La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c4
«Ci viene da più parti segnalato che i genitori non hanno dato ai loro figli il permesso di partecipare alle celebrazioni in onore della Costituzione per ragioni che lasciano intendere che gli stessi non gradiscono che i loro figli¶{p. 111}partecipino ad un evento scolastico pubblico che rappresenta un riconoscimento di fatto del nuovo Stato. Ai genitori va spiegato che in futuro le scuole si vedranno costrette ad allontanare i ragazzi ai quali verrà ordinato di non partecipare a simili celebrazioni» [44] .
Per la «Berliner Börsen-Zeitung» la
circolare costituiva «una misura arbitraria e terroristica», mentre la «Deutsche
Zeitung» scrisse di «misura oppressiva e discriminatoria nei confronti di quanti la
pensano diversamente»
[45]
. Tra il 1928 e il 1930 i giornali in questione non esitarono a fare ricorso
ad espressioni come «atteggiamento terroristico contro la libertà di pensiero»,
«celebrazioni coatte», «abuso ai danni degli scolari», «entusiasmo giovanile a comando»
o «cittadino privato della libertà fin da bambino?». I giornali repubblicani e i
deputati repubblicani del Landtag prussiano reagirono a queste accuse sostenendo che la
repubblica si preoccupava solo di educare al rispetto dello Stato e delle sue istituzioni
[46]
. Come Matthias Busch dimostra con un suo studio al riguardo molto
dettagliato, negli anni Venti l’educazione civica nelle scuole costituiva in effetti un
importante campo pedagogico, peraltro già fissato nella
Costituzione weimariana
[47]
. Non tutte le celebrazioni scolastiche si svolgevano nel rispetto del
copione che i loro sostenitori avrebbero voluto. Così, a lamentarsi presso le autorità
scolastiche erano anche i repubblicani, che se la prendevano soprattutto con i discorsi
troppo lunghi, le manifestazioni fiacche e svogliate e la carenza di spirito
repubblicano nelle scuole
[48]
. Un’altra istituzione tenuta a partecipare alle celebrazioni per la
Costituzione che trovò sempre un motivo per lamentarsene ¶{p. 112}era la
Reichswehr. A livello nazionale le forze armate erano parte integrante del cerimoniale
ufficiale, dal momento che, dopo la cerimonia che si teneva nel Reichstag, il presidente
del Reich passava in rassegna una guardia d’onore in attesa davanti al palazzo del
Parlamento. A livello locale era prevista la partecipazione di unità dell’esercito alle
celebrazioni che si tenevano nelle località dove erano accasermate. Le lamentele della
Reichswehr avevano per lo più a che fare con la supposta «politica di partito dell’SPD e
del Reichsbanner», che a giudizio dei militari si manifestava in modo particolarmente
evidente proprio in occasione di tali celebrazioni. Ufficiali di alto grado delle
guarnigioni di stanza a Francoforte sull’Oder, Kolberg, Perleberg, Fischhausen e
Jüteborg presero chiaramente posizione in tal senso, mentre alti rappresentanti delle
forze armate si spinsero fino al punto di contestare anche i discorsi che si tenevano
per l’occasione, a loro giudizio chiaramente offensivi nei confronti dei colori
imperiali, del Reich guglielmino nonché della stessa Reichswehr. Il Ministero degli
Interni prussiano e il Ministero della Reichswehr cercarono di addivenire ad un accordo,
ma in ogni caso non si poté evitare un conflitto di fondo: il ministero prussiano spiegò
che le celebrazioni avevano un carattere politico-istituzionale e non potevano svolgersi
nel segno della neutralità
[49]
. Al che il ministro della Reichswehr ribatté dicendo di ritenere
«… politico-istituzionale un modo di procedere che educa al rispetto dello Stato la maggior parte possibile della popolazione e inoltre getta le basi per una sua gioiosa affermazione. Le celebrazioni in onore della Costituzione e le annesse dimostrazioni politiche sono intenzionalmente volte a denigrare il nostro passato e in tal modo a ferire i sentimenti di quella parte della popolazione che a tale passato si sente legata, e quindi non sono in ogni caso adatte a tal fine» [50] .
