La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c8
Occorre inoltre ricordare che la
Costituzione non conferiva alcun chiaro mandato a modificare lo status giuridico della
donna nell’ambito del diritto civile (BGB, Bürgerliches Gesetzbuch). I contrasti
esistenti tra le norme del codice civile in materia di diritto matrimoniale (ivi
compreso il divorzio) da una parte, e l’articolo 119 dall’altra non spinsero ad attuare
alcun tipo di riforma dal momento che l’articolo 109 si limitava a stabilire la parità
tra uomini e donne sotto il profilo dei «fondamentali diritti e doveri civici»: una
chiara sottolineatura che stava a significare ex negativo che la
condizione di subordinazione della donna nel matrimonio fissata nel codice civile non
poteva essere né riformata né modificata. Anche nella Repubblica di Weimar era solo il
marito che (sotto il profilo giuridico) prendeva le decisioni in merito a
¶{p. 201}tutte le questioni che «riguardavano la comune vita
matrimoniale» (§ 1354 BGB); inoltre era il solo che aveva il diritto di decidere in
materia contrattuale (§ 1356 BGB) e, oltre ad avere anche il diritto di usufrutto sui
beni della moglie (§ 1363 BGB), poteva anche decidere da solo, anche contro il volere
della moglie, in merito all’educazione dei figli (§ 1364 BGB). Il contrasto di queste
disposizioni con l’articolo 119 in cui, oltre a definire il matrimonio come
un’istituzione posta «sotto la speciale protezione della Costituzione», si affermava
espressamente che esso era fondato sull’«uguaglianza dei due sessi» non poteva essere
più eclatante, ma era accettato dalla maggioranza del corpo sociale. Inoltre, la
minoranza delle deputate (e di alcuni deputati) interessata ad una radicale riforma
della condizione giuridica delle donne avrebbe avuto bisogno di molto più tempo oltreché
di un duraturo sostegno politico e sociale per poter raggiungere i suoi obiettivi.
Condizioni entrambe assenti a causa della limitata durata della Repubblica weimariana.
Anche negli anni caratterizzati da una relativa stabilizzazione politica – dal 1924 allo
scoppio della crisi economica mondiale nel 1929 – i progetti di riforma di
socialdemocratici e liberali non poterono mai contare su un sufficiente appoggio
parlamentare. A ciò si aggiunga che in quegli stessi anni l’SPD fu più all’opposizione
che al governo. Fu invece la DNVP (il partito popolare nazionale tedesco), un partito
conservatore e di orientamento parzialmente völkisch, a fare più
volte parte del governo (gabinetto Luther: gennaio 1925-gennaio 1926, gabinetto Marx:
febbraio 1927-giugno 1928). Durante la sua partecipazione al governo la DNVP condusse
una vera e propria guerra culturale contro i progetti di riforma di socialdemocratici e
liberali, per esempio in ambito scolastico, dove il partito prese con successo posizione
contro la «scuola secolare»: posizione che gli valse il pieno appoggio dell’associazione
dei genitori evangelici, che poteva contare su più di due milioni di membri. Infine,
anche l’elezione di Hindenburg a presidente del Reich nel 1925 rese evidente che la
maggioranza delle elettrici e degli elettori era molto conservatrice e non era certo
sulla stessa lunghezza d’onda di socialdemocratici e liberali. I famosi e moderni
milieu culturali presenti nelle più grandi città tedesche, così
come la stessa, notissima ¶{p. 202}Staatliches Bauhaus, non dovrebbero
quindi far dimenticare che la cultura politica e soprattutto il modo di pensare della
maggioranza della popolazione non erano molto progressisti. Certo, soprattutto con
riguardo alle relazioni di genere si discuteva molto, ma pochi furono i cambiamenti non
effimeri in direzione dell’uguaglianza. Al contrario: le discussioni in merito alla
desiderata gerarchia di genere erano più un segno di esperienze di crisi che
un’indicazione di reale cambiamento.
