Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c6

La politica agraria nella Repubblica di Weimar
In questo saggio, oltre a precedenti studi, ho ripreso con ampie modifiche le più recenti ricerche effettuate assieme a Francesco Frizzera per conto del Bundesministerium für Ernährung und Landwirtschaft, e confluite nel capitolo a quattro mani:Vom Ersten Weltkrieg bis zum Ende der Weimarer Republik, inH. Mölleret al. (edd),Agrarpolitik im 20. Jahrhundert. Das Bundes-ministerium für Ernährung und Landwirtschaft und seine Vorgänger, Berlin, De Gruyter Oldenbourg, 2020, pp. 11-103

Notizie Autori
Gustavo Corni è già professore ordinario di Storia contemporanea, Università degli Studi di Trento.
Abstract
Nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale la Germania si ritrova costretta a far fronte ad una importante crisi agraria, la quale era già ben sentita anche nel periodo pre-bellico e che con la Repubblica di Weimar ritorna ad essere uno tra i principali argomenti del dibattito politico. A seguito di numerose rivolte e proteste, nel 1920 viene istituito il Ministero per l’Alimentazione e l’Agricoltura sotto il controllo dell’SPD, il quale si fa carico delle questioni agricole non senza una buona dose di problematiche derivate dalla forte instabilità del nuovo governo. Il capitolo cerca di sottolineare come un elemento di fondamentale importanza per comprendere il contesto sociale tedesco di quegli anni sia proprio la questione agraria, successivamente ripresa anche da Hitler per la creazione di una propaganda cosiddetta “rurale”.

Introduzione

L’agricoltura tedesca usciva dalla guerra con le «ossa rotte». Nell’ultimo trentennio prima del 1914 il progresso tecnologico e l’allargamento dei consumi grazie alla rapida industrializzazione e urbanizzazione avevano favorito la crescita della produzione; crescita che si era svolta nel contesto di una Germania lanciata a diventare la prima economia europea; il settore primario aveva perciò perso di peso economico e sociale, anche se la capacità di influenzare la politica era rimasta forte, grazie alla tradizione prussiana.
Il conflitto aveva svelato la debolezza strutturale dell’agricoltura e l’incapacità dello Stato di far fronte a una situazione imprevista. La chiusura dei mercati internazionali e il richiamo di milioni di contadini e salariati (oltreché di animali da traino) aveva evidenziato l’incapacità di nutrire la popolazione urbana. I reiterati tentativi di imporre ordine negli ammassi e nella distribuzione erano sfociati nel caos: centinaia di ordinanze emanate dallo Stato, dai Länder, dagli enti locali, dalle autorità militari, avevano aperto la strada alla speculazione e determinato drammatiche vicende, come la macellazione in massa dei suini a partire dall’inizio del 1915, ricordata come Schweinemord. Le {p. 144}autorità erano partite dall’assunto che i suini fossero concorrenti dell’alimentazione umana, soprattutto per i cereali. Il culmine di questo dramma era stato raggiunto nel cosiddetto «inverno delle rape» (Steckrübenwinter) 1916-1917, in cui per nutrire la popolazione si era dovuti ricorrere a prodotti destinati al consumo animale e a surrogati di dubbia qualità.
Il tentativo di accentrare il controllo degli ammassi e della distribuzione delle derrate attraverso l’istituzione di un Kriegsernährungsamt (KEA), sottoposto al cancelliere, nel maggio 1916, aveva contribuito a frenare il crollo della produzione e rallentato il calo delle razioni distribuite alla popolazione urbana; ma non era riuscito a invertire la rotta. Solo il mercato nero consentiva a una porzione di cittadini più abbienti di sopperire alle carenze.
Le conseguenze erano state disastrose: dai 6 ai 700.000 civili morti per la denutrizione, un dimezzamento della produzione, l’inasprirsi dei rapporti fra città e campagna, l’aggravarsi della sfiducia verso l’intervento statale. Infine, non è possibile stimare neppure in modo approssimativo quanto il crollo alimentare abbia contribuito al disgregarsi del fronte interno nell’autunno 1918.

