Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/p1
Prefazione alla riedizione digitale
di Tiziano Treu
1. Il volume qui pubblicato raccoglie fra i tanti scritti di Mengoni quelli in cui l’illustre civilista, dedicatosi con crescente interesse e passione al diritto del lavoro, si misura più direttamente con le implicazioni sociali, economiche ed etiche delle scelte giuridiche. La decisione di Mengoni di premettere ai suoi saggi di «diritto della economia e del lavoro» (così li definisce) alcuni degli ultimi studi metodologici, è significativa.
Il motivo di tale scelta, esplicitato nella prefazione in risposta a una sollecitazione di Emilio Betti, è di contrastare una concezione dello studio del diritto come «arida analisi formale, astrattamente concettualistica», «dominata da concetti scaduti» e ridotta a «sottigliezze infeconde» (p. 5-6).
La critica rivolta da Mengoni alla inadeguatezza degli indirizzi formalistici e delle «strutture concettuali del sistema classico del diritto privato» ha contribuito non poco sia alla evoluzione degli studi privatistici sia a sostenere la giovane dottrina lavoristica del dopoguerra nel liberarsi non solo dai retaggi del diritto del lavoro corporativo ma anche dal condizionamento troppo stretto delle categorie del diritto privato, «senza perdere la memoria del passato» (p. 7).
Questa parte critica del messaggio di Mengoni può sembrare fuori tempo, anche se non è detto che la battaglia contro il formalismo giuridico indifferente ai valori sia definitamente vinta. Infatti le pagine del testo richiamano alla necessità di guardarsi dalla variante moderna di questo “formalismo”: quella tecnocratica con pretese di autosufficienza e «la razionalità della economia del benessere, fondata esclusivamente su valori utilitaristici misurabili secondo grandezze quantitative» (p. 8).
2. In realtà sono molte le analisi di allora, gli scritti vanno dal 1958 al 1985, che danno ancora indicazioni utili a chi le sa leggere, reinterpretandole nel contesto attuale.
In questa prefazione, non potendo fare sintesi adeguate dei vari saggi, vorrei segnalare qualcuna delle indica¶{p. 2}zioni di Mengoni che mi sembra particolarmente significativa oggi
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Un punto centrale della parte metodologica del volume è l’appello a coltivare uno «spirito di ricerca aperto alla riflessione sulle cose nuove» e a «misurarsi con i valori fondamentali della costituzione come strumento per orientare e ricondurre a sistema le soluzioni di diritto positivo».
Anzi Mengoni specifica che i principi costituzionali servono anche a sostenere la esigenza «di integrazione del pensiero problematico con quello sistematico»: il primo che, «indagando scopre nuovi punti di vista socialmente rilevanti» (p. 56); il secondo che «persegue la razionalità sistematica dei risultati dell’interpretazione per assicurarne la stabilità senza la quale non è possibile il controllo dell’applicazione del diritto» (p. 55).
La insistenza di Mengoni sull’esigenza sistematica e sulla stabilità non serve solo per richiamare al rigore concettuale, ma per giustificare le singole decisioni giuridiche «mediante il principio di universalizzazione che è un aspetto elementare del principio di giustizia»
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La medesima giustificazione sistematica viene addotta per rispondere alla «esigenza politica di certezza del diritto (almeno in una certa misura) cioè di stabilizzazione delle aspettative sociali dei comportamenti individuali e di gruppo» (p. 96).
Queste indicazioni sono di evidente importanza oggi che le grandi trasformazioni economiche sociali mettono in crisi le categorie tradizionali e ai giuristi compete di rivederle con spirito problematico, senza improvvisazioni e scorciatoie nel formulare nuove categorie spesso falsamente unitarie; una tentazione illusoria cui i giovani giuristi sono esposti
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Si tratta invece di ricercare nuovi strumenti e modalità per applicare i principi costituzionali nel diverso contesto ¶{p. 3}attuale così da rispondere alle aspettative dei lavoratori della nuova economia.
A queste aspettative il giurista deve dare una risposta in termini comprensibili e razionalmente accettabili dall’ambiente sociale circostante, corrispondenti alle esigenze e ai problemi che hanno prodotto queste aspettative; deve insomma elaborare decisioni politicamente responsabili orientate e giustificate in base alle loro conseguenze sociali. Mengoni aggiunge «solo con questo quadro di riferimento teorico … è possibile il controllo della tendenza a impegnare i giuristi nella politica del diritto», e preservarla «da pretese degradanti di politicizzazione della giustizia al servizio di ideologie totalitarie o interessi di gruppi o classi» (p. 24).
3. Il discorso sul metodo di Mengoni si estende a una serie di prese di posizione sulle funzioni generali del diritto nei rapporti con la società e con l’economia. Indicazioni su questo tema sono ricorrenti nei suoi scritti, ma sono esplicitate e sviluppate nel saggio sulla Enciclica Laborem exercens.
Si tratta di uno scritto inconsueto anche per un giurista impegnato come Mengoni, ma richiesto esplicitamente, anche questo fatto inconsueto, dalla rivista diretta da un laico come Giugni.