Una causa ulteriore dello scarso
successo che ottennero le proposte di riforma provenienti dalle donne impegnate in
politica risiedeva da un lato nella limitazione del raggio d’azione a «temi tipicamente
femminili», e dall’altro nei profondi contrasti ideologici esistenti tra destra e
sinistra. Le parlamentari si concentravano in particolare su questioni concernenti
l’assistenza sociale, il lavoro minorile, la tutela della moralità e le questioni
professionali, con particolare riguardo alle lavoratrici, comprese quelle a domicilio, e
alle casalinghe; si battevano inoltre per ulteriori riforme nel campo dell’istruzione di
donne e ragazze. Tutti temi già discussi a partire almeno dalla metà del XIX secolo dai
movimenti femminili, le cui richieste di riforma avrebbero dovuto essere finalmente
tradotte in realtà dalla Repubblica weimariana. Erano questi i temi che costituivano il
cuore e l’ambito privilegiato dell’attività delle donne parlamentari. Condivise e
portate avanti da parlamentari appartenenti a gruppi diversi, alcune tematiche
socialmente rilevanti, soprattutto quelle relative a gruppi di donne bisognose di aiuto
(ad esempio nel caso del sostegno alla maternità) o quelle relative alla tutela dei
minori, trovarono positiva accoglienza sul piano legislativo. Ma in tutti gli ambiti più
direttamente collegati a diverse e controverse visioni del mondo, anche con riguardo a
queste «questioni femminili» le donne non riuscirono ad adottare una comune linea
d’azione a causa delle contrapposizioni politiche
[12]
.¶{p. 203}
Una causa ulteriore della ridotta
portata delle richieste di riforma risiede nel chiaro divario tra le posizioni dei
gruppi dirigenti socialdemocratici e liberali da un lato e, dall’altro, quelle delle
loro rispettive basi elettorali: divario che non a caso emergeva quando si affrontavano
tematiche legate alla condizione femminile, come per esempio nel caso dei diritti delle
donne lavoratrici sposate. Era ampiamente diffusa nella società la convinzione che in
caso di dubbio alle mogli non spettasse alcun posto di lavoro dal momento che esse erano
già «mantenute». Concetti come quello del «doppio reddito» fecero la loro comparsa la
prima volta nel 1919 e nel corso degli anni Venti vi si fece più volte ricorso contro le
donne lavoratrici ogni volta che scoppiava una crisi economica. Una linea di condotta
che risulta particolarmente evidente nel caso delle donne sposate che svolgevano un
lavoro impiegatizio statale. L’articolo 128 della Costituzione weimariana affermava a
chiare lettere che dovevano considerarsi «abolite tutte le norme di eccezione nei
confronti delle donne impiegate», con il risultato, tra l’altro, che il matrimonio di
una impiegata non era più motivo di licenziamento, come avveniva abitualmente ancora nel
1918.
Nel 1923, in piena crisi economica,
il governo Stresemann emanò, nel quadro di una limitata legge sui pieni poteri, un
decreto legislativo sulla riduzione del personale che prevedeva il licenziamento delle
impiegate statali sposate. Così, in aperto contrasto con il dettato dell’articolo 128
della Costituzione, le donne impiegate dovettero nuovamente sottostare ad una «norma di
eccezione» che oltre tutto le privava di diritti sociali come ad esempio il diritto alla
pensione. La questione venne nuovamente affrontata dal Reichstag nel 1925.
Nell’occasione venne proposto che alle impiegate licenziate venisse corrisposta una
somma a titolo di indennità e che la «norma di eccezione» prevista per le donne
impiegate nella pubblica amministrazione rimanesse in vigore fino al marzo del 1929 – ma
la proposta venne rigettata su iniziativa delle stesse parlamentari
[13]
. Questa ¶{p. 204}evidente discriminazione ai danni delle
donne sposate che lavoravano venne apertamente condannata non solo dai movimenti
femminili socialdemocratici e liberali ma anche dai dirigenti dell’Allgemeiner Deutscher
Gewerkschaftsbund (ADGB, Federazione sindacale tedesca), anche se, occorre
sottolinearlo, in alcune zone la base sindacale mostrò di avere, in merito, opinioni
assai diverse. Dalle vicende legate a questa questione si può capire che le idee
conservatrici in tema di riconoscimento della parità di genere continuavano ad essere
molto diffuse nella società (oltre che recepite sul piano legislativo) e soprattutto nei
periodi di crisi costituivano l’argomento che più veniva utilizzato contro la parità di
diritti delle donne.
