La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c7
Al di là delle rivendicazioni
rivoluzionarie e delle promesse indirizzate ai consumatori, non bisogna dimenticare le
più vecchie varianti dell’autonomia individuale ancora decisamente presenti nella
Germania degli anni Venti e dei primi anni Trenta. Tra queste rientrava l’idea di una
aggressiva strategia bellica
¶{p. 178}in cui le decisioni dei singoli
ufficiali rimanevano importanti anche nell’età degli eserciti di massa e del crescente
utilizzo di mezzi tecnologici: idea sostenuta e perfino ulteriormente propagandata dalla
Reichswehr, che in applicazione del Trattato di Versailles ora non poteva schierare più
di 100.000 militari di professione. Il generale Hans von Seeckt, capo di stato maggiore
dell’esercito, preferiva i brevi ordini verbali alle lunghe istruzioni scritte. Per
adattare il principio della guerra di movimento alle esigenze di una moderna strategia
bellica, motivazione e iniziativa personali non erano, a suo parere, meno necessarie
delle unità corazzate mobili e delle rapide comunicazioni radio. Scrisse infatti nel
1925: «Ora la cosa più importante è accrescere le responsabilità dei singoli individui,
soprattutto la loro capacità di agire in maniera indipendente, e di conseguenza
migliorare l’efficienza di tutto l’esercito»
[4]
.
Una ulteriore variante
dell’autonomia individuale riconducibile al XIX secolo era data dalla indipendenza
professionale ed economica. Essa venne difesa non solo da medici e professori ma anche
da commercianti al dettaglio, artigiani e contadini, per quanto grandi potessero essere,
va da sé, le differenze tra questi gruppi. I lamenti dei contemporanei sulla perdita di
autonomia vanno interpretati su questo sfondo e non recepiti acriticamente nell’analisi
storica. Se, come spesso avveniva, tali lamenti provenivano da ambienti accademici, essi
avevano a che fare col fatto che l’ideale di una indipendenza esistenziale e
intellettuale ora si trovava sotto pressione o veniva conculcato. «L’individuo è ridotto
a funzione», così nel 1932 il filosofo Karl Jaspers lamentava la crescente importanza di
tecnica, divertimento e comfort
[5]
. La sua presa di posizione dimostra per lo meno sia la forza d’inerzia che
la perdita di significato del vecchio ideale di autonomia. Il che colpì anche gli
intellettuali che criticavano questo ideale. Sia il critico culturale Siegfried
Kracauer, a sinistra, che lo scrittore e veterano di ¶{p. 179}guerra
Ernst Jünger, a destra, osservarono causticamente che le idee di individualità tipiche
dell’età borghese non erano ancora morte
[6]
.
Lo stesso vale per
l’insoddisfazione di artigiani, commercianti e contadini in merito allo sviluppo
economico e sociale. A partire dalla svolta del secolo si sentivano minacciati dalla
produzione di massa, dai grandi magazzini e dai prodotti agricoli di importazione –
senza contare che ora, dopo la fine della Prima guerra mondiale, dovevano anche
confrontarsi con il continuo rafforzamento in termini di potere e consensi dei
socialdemocratici. Così, i rappresentanti degli artigiani controbattevano a tutti i
programmi di economia pubblica sostenendo che bisognava consentire al singolo di
conservare la «sua indipendenza personale e professionale». A ciò si aggiunga che sempre
più persone aspiravano all’autonomia. Il che rendeva più difficile trovare e/o
conservare forza lavoro dipendente sulla quale fondare la propria indipendenza. Con il
risultato che i funzionari dell’artigianato scomodarono anche norme morali per
lamentarsi del comportamento di domestici e apprendisti e per impedire che costoro
godessero di un trattamento giuridico analogo a quello dei normali lavoratori:
«Nel molto tempo libero a disposizione l’apprendista bighellona e scialacqua il salario e il compenso. Dissolutezza e allentamento di disciplina e ordine sono il bel risultato della giornata di lavoro di otto ore» [7] .
