La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c6
La politica agraria nella Repubblica di Weimar In questo saggio, oltre a precedenti studi, ho ripreso con ampie modifiche le più recenti ricerche effettuate assieme a Francesco Frizzera per conto del Bundesministerium für Ernährung und Landwirtschaft, e confluite nel capitolo a quattro mani:Vom Ersten Weltkrieg bis zum Ende der Weimarer Republik, inH. Mölleret al. (edd),Agrarpolitik im 20. Jahrhundert. Das Bundes-ministerium für Ernährung und Landwirtschaft und seine Vorgänger, Berlin, De Gruyter Oldenbourg, 2020, pp. 11-103
Notizie Autori
Gustavo Corni è già professore ordinario di Storia contemporanea, Università degli Studi
di Trento.
Abstract
Nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale la Germania si
ritrova costretta a far fronte ad una importante crisi agraria, la quale era già ben
sentita anche nel periodo pre-bellico e che con la Repubblica di Weimar ritorna ad
essere uno tra i principali argomenti del dibattito politico. A seguito di numerose
rivolte e proteste, nel 1920 viene istituito il Ministero per l’Alimentazione e
l’Agricoltura sotto il controllo dell’SPD, il quale si fa carico delle questioni
agricole non senza una buona dose di problematiche derivate dalla forte instabilità
del nuovo governo. Il capitolo cerca di sottolineare come un elemento di
fondamentale importanza per comprendere il contesto sociale tedesco di quegli anni
sia proprio la questione agraria, successivamente ripresa anche da Hitler per la
creazione di una propaganda cosiddetta “rurale”.
Introduzione
L’agricoltura tedesca usciva dalla
guerra con le «ossa rotte». Nell’ultimo trentennio prima del 1914 il progresso
tecnologico e l’allargamento dei consumi grazie alla rapida industrializzazione e
urbanizzazione avevano favorito la crescita della produzione; crescita che si era svolta
nel contesto di una Germania lanciata a diventare la prima economia europea; il settore
primario aveva perciò perso di peso economico e sociale, anche se la capacità di
influenzare la politica era rimasta forte, grazie alla tradizione prussiana.
Il conflitto aveva svelato la
debolezza strutturale dell’agricoltura e l’incapacità dello Stato di far fronte a una
situazione imprevista. La chiusura dei mercati internazionali e il richiamo di milioni
di contadini e salariati (oltreché di animali da traino) aveva evidenziato l’incapacità
di nutrire la popolazione urbana. I reiterati tentativi di imporre ordine negli ammassi
e nella distribuzione erano sfociati nel caos: centinaia di ordinanze emanate dallo
Stato, dai Länder, dagli enti locali, dalle autorità militari, avevano aperto la strada
alla speculazione e determinato drammatiche vicende, come la macellazione in massa dei
suini a partire dall’inizio del 1915, ricordata come Schweinemord.
Le ¶{p. 144}autorità erano partite dall’assunto che i suini fossero
concorrenti dell’alimentazione umana, soprattutto per i cereali. Il culmine di questo
dramma era stato raggiunto nel cosiddetto «inverno delle rape»
(Steckrübenwinter) 1916-1917, in cui per nutrire la popolazione
si era dovuti ricorrere a prodotti destinati al consumo animale e a surrogati di dubbia
qualità.
Il tentativo di accentrare il
controllo degli ammassi e della distribuzione delle derrate attraverso l’istituzione di
un Kriegsernährungsamt (KEA), sottoposto al cancelliere, nel maggio 1916, aveva
contribuito a frenare il crollo della produzione e rallentato il calo delle razioni
distribuite alla popolazione urbana; ma non era riuscito a invertire la rotta. Solo il
mercato nero consentiva a una porzione di cittadini più abbienti di sopperire alle
carenze.
Le conseguenze erano state
disastrose: dai 6 ai 700.000 civili morti per la denutrizione, un dimezzamento della
produzione, l’inasprirsi dei rapporti fra città e campagna, l’aggravarsi della sfiducia
verso l’intervento statale. Infine, non è possibile stimare neppure in modo
approssimativo quanto il crollo alimentare abbia contribuito al disgregarsi del fronte
interno nell’autunno 1918.