I. Lo smantellamento dell’economia di guerra 1919-1924

La situazione alla fine del conflitto era – se possibile – ancora peggiore che negli anni precedenti. Alla classe dirigente imperiale succedette una nuova classe dirigente improvvisata, di funzionari della SPD e dei sindacati, coinvolti peraltro anche negli anni di guerra nella gestione dell’economia [1]
. In più, lungi dall’allentare il blocco navale, i vincitori lo tennero in vita «come un sostituto della guerra» [2]
per costringere i governi repubblicani ad accettare le condizioni di pace. I limiti della {p. 145}produzione interna si accentuarono per l’impossibilità di dotare i contadini di concimi; l’approvvigionamento delle grandi città e dei distretti industriali – punto debole del sistema di distribuzione centralizzata – era reso impossibile per l’assenza di carbone e per gli scioperi.
Si innescò così uno scontro fra consumatori e produttori. Nelle città scoppiarono proteste di piazza, che sfociavano in assalti agli spacci. Gruppi armati assaltavano i poderi contadini nelle vicinanze delle città depredandoli. Alle forme di «auto-aiuto» da parte dei consumatori rispondevano i produttori occultando le scorte. La circostanza che il potere politico fosse ora detenuto dalla SPD, che voleva tutelare in prima linea i consumatori, riduceva ancora più le consegne da parte dei produttori. Così, a Monaco di Baviera si passò da 465.563 t di cereali da panificazione conferiti nel 1918-1919 ad appena 260.144 l’anno seguente [3]
. Soprattutto nei fine settimana colonne di consumatori si recavano nelle campagne circostanti i centri urbani, per fare scorte. Benché fossero pratiche illegali, le autorità dovevano chiudere un occhio.
Bisognò attendere il 30 marzo 1920, ovvero la costituzione di un Ministero per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Ernährung und Landwirtschaft) [4]
, affinché il tema del superamento della Zwangswirtschaft tornasse all’ordine del giorno. Sotto la guida di Andreas Hermes, un tecnico di area cattolica, si concretizzerà la vera svolta. Da quel momento la SPD perdeva il controllo sulla gestione delle questioni agricole, con un conseguente riorientamento della politica agricola. Dopo i timidi passi compiuti dal socialdemocratico Robert Schmidt, il primo piano organico verso una transizione in campo agricolo lo elaborò pertanto il ministro Andreas Hermes. Il cambio di passo, favorito dal miglioramento della congiuntura, con un attenuarsi della crisi {p. 146}iperinflattiva e una ripresa della produzione, si notò fin dalle prime riunioni di gabinetto e dai discorsi programmatici del neo-ministro. Egli si mostrava sensibile alle proteste provenienti dalle organizzazioni del settore. Precisava tuttavia che «una cancellazione o attenuazione dell’economia di guerra» da parte del governo non sarebbe potuta che avvenire avendo la «certezza che potesse rappresentare un progresso e servire al bene del popolo». Solo aumentando la produzione interna sarebbe stato possibile superare la Zwangswirtschaft.
Hermes intendeva perseguire un equilibrio fra produttori e consumatori. Come i suoi predecessori, però, dovette fronteggiare le proteste delle Verbände che rappresentavano i consumatori. Così, nel rapporto inviato mensilmente al presidente Ebert relativo al maggio 1920, il ministro scriveva che la situazione era ancora «molto grave», soprattutto nel settore zootecnico a causa del divario fra costi di produzione e prezzi di macellazione fissati a livello statale [5]
.
Le previsioni sul raccolto cerealicolo facevano ritenere che la copertura del fabbisogno sarebbe stata possibile solo attraverso un ammasso completo e una redistribuzione equa ai cittadini. A suo avviso la Zwangswirtschaft doveva essere applicata solo laddove vi fosse un’assoluta necessità. Tuttavia osservava che allo Stato spettasse un «dovere di tutela verso la grande massa della popolazione». Non si poteva perciò rinunciare a una «regolamentazione amministrativa dei prezzi» [6]
. La Zwangswirtschaft ha caratterizzato la vita economica nel decennio che va dal 1914 a 1923; ha lasciato segni profondi a livello materiale e psicologico nei produttori e nei consumatori. Infine, le soluzioni tecnico-amministrative adottate in questo periodo per gestire la penuria saranno disponibili per la gestione dei rapporti di mercato anche durante il regime nazionalsocialista.{p. 147}