Considerata su un piano
strettamente formale la presa di posizione del ministro della Reichswehr era corretta,
ma in realtà per le unità dell’esercito di stanza nelle varie località già la
partecipazione del Reichsbanner o gli euforici discorsi in difesa
¶{p. 113}e a sostegno della repubblica costituivano una provocazione
politica. Il Ministero degli Interni continuò comunque ad assicurare la partecipazione
della Reichswehr alle celebrazioni locali in onore della Costituzione.
Se gli attacchi da parte degli
avversari della repubblica erano in qualche modo scontati, parole ammonitrici giunsero
anche da coloro dai quali sembrava escluso che potessero arrivare, e cioè dagli stessi
sostenitori della repubblica, a giudizio dei quali la «pressione» esercitata dalla
Costituzione non era troppa ma troppo poca. Gli intellettuali di sinistra che
gravitavano intorno alla rivista «Die Weltbühne» reclamavano una repubblica veramente in
grado di difendersi dai suoi nemici prima di pensare al modo migliore di celebrarla
[51]
. Nell’agosto del 1929, in occasione del decimo anniversario della nascita
della repubblica, Carl von Ossietzky ammonì che i repubblicani dovevano guardarsi dal
mettere sullo stesso piano le pompose parate e le profonde convinzioni repubblicane
[52]
. Prima di tutto – questo il messaggio – bisognava imporre il rispetto della
Costituzione in tutto il Paese e ad ogni livello della pubblica amministrazione di modo
che nessun giudice, funzionario, dirigente scolastico, poliziotto o soldato potesse
agire contro di essa o ignorarla senza correre per questo il rischio di perdere il
posto. Una richiesta fondamentale che però evitava di affrontare un’altra questione: se
cioè non fosse preferibile tenere conto di entrambi gli aspetti per fare in modo di
radicare nei cuori dei tedeschi la repubblica e la sua Costituzione anche grazie ai
festeggiamenti che vedevano la partecipazione delle grandi massi popolari. Sempre sulla
«Die Weltbühne», Carl Misch scrisse che considerava esagerata la critica di parte della
sinistra al Reichsbanner per le sue «militaresche» apparizioni in pubblico. A suo
giudizio, la presenza del Reichsbanner alle celebrazioni che si erano tenute a
Francoforte sul Meno in agosto (1928) ¶{p. 114}era stata «piacevolmente
informale» – senza «marce, passo dell’oca, tacchi battuti all’unisono o persone
costrette a stare sull’attenti» – e con giacche con colori diversi a seconda della
regione di provenienza. Per Misch il Reichsbanner era una «milizia popolare nera-rossa-oro»
[53]
.
In effetti non tutti coloro che si
riconoscevano nella repubblica la pensavano allo stesso modo riguardo al carattere della
giornata della Costituzione, e si andava da quanti propendevano per una manifestazione
di lotta o per lo meno decisamente politica, a quanti invece insistevano sulla necessità
di coinvolgere ampi strati della popolazione in una celebrazione che fosse di chiaro
sostegno alla repubblica. Un’atmosfera troppo da festa popolare e un programma quanto
mai nutrito, questo l’argomento usato da alcuni, rischiavano di far passare in secondo
piano l’importanza politica della giornata.