I. Lo smantellamento dell’economia di guerra 1919-1924
La situazione alla fine del
conflitto era – se possibile – ancora peggiore che negli anni precedenti. Alla classe
dirigente imperiale succedette una nuova classe dirigente improvvisata, di funzionari
della SPD e dei sindacati, coinvolti peraltro anche negli anni di guerra nella gestione dell’economia
[1]
. In più, lungi dall’allentare il blocco navale, i vincitori lo tennero in
vita «come un sostituto della guerra»
[2]
per costringere i governi repubblicani ad accettare le condizioni di pace. I
limiti della ¶{p. 145}produzione interna si accentuarono per
l’impossibilità di dotare i contadini di concimi; l’approvvigionamento delle grandi
città e dei distretti industriali – punto debole del sistema di distribuzione
centralizzata – era reso impossibile per l’assenza di carbone e per gli scioperi.
Si innescò così uno scontro fra
consumatori e produttori. Nelle città scoppiarono proteste di piazza, che sfociavano in
assalti agli spacci. Gruppi armati assaltavano i poderi contadini nelle vicinanze delle
città depredandoli. Alle forme di «auto-aiuto» da parte dei consumatori rispondevano i
produttori occultando le scorte. La circostanza che il potere politico fosse ora
detenuto dalla SPD, che voleva tutelare in prima linea i consumatori, riduceva ancora
più le consegne da parte dei produttori. Così, a Monaco di Baviera si passò da 465.563 t
di cereali da panificazione conferiti nel 1918-1919 ad appena 260.144 l’anno seguente
[3]
. Soprattutto nei fine settimana colonne di consumatori si recavano nelle
campagne circostanti i centri urbani, per fare scorte. Benché fossero pratiche illegali,
le autorità dovevano chiudere un occhio.
Bisognò attendere il 30 marzo 1920,
ovvero la costituzione di un Ministero per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Ernährung
und Landwirtschaft)
[4]
, affinché il tema del superamento della
Zwangswirtschaft tornasse all’ordine del giorno. Sotto la guida
di Andreas Hermes, un tecnico di area cattolica, si concretizzerà la vera svolta. Da
quel momento la SPD perdeva il controllo sulla gestione delle questioni agricole, con un
conseguente riorientamento della politica agricola. Dopo i timidi passi compiuti dal
socialdemocratico Robert Schmidt, il primo piano organico verso una transizione in campo
agricolo lo elaborò pertanto il ministro Andreas Hermes. Il cambio di passo, favorito
dal miglioramento della congiuntura, con un attenuarsi della crisi
¶{p. 146}iperinflattiva e una ripresa della produzione, si notò fin
dalle prime riunioni di gabinetto e dai discorsi programmatici del neo-ministro. Egli si
mostrava sensibile alle proteste provenienti dalle organizzazioni del settore. Precisava
tuttavia che «una cancellazione o attenuazione dell’economia di guerra» da parte del
governo non sarebbe potuta che avvenire avendo la «certezza che potesse rappresentare un
progresso e servire al bene del popolo». Solo aumentando la produzione interna sarebbe
stato possibile superare la Zwangswirtschaft.
Hermes intendeva perseguire un
equilibrio fra produttori e consumatori. Come i suoi predecessori, però, dovette
fronteggiare le proteste delle Verbände che rappresentavano i
consumatori. Così, nel rapporto inviato mensilmente al presidente Ebert relativo al
maggio 1920, il ministro scriveva che la situazione era ancora «molto grave»,
soprattutto nel settore zootecnico a causa del divario fra costi di produzione e prezzi
di macellazione fissati a livello statale
[5]
.