3. Uguaglianza: un compito politico e culturale
Considerando dunque l’ambito di
attività costituito dalla parità di diritti tra uomini e donne, si può sostenere che la
Costituzione di Weimar era una costruzione difettosa, deficitaria e inutilizzabile? Alla
luce della situazione esistente nel periodo di cui si parla e del contenuto stesso della
Costituzione, una interpretazione del genere non sarebbe appropriata. Con riguardo alla
parità di diritti delle donne, in realtà, la Costituzione weimariana poneva i
presupposti per procedere sulla strada delle riforme e del cambiamento, anche se
mancavano espliciti riferimenti in tal senso. Le donne impegnate in politica colsero
perfettamente questo aspetto e cercarono anche, nel breve periodo della repubblica e
quindi di operatività di un libero Parlamento, di assumere iniziative al riguardo. Ma
questo compito riformatore non venne condiviso né dalla maggioranza del Reichstag né
dalla società nel suo complesso, dal momento che esso non era in sintonia con il comune
sentire riguardo a ruoli e compiti di uomini e donne. A ciò si aggiunga che
l’orientamento conservatore della politica e della società durante la Repubblica di
Weimar non emerse solo in relazione alla questione della parità tra uomini e donne. In
realtà, non solo questa ma anche tutte le altre battaglie culturali che si combatterono
negli anni della Repubblica di Weimar vennero vinte dai conservatori, e la causa di ciò
non risiedeva ¶{p. 205}nella Costituzione, e in ogni caso non solo in
essa, bensì nei rapporti politici di maggioranza e nella cultura politica allora
prevalente.
Come è noto, dalle vicende
successive in tema di parità di diritti, ad esempio da quel che è avvenuto dopo
l’entrata in vigore della Legge Fondamentale della Repubblica federale tedesca, risulta
chiaramente che c’è voluto molto tempo per tradurre in atti concreti quanto già era
stato formulato nella Costituzione weimariana, e questo nonostante formulazioni diverse
e chiare indicazioni operative. Nella Repubblica federale tedesca solo una successiva
liberalizzazione della società e della cultura politica, frutto non solo dei cambiamenti
intervenuti a livello sociale ed economico ma anche a livello di strutture familiari, ha
contribuito a fare in modo che in tema di parità di genere si potessero registrare
miglioramenti sia sul piano sociale che su quello giuridico. Anche l’esempio della
Costituzione e della società della DDR mostra che un forte intervento politico può certo
influenzare il rapporto tra uomini e donne nel mondo del lavoro e dell’educazione, ma
che interventi del genere sono accompagnati solo da un limitato cambiamento della
codificazione culturale in tema di rapporti tra i sessi (e nella vita quotidiana delle
famiglie). Si può quindi affermare che la Costituzione di Weimar ha rappresentato un
buon punto di partenza in direzione della piena uguaglianza di genere o per lo meno ha
contribuito a porre le premesse perché si potesse procedere in tal senso in futuro. Da
questa prospettiva, quindi, il suffragio femminile va interpretato più che altro come il
punto di arrivo di un discorso politico avviato nel XIX secolo. In ogni caso, esso non
aprì la strada ad ulteriori cambiamenti sociali e giuridici, che comunque non avevano
alcuna possibilità di concretizzarsi dal momento che per questo sarebbero state
necessarie una situazione politica stabile e di segno social-liberale, una maggior
presenza delle donne (giuriste) in politica, una società pronta alle riforme ma anche
più tempo per realizzarle e sottoporle a verifica tramite gli organi giurisdizionali, e
presumibilmente anche una migliore situazione economica. Tutti fattori che come è noto
mancarono nella prima repubblica tedesca.
Note
[12] R. Deutsch, Parlamentarische Frauenarbeit, seconda edizione ampliata arricchita di un addendum, Gotha Stuttgart, F.A. Perthes, 1924, e, della stessa autrice, Parlamentarische Frauenarbeit II. Aus den Reichstagen von 1924-1928, Berlin, Herbig, 1928.
[13] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, vol. 387, 101a seduta, 24 luglio 1925, Berlin 1925, pp. 3469-3481, 3498-3501.