Conclusioni
I repubblicani avevano diverse
possibilità di partecipare attivamente alla vita della repubblica e di contribuire
visibilmente alla mobilitazione in sua difesa, e in effetti fecero l’una e l’altra cosa
con slancio e verve. L’occupazione dello spazio pubblico venne incoraggiata e nello
stesso tempo era anche richiesta dalle organizzazioni, dai giornali e dai gruppi
repubblicani. Non si trattò «solo» di esporre bandiere alle finestre delle case o di
issarle sui pennoni delle scuole ma anche, e soprattutto, di mostrare a livello locale
un segno tangibile dello Stato democratico e delle sue istituzioni. La messa in scena
politica, l’occupazione simbolica dello spazio pubblico e la mobilitazione dei
democratici a livello nazionale e locale non furono né deboli né modeste. La richiesta
(1919) contenuta nella lettera del gruppo di lavoro che abbiamo citato all’inizio
affinché il popolo prendesse parte attiva alle feste della repubblica e non si limitasse
a fare da passivo spettatore costituì la ¶{p. 115}base per molteplici
rappresentazioni della giovane repubblica tedesca.
Le ambivalenze, d’altro canto, non
vennero mai del tutto meno. L’autorappresentazione repubblicana non fu mai esente da
attacchi e non poteva che essere così in una società plurale come quella che
caratterizzava lo Stato weimariano. Ma non si poteva nemmeno imporla in modo autoritario
– al punto che non ha alcun senso misurare l’esperienza weimariana alla luce delle «più
efficaci» messe in scena del periodo nazista. Anche le forze favorevoli a Weimar e alla
repubblica, d’altra parte, non riuscirono mai ad accordarsi in merito a quale potesse
essere la strategia migliore da adottare nei confronti degli avversari della repubblica:
se cioè fosse preferibile favorirne la graduale inclusione nel nuovo Stato repubblicano
o fosse invece preferibile prenderne definitivamente le distanze senza mai smettere di
lottare contro di loro. Funzionario di solide convinzioni democratiche attivo in seno al
Ministero degli Interni del Reich, Arnold Brecht distingueva chiaramente tra «una
aggressiva propaganda in difesa dell’idea democratico-repubblicana» che i partiti
potevano portare avanti e quella del governo, che dipendeva dall’inclusione degli
avversari della repubblica
[54]
. Non diversamente da altre organizzazioni repubblicane, il Reichsbanner
faticò ad accettare questo tipo di atteggiamento. Non meno problematico si rivelò anche
il fatto che nonostante la retorica della «festa popolare e dello Stato del popolo» le
donne ebbero un ruolo marginale nella rappresentazione repubblicana. Nonostante tutte le
ambivalenze e le divisioni presenti nel campo repubblicano, alla fine quello che mancò
alla Repubblica di Weimar fu soprattutto il tempo. Per consolidare la democrazia con i
suoi simboli, i suoi rituali e le sue rappresentazioni, infatti, come pure per negoziare
i necessari compromessi, le sarebbe occorso più tempo di quello che il giovane Stato
repubblicano ebbe effettivamente a disposizione.
Note
[44] Brandenburgisches Landeshauptarchiv, Potsdam, Rep. 34, 997, p. 10, 22 agosto 1929.
[45] Terror!, in «Berliner Börsen-Zeitung», 23 agosto 1929; Analphabeten gefällig, in «Deutsche Zeitung», 30 agosto 1929.
[46] Schule und Republik, in «Berliner Morgenpost», 23 agosto 1929.
[47] M. Busch, Staatsbürgerkunde in der Weimarer Republik. Genese einer demokratischen Fachdidaktik, Bad Heilbrunn, Klinkhardt, 2015.
[48] T. Koinzer, Die Republikfeiern. Weimarer Republik, Verfassungstag und staatsbürgerliche Erziehung an den höheren Schulen Preußens in der zweiten Hälfte der 1920er Jahre, in «Bildung und Erziehung», 58, 2005, pp. 85-103.
[50] GStAPK, Rep. 77, Tit. 4043, n. 6, vol. 55, febbraio 1927.
[51] Si veda la risposta di Kurt Tucholsky: Die Inszenierung der Republik, in «Vossische Zeitung», 173, aprile 1925.
[52] C. von Ossietzky, Zum Geburtstag der Verfassung, in «Die Weltbühne», 6 agosto 1929, citato in N. Rossol, Performing the Nation in Interwar Germany, p. 22.