Le previsioni sul raccolto
cerealicolo facevano ritenere che la copertura del fabbisogno sarebbe stata possibile
solo attraverso un ammasso completo e una redistribuzione equa ai cittadini. A suo
avviso la Zwangswirtschaft doveva essere applicata solo laddove vi
fosse un’assoluta necessità. Tuttavia osservava che allo Stato spettasse un «dovere di
tutela verso la grande massa della popolazione». Non si poteva perciò rinunciare a una
«regolamentazione amministrativa dei prezzi»
[6]
. La Zwangswirtschaft ha caratterizzato la vita
economica nel decennio che va dal 1914 a 1923; ha lasciato segni profondi a livello
materiale e psicologico nei produttori e nei consumatori. Infine, le soluzioni
tecnico-amministrative adottate in questo periodo per gestire la penuria saranno
disponibili per la gestione dei rapporti di mercato anche durante il regime
nazionalsocialista.¶{p. 147}
II. Politica agraria e stabilizzazione della Repubblica
La nuova stagione della politica
agraria si apriva con la stabilizzazione monetaria e con il ricomparire delle
tradizionali richieste di settore, tra cui spiccava una protezione doganale eguale a
quella accordata ai prodotti industriali. Nonostante la fine dell’inflazione
incontrollata, la cancellazione dei debiti pregressi e il venir meno dell’emergenza
alimentare, i prezzi rimanevano al di sotto di quelli industriali. Le aziende faticavano
ad accedere al credito. La situazione prefigurava il rischio dell’indebitamento. La
produzione interna subiva la concorrenza di prodotti esteri e necessitava di una difesa
doganale. Infine, era necessario fornire alle aziende i mezzi per meccanizzarsi e per
razionalizzare la distribuzione. Questi temi furono al centro della politica agraria
fino al 1930.
La radicalizzazione politica nelle
campagne, unita all’aumento dei fallimenti
[7]
e al calo dell’efficienza economica, fecero sì che l’azione politica del
ministero fosse rappresentata come una «lotta inutile contro la crisi». La protezione
doganale e la crescente quantità di aiuti non sono riuscite a sanarla
[8]
. Occorre tenere presente che la politica agraria è stata indebolita
dall’instabilità dei governi, poi dal fatto che la crisi dell’agricoltura era un
fenomeno mondiale, che non poteva essere risolto dalle politiche nazionali.
È indubbio che nella seconda metà
degli anni Venti si fecero passi in avanti sia per quanto riguarda la meccanizzazione
che per l’impiego di concimi chimici
[9]
. Se analizzato assieme ai dati riguardanti l’introduzione di innovazioni
scientifico-tecnologiche (mungitrici, silos, essiccatoi), il quinquennio precedente la
crisi del 1929 è stato uno dei periodi a maggiore sviluppo relativo. L’agricoltura si
era liberata anche del fardello di circa
Note
[1] Sottosegretario presso il KEA era stato il socialdemocratico August Müller.
[2] N.P. Howard, The Social and Economic Consequences of the Allied Food Blockade of Germany 1918-1919, in «German History», 11, 1993, p. 184.
[3] W. Rudloff, Die Wolhfahrtstadt. Kommunale Ernährungs-, Fürsorge- und Wohnungspolitik am Beispiel München 1910-1933, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1998, p. 252.
[4] Bundesarchiv Berlin (d’ora in poi BArchB), R 43-I/928, 28, 30 marzo 1920, Comunicazione alla Cancelleria: bozza di ordinanza relativa alla costituzione di un Ministero del Reich per l’Alimentazione e l’Agricoltura.
[5] Rapporto Eugen Ulmers del 3 luglio 1920, in BArchB, R 43-I/1257.
[6] BArchB, R 43-I/1257.
[7] H. Haushofer, Die deutsche Landwirtschaft im technischen Zeitalter, Stuttgart, Engen Ulmer, 1963, p. 253.
[8] U. Kluge, Agrarwirtschaft und ländliche Gesellschaft im 20. Jahrhundert, München, Oldenbourg, 2005, pp. 21 s.
[9] Hauptstaatsarchiv Bayern, München, NL Fehr Anton, 41, Berichte RMEL, Protocollo della 79a, seduta sui concimi, 7 novembre 1930.
[10] H. Becker, Handlungsspielräume der Agrarpolitik in der Weimarer Republik zwischen 1923 und 1929, Stuttgart, Franz Steiner, 1990, p. 88.
[11] Ibidem, pp. 41-43.