Queste lamentele rinviano ad un
problema generale: la grande varietà delle aspirazioni all’autonomia individuale
appariva sconcertante e spesso frustante ai contemporanei. Si andava dal desiderio di
libertà degli operai dell’industria durante la rivoluzione al bisogno dei consumatori di
poter scegliere tra diversi prodotti. Né l’uno né l’altro avevano molto in comune
¶{p. 180}con gli sforzi dei professori di preservare il loro spazio di
attività intellettuale, o con quelli dell’esercito volti ad addestrare soldati e
ufficiali in modo che potessero anche agire in modo autonomo. L’idea di autonomia di
contadini e artigiani si scontrava in modo perfino diretto con quella di domestici e
apprendisti. A ciò si aggiunga che nella vita personale differenti aspirazioni
all’autonomia individuale potevano cozzare le une contro le altre o sovrapporsi a norme
consolidate in modo da provocare non poche tensioni. Ad esempio, l’autrice di una
lettera inviata al giornale popolare «B.Z. am Mittag» si lamentava per il fatto che
uomini apparentemente di idee progressiste trovavano interessanti le donne indipendenti
ma alla fine le respingevano sdegnati:
«Prima gli uomini incoraggiano le donne ad emanciparsi … Ma quando come privati cittadini, come uomini, devono comportarsi di conseguenza ecco che allora scaricano la donna emancipata» [8] .
2. Le conseguenze politiche
La varietà delle aspirazioni
all’autonomia spesso in conflitto tra loro mise i movimenti e i partiti politici
weimariani di fronte a grandi sfide. Da un lato essi si prefiggevano ambiziosi obiettivi
collettivi difficilmente conciliabili con la tendenza di molti tedeschi a perseguire la
propria personale idea di autonomia; dall’altro, non potevano opporsi apertamente al
principio dell’autonomia individuale dal momento che erano impegnati, in un Paese
politicamente ondivago, a conquistare nuovi seguaci senza per questo rinunciare a quelli
su cui già potevano contare. Quale fu la reazione delle diverse correnti politiche di
fronte a queste contraddizioni?
I partiti d’ispirazione
liberal-democratica, il cui elettorato cominciò ben presto a ridursi, incontrarono
sempre maggiori ¶{p. 181}difficoltà nella gestione di queste tendenze di
segno opposto. Come difensori dell’ideale di autonomia che si era diffuso nel XIX secolo
non si adattarono facilmente ai nuovi tempi. Nondimeno, non mancarono i tentativi
innovativi in questa direzione, in particolare a Berlino nel milieu
del liberalismo di sinistra. Il borgomastro Gustav Böß affermò chiaramente che anche il
governo di una metropoli apparentemente anonima poteva sostenere gli individui, i quali,
a loro volta, si sarebbero impegnati per il bene comune in modo autonomo. I giornali
popolari degli editori ebreo-tedeschi Mosse e Ullstein prospettavano la visione di una
società metropolitana i cui membri perseguivano in modo del tutto legittimo le loro
personali preferenze e in tal modo sviluppavano nuove forme di interazione sociale in
linea con i nuovi tempi. Ma fungevano anche da megafono di richieste più popolari, come
quella di non essere possibilmente disturbati nell’esercizio della propria libertà e
contemporaneamente di poter contare sull’aiuto pubblico: ad esempio si voleva guidare
l’auto senza limiti di velocità e possibilmente senza troppi semafori, ma per questo si
pretendeva anche un tipo di asfalto particolarmente antisdrucciolo della cui
introduzione doveva farsi carico l’amministrazione pubblica. In tal modo la dinamica
mediatica dei mezzi di comunicazione di massa riconducibili all’area liberale di
sinistra sfociò in un atteggiamento contradditorio rispetto alle possibilità e ai limiti
dell’amministrazione di una grande e complessa metropoli come Berlino.