Il tema centrale del testo non potrebbe essere più attuale, perché riguarda la conciliazione della società tecnologica con il postulato umanistico e offre a Mengoni la occasione per esprimersi sul ruolo del diritto in generale e del diritto del lavoro in specie.
A quest’ultimo non compete solo la tutela del lavoratore come contraente debole, ma «anche la garanzia della dimensione umana della prestazione di lavoro nei confronti del potere organizzativo e direttivo dell’imprenditore al quale mediante il contratto è assoggettato» (p. 416). Tale affermazione, lungi da essere generica, ha implicazioni precise sulla struttura dei rapporti di lavoro, come Mengoni scrive nel suo commento allo Statuto dei lavoratori.
«Alla ideologia tecnocratica lo Statuto oppone la esigenza che l’organizzazione tecnico produttiva dell’ im¶{p. 4}presa sia commisurata ai valori di cui è portatore il fattore lavoro: l’idea madre dello statuto è che l’organizzazione deve modellarsi sull’ uomo e non viceversa» (p. 379).
Inoltre la sanzione costituzionale della dignità umana ha per Mengoni implicazioni più ampie in ordine al compito del diritto. Segnala che esso è chiamato a ricercare gli strumenti per orientare la economia rispetto a obiettivi socialmente utili e a realizzare «in termini sempre perfettibili, il principio della preminenza dell‘uomo sulla materia economica» (p.416).
Nel diritto del lavoro questa funzione del diritto assume un rilievo particolare «per l’indissolubile collegamento dell’uomo che lavora con la dimensione economica della sua prestazione» (pp. 418-420).
Il riconoscimento del primato dei valori non può confondersi secondo Mengoni con il rifiuto del moderno né dei valori strumentali della efficienza e della produttività dell’impresa. Ma aggiunge che «il capitalismo industriale deve guardarsi dall’ errore di pensarsi esclusivamente come un sistema economico, dimenticandosi che l’organizzazione del lavoro assurge a problema dell’essere umano» (p. 421).
4. Il tema delle responsabilità dell’impresa è sviluppato in uno scritto per molti versi anticipatore del 1958, in cui afferma la necessità di trovare contrappesi, esterni alla struttura della impresa, al potere aziendale in grado di favorire la sua costituzionalizzazione.
Al riguardo specifica che non è sufficiente la politica sociale praticata dalle grandi imprese che anzi può, con iniziative filantropiche di varia natura, non solo perché esse «sono alimentati continuamente con una parte di profitti» ma perché potrebbe rivelarsi «uno dei principali strumenti di difesa e di consolidamento del potere dei gruppi direttivi dell’industria». E aggiunge «per quanto sincera ed elevata possa essere la nuova coscienza che viene progressivamente formandosi nei corpi direttivi delle grandi imprese, questa coscienza non può costituire un criterio di soluzione del problema del potere economico» (p. 354).¶{p. 5}
Il potere delle grandi imprese non può legittimarsi se non attraverso un mutamento di struttura, inserendosi organicamente in un nuovo ordinamento costituzionale dell’economia (p. 355). L’inserimento dell’impresa nella costituzione economica «non significa funzionalizzazione dell’impresa»; significa piuttosto che il potere economico dell’impresa «è investito di una propria autonoma sfera di competenze, salvo la riserva dell’intervento pubblico quando il potere dell’impresa assumesse contenuti contrastanti con l’interesse generale» (p. 165).
Questi rilievi segnalano eloquentemente i limiti sia delle pratiche di human relations sia delle forme di responsabilità sociale e di welfare che presentavano nel contrastato panorama di relazioni industriali degli anni Cinquanta.
Con riferimento a quel periodo Mengoni rileva che «in un compiuto sistema di contrappesi, non è ancora delineato, e non sembra che il nostro legislatore sia incline a cercare in questa direzione la soluzione del problema del potere» (p. 345). Com’è noto una scelta in questa direzione avverrà solo più tardi con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori.
Mengoni sottolinea nello stesso scritto che l’efficacia di tale sistema di contrappesi è frutto della azione dei gruppi sociali di cui il sindacato è la espressione principale. Per questo sostiene la necessità di un sindacato legittimato dalla sua forza rappresentativa, che accetti pienamente la prassi riformista (p. 193); e afferma l’urgenza di una legislazione di sostegno del sindacato all’interno della impresa per bilanciare i rapporti di forza fra le parti; in questo sviluppa argomenti che diventeranno comuni nel dibattito attorno allo Statuto dei lavoratori (p. 187).
Dal riconoscimento costituzionale della autonomia normativa e istituzionale del sindacato si deriva, sostiene ancora Mengoni, «la legittimazione del sindacato come portatore di una autonoma politica economico-sociale formalmente operante con mezzi di diritto privato [… ] ma valutabile sul piano politico-costituzionale come competenza concorrente con quella dello Stato a determinare lo sviluppo dell’ assetto globale dei rapporti sociali» (p. 186). Sono queste affermazioni fra le più impegnative espresse
¶{p. 6}dai giuslavoristi anche dai più sensibili alle ragioni del sindacato; ma esse sono attente a non avallare tentazioni pansindacalistiche presenti in quel periodo.