II. Politica agraria e stabilizzazione della Repubblica

La nuova stagione della politica agraria si apriva con la stabilizzazione monetaria e con il ricomparire delle tradizionali richieste di settore, tra cui spiccava una protezione doganale eguale a quella accordata ai prodotti industriali. Nonostante la fine dell’inflazione incontrollata, la cancellazione dei debiti pregressi e il venir meno dell’emergenza alimentare, i prezzi rimanevano al di sotto di quelli industriali. Le aziende faticavano ad accedere al credito. La situazione prefigurava il rischio dell’indebitamento. La produzione interna subiva la concorrenza di prodotti esteri e necessitava di una difesa doganale. Infine, era necessario fornire alle aziende i mezzi per meccanizzarsi e per razionalizzare la distribuzione. Questi temi furono al centro della politica agraria fino al 1930.
La radicalizzazione politica nelle campagne, unita all’aumento dei fallimenti [7]
e al calo dell’efficienza economica, fecero sì che l’azione politica del ministero fosse rappresentata come una «lotta inutile contro la crisi». La protezione doganale e la crescente quantità di aiuti non sono riuscite a sanarla [8]
. Occorre tenere presente che la politica agraria è stata indebolita dall’instabilità dei governi, poi dal fatto che la crisi dell’agricoltura era un fenomeno mondiale, che non poteva essere risolto dalle politiche nazionali.
È indubbio che nella seconda metà degli anni Venti si fecero passi in avanti sia per quanto riguarda la meccanizzazione che per l’impiego di concimi chimici [9]
. Se analizzato assieme ai dati riguardanti l’introduzione di innovazioni scientifico-tecnologiche (mungitrici, silos, essiccatoi), il quinquennio precedente la crisi del 1929 è stato uno dei periodi a maggiore sviluppo relativo. L’agricoltura si era liberata anche del fardello di circa
{p. 148}17,5 miliardi RM di debiti [10]
. A un’analisi superficiale, quindi, le aziende sembravano pronte ad affrontare con le proprie forze la sfida dell’innovazione e della concorrenza [11]
.
Note
[1] Sottosegretario presso il KEA era stato il socialdemocratico August Müller.
[2] N.P. Howard, The Social and Economic Consequences of the Allied Food Blockade of Germany 1918-1919, in «German History», 11, 1993, p. 184.
[3] W. Rudloff, Die Wolhfahrtstadt. Kommunale Ernährungs-, Fürsorge- und Wohnungspolitik am Beispiel München 1910-1933, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1998, p. 252.
[4] Bundesarchiv Berlin (d’ora in poi BArchB), R 43-I/928, 28, 30 marzo 1920, Comunicazione alla Cancelleria: bozza di ordinanza relativa alla costituzione di un Ministero del Reich per l’Alimentazione e l’Agricoltura.
[5] Rapporto Eugen Ulmers del 3 luglio 1920, in BArchB, R 43-I/1257.
[6] BArchB, R 43-I/1257.
[7] H. Haushofer, Die deutsche Landwirtschaft im technischen Zeitalter, Stuttgart, Engen Ulmer, 1963, p. 253.
[8] U. Kluge, Agrarwirtschaft und ländliche Gesellschaft im 20. Jahrhundert, München, Oldenbourg, 2005, pp. 21 s.
[9] Hauptstaatsarchiv Bayern, München, NL Fehr Anton, 41, Berichte RMEL, Protocollo della 79a, seduta sui concimi, 7 novembre 1930.
[10] H. Becker, Handlungsspielräume der Agrarpolitik in der Weimarer Republik zwischen 1923 und 1929, Stuttgart, Franz Steiner, 1990, p. 88.
[11] Ibidem, pp. 41-43.