Problemi non dissimili dovettero
affrontare anche i socialdemocratici. Avendo ricoperto un ruolo fondamentale nella
nascita della Repubblica di Weimar si schierarono in favore della liberalizzazione della
legislazione censoria per dare a tutti, uomini e donne, la possibilità di poter
scegliere tra partiti diversi a tutti i livelli dello Stato, e per la creazione di uno
Stato sociale in grado di permettere anche a persone dotate di pochi mezzi di sviluppare
pienamente la propria personalità. In cambio, i socialdemocratici riponevano grandi
aspettative nei cittadini. Rifacendosi all’etica kantiana essi sostenevano che bisognava
ubbidire agli imperativi che ognuno si è dato. Durante la rivoluzione un membro del
Consiglio ¶{p. 182}dei ferrovieri di Francoforte sul Meno andò dritto al
punto: «Dobbiamo essere liberi lavoratori in un libero Stato, e per questo dobbiamo
avere gli stessi diritti ma anche gli stessi doveri»
[9]
. Una presa di posizione che corrispondeva alla tendenza verso
l’emancipazione e l’auto-organizzazione – delle donne ma anche di categorie
professionali prima marginali come gli impiegati di banca e i camerieri – che tuttavia
si scontrò con una dinamica rivoluzionaria, i cui soggetti, per i socialdemocratici,
mancavano troppo spesso della necessaria disponibilità e dedizione al lavoro o, privi
com’erano di ogni seria formazione politica, si limitavano a manifestare una opinione
purchessia. Questa tensione tra ambizione umanistica ed estraneità nei confronti di
molte manifestazioni di libertà sarebbe rimasta una costante per il partito
socialdemocratico durante tutto il periodo weimariano. A ciò si aggiunga che i loro
rappresentanti tendevano semplicemente a compendiare i progressi dello Stato sociale
invece di veicolarli in un attrattivo linguaggio dell’autonomia individuale.
D’altro canto le difficoltà che i
liberali di sinistra e i socialdemocratici dovettero affrontare non sono puramente e
semplicemente riconducibili alle loro rispettive piattaforme politico-ideologiche ma
avevano cause più profonde. Come ha sottolineato Thomas Mergel, un tratto caratteristico
della Repubblica di Weimar è consistito nel fatto che le aspettative nei confronti della
politica erano estremamente alte e conseguentemente sfociarono spesso in grandi
delusioni. Ciò vale anche per la spinta all’autonomia che si espresse in modo impaziente
e irruente ma si scontrò con strutture percepite come molto rigide. Dal momento però che
queste stesse strutture erano anche instabili, la spinta all’autonomia andava di pari
passo con una aspettativa non meno marcata nei confronti del ruolo assistenziale dello
Stato. Molti tedeschi si sentivano bloccati nella loro aspirazione all’autonomia, altri
si consideravano vittime non adeguatamente assistite di circostanze avverse – e
¶{p. 183}alcuni vivevano entrambe queste condizioni. Spesso ci si
accusava a vicenda di aspirare ad una falsa forma di autonomia, e quindi di perseguire
scopi «egoistici» senza riguardo per nessuno. Tutto ciò non poteva che ridurre
pericolosamente i margini di azione di un governo democratico, soprattutto quando questo
si fondava su fragili coalizioni e disponeva di limitate risorse finanziarie. In tale
contesto si intensificarono e divennero sempre più radicali gli attacchi ad un «sistema»
considerato impersonale, che frenava i singoli nel loro sviluppo e li lasciava soli alle
prese con i loro problemi.
Note
[4] Cfr. R.M. Citino, The Path to Blitzkrieg. Doctrine and Training in the German Army, 1920-1939, Boulder, Lynne Rienner, 1999, p. 57.
[6] S. Kracauer, Die Angestellten. Aus dem neuen Deutschland (1929), Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1971, p. 19; E. Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt (1932), Stuttgart, Klett-Cotta, 1982, p. 233.
[7] Cfr. H.A. Winkler, Mittelstand, Demokratie und Nationalsozialismus: Die politische Entwicklung von Handwerk und Kleinhandel in der Weimarer Republik, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1972, pp. 72 e 97.
[8] Cfr. M. Föllmer, Auf der Suche nach dem eigenen Leben: Junge Frauen und Individualität in der Weimarer Republik, in M. Föllmer - R. Graf (edd), Die «Krise» der Weimarer Republik: Zur Kritik eines Deutungsmusters, Frankfurt a.M., Campus, 2005, pp. 287-317, 310.
[9] International Institute of Social History, Amsterdam, Archiv des Zentralrats der Sozialistischen Republik, vol. XII, II, p. 54: Verbale della seduta dei membri del comitato dei lavoratori e dei delegati sindacali della direzione distrettuale ferroviaria di Frankfurt (Main), 11 febbraio 1919.