costituzionalizzato il principio della parità
tra uomini e donne sotto il profilo dei diritti e dei doveri civici, dall’altro non
venne escluso che tale parità potesse essere limitata o abolita in relazione a
particolari materie, soprattutto quando fossero entrati in gioco compiti specificamente
riconducibili al genere. Nel dibattito in seno all’Assemblea nazionale questa questione
venne sollevata soprattutto in relazione al tema del servizio militare obbligatorio. Ma
poiché un deputato socialdemocratico fece notare che anche «moltissimi uomini sono
esonerati dall’obbligo del servizio militare e non per questo cessano di avere gli
stessi diritti di quelli che vi sono soggetti» e ai quali non venivano certo
riconosciuti diritti politici e civili diversi, questo argomento venne presto lasciato
cadere.
Nel complesso si può dire che il
dibattito in seno all’Assemblea nazionale mostra che la coalizione weimariana (SPD, DDP
e Zentrum) non trascurò il tema della uguaglianza di genere ma che in ogni caso la
maggioranza dei deputati intese trattarlo solo sotto il profilo dei diritti e dei doveri
civici, con particolare riferimento al diritto di voto attivo e passivo. Una riforma
anche del diritto civile, per lo meno sotto forma di una dichiarazione di intenti del
legislatore che andasse in questa direzione, era sostenuta solo dalla sinistra e dalle
donne che militavano nel partito liberale di sinistra e quindi da una piccola minoranza
¶{p. 199}della Assemblea nazionale. Alla fine, il testo approvato fu il
risultato di un compromesso tra le posizioni più conservatrici in materia di
riconoscimento della parità di genere e le timide proposte di riforma dello schieramento
socialdemocratico e liberale, in ogni caso un compromesso in grado di ottenere
l’approvazione della maggioranza dell’Assemblea. L’articolo 109 non escludeva, è vero,
una parità di fatto tra uomini e donne, ma l’espressione «diritti e doveri civici» in
esso contenuta rafforzava ulteriormente la restrizione già introdotta tramite il ricorso
all’avverbio «fondamentalmente».
2. Uguaglianza e cultura politica nella Repubblica di Weimar
Nelle successive discussioni in
seno al Reichstag e alle sue commissioni furono quasi esclusivamente le deputate,
soprattutto dell’SPD e della DDP, a prendere l’iniziativa per cercare di ottenere una
riforma del diritto civile e di altre branche sulla base dell’uguaglianza di genere.
Nella Costituzione c’erano altri due articoli il cui contenuto chiamava direttamente in
causa lo status giuridico delle donne. Da una parte l’articolo 119, comma 1: «Il
matrimonio, quale fondamento della vita della famiglia, e del mantenimento e
potenziamento della nazione, è posto sotto la speciale protezione della costituzione.
Esso è fondato sull’uguaglianza dei due sessi», e dall’altra l’articolo 128, comma 2:
«Sono abolite tutte le norme di eccezione nei confronti delle donne impiegate». Anche
questi due articoli potevano aprire la strada ad un processo riformatore, processo che
tuttavia non trovò posto nel concreto lavoro politico dell’assemblea. L’uguaglianza
delle donne nel diritto pubblico non recò con sé alcun
cambiamento a livello di diritto privato, e in particolar modo nell’ambito del diritto
di famiglia. La forte discrepanza esistente tra queste due branche del diritto
rappresenta quindi la causa principale della persistente disuguaglianza sociale tra
uomini e donne non solo in Germania, ma anche in tutti gli altri Paesi europei. Il
modello scandinavo evidenzia questo aspetto in un modo
per così dire positivo. In Svezia lo status giuridico delle donne in tema di diritto di
famiglia è stato riformato sulla base di criteri di uguaglianza
¶{p. 200}decisamente prima e meglio che altrove, e quindi le differenze,
anche se non sono state completamente eliminate, risultano chiaramente meno evidenti
[11]
.
Nondimeno, la raggiunta parità sul
versante dei diritti e dei doveri civici contribuì ad imprimere un piccolo impulso al
cambiamento sul terreno delle discrepanze sociali e giuridiche tra i sessi almeno nella
misura in cui aprì alle donne impegnate in politica la porta delle istituzioni basate
sulla codecisione e quindi diede loro la possibilità di porre all’ordine del giorno la
questione della riforma del loro status giuridico. Cosa che peraltro fecero senza
ottenere grandi risultati. Anzi. Alla base di questo sostanziale insuccesso c’erano
molti fattori: a partire dal fatto che le deputate erano sempre in assoluta minoranza
non solo all’interno dei loro gruppi parlamentari ma anche in seno al Reichstag (e lo
stesso si può dire con riguardo a tutti gli altri Parlamenti). Anche se l’iniziativa
fosse partita da tutte le deputate insieme senza distinzione di partito, non avrebbero
mai potuto dare vita ad una maggioranza politica – per questo le donne dipendevano
sempre dall’appoggio che potevano ottenere dai colleghi del loro gruppo parlamentare.
Occorre inoltre ricordare che la
Costituzione non conferiva alcun chiaro mandato a modificare lo status giuridico della
donna nell’ambito del diritto civile (BGB, Bürgerliches Gesetzbuch). I contrasti
esistenti tra le norme del codice civile in materia di diritto matrimoniale (ivi
compreso il divorzio) da una parte, e l’articolo 119 dall’altra non spinsero ad attuare
alcun tipo di riforma dal momento che l’articolo 109 si limitava a stabilire la parità
tra uomini e donne sotto il profilo dei «fondamentali diritti e doveri civici»: una
chiara sottolineatura che stava a significare ex negativo che la
condizione di subordinazione della donna nel matrimonio fissata nel codice civile non
poteva essere né riformata né modificata. Anche nella Repubblica di Weimar era solo il
marito che (sotto il profilo giuridico) prendeva le decisioni in merito a
¶{p. 201}tutte le questioni che «riguardavano la comune vita
matrimoniale» (§ 1354 BGB); inoltre era il solo che aveva il diritto di decidere in
materia contrattuale (§ 1356 BGB) e, oltre ad avere anche il diritto di usufrutto sui
beni della moglie (§ 1363 BGB), poteva anche decidere da solo, anche contro il volere
della moglie, in merito all’educazione dei figli (§ 1364 BGB). Il contrasto di queste
disposizioni con l’articolo 119 in cui, oltre a definire il matrimonio come
un’istituzione posta «sotto la speciale protezione della Costituzione», si affermava
espressamente che esso era fondato sull’«uguaglianza dei due sessi» non poteva essere
più eclatante, ma era accettato dalla maggioranza del corpo sociale. Inoltre, la
minoranza delle deputate (e di alcuni deputati) interessata ad una radicale riforma
della condizione giuridica delle donne avrebbe avuto bisogno di molto più tempo oltreché
di un duraturo sostegno politico e sociale per poter raggiungere i suoi obiettivi.
Condizioni entrambe assenti a causa della limitata durata della Repubblica weimariana.
Anche negli anni caratterizzati da una relativa stabilizzazione politica – dal 1924 allo
scoppio della crisi economica mondiale nel 1929 – i progetti di riforma di
socialdemocratici e liberali non poterono mai contare su un sufficiente appoggio
parlamentare. A ciò si aggiunga che in quegli stessi anni l’SPD fu più all’opposizione
che al governo. Fu invece la DNVP (il partito popolare nazionale tedesco), un partito
conservatore e di orientamento parzialmente völkisch, a fare più
volte parte del governo (gabinetto Luther: gennaio 1925-gennaio 1926, gabinetto Marx:
febbraio 1927-giugno 1928). Durante la sua partecipazione al governo la DNVP condusse
una vera e propria guerra culturale contro i progetti di riforma di socialdemocratici e
liberali, per esempio in ambito scolastico, dove il partito prese con successo posizione
contro la «scuola secolare»: posizione che gli valse il pieno appoggio dell’associazione
dei genitori evangelici, che poteva contare su più di due milioni di membri. Infine,
anche l’elezione di Hindenburg a presidente del Reich nel 1925 rese evidente che la
maggioranza delle elettrici e degli elettori era molto conservatrice e non era certo
sulla stessa lunghezza d’onda di socialdemocratici e liberali. I famosi e moderni
milieu culturali presenti nelle più grandi città tedesche, così
come la stessa, notissima {p. 202}Staatliches Bauhaus, non dovrebbero
quindi far dimenticare che la cultura politica e soprattutto il modo di pensare della
maggioranza della popolazione non erano molto progressisti. Certo, soprattutto con
riguardo alle relazioni di genere si discuteva molto, ma pochi furono i cambiamenti non
effimeri in direzione dell’uguaglianza. Al contrario: le discussioni in merito alla
desiderata gerarchia di genere erano più un segno di esperienze di crisi che
un’indicazione di reale cambiamento.
Note
[4] Anch’essa giurista impegnata a sostegno delle donne, Marie-Elisabeth Lüders entrò a far parte dell’Assemblea nazionale solo nell’agosto del 1919 in sostituzione del già deceduto Friedrich Naumann.
[5] Citato in M. Röwekamp, Männer und Frauen haben grundsätzlich die gleichen staatsbürgerlichen Rechte, p. 244.
[6] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, Berlin 1920, vol. 328, 57a seduta, 15 luglio 1919, pp. 1559-1571.
[7] R. Deutsch, Die politische Tat der Frau. Aus der Nationalversammlung, Gotha, F.A. Perthes, 1920, p. 5.
[8] Per questa ed altre citazioni dalle discussioni in seno alla Assemblea nazionale cfr: Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, vol. 328, 57a seduta, 15 luglio 1919, pp. 1559-1571.
[10] Questo risultato dimostra anche che ben 155 membri dell’Assemblea nazionale non presero parte alla votazione. Siccome i membri dell’Assemblea nazionale erano 423, questo significa che prese parte alla discussione su questo tema il 63,3% degli eletti.
[11] K. Melby - A. Pylkkänen - B. Rosenbeck - C. Carlsson Wetterberg, The Nordic Model of Marriage, in «Women’s History Review», 15, 2006, 4, pp. 651-661.