Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c7
Capitolo settimo
Genitorialità su terreni difficili e servizio sociale: percorsi possibili a livello micro, meso e macro
di Alessandro Sicora, Salvatore Monaco e Urban Nothdurfter. Frutto della ricerca e della riflessione comune degli autori, i paragrafi 1, 3 e 5 sono da attribuirsi ad Alessandro Sicora; il paragrafo 2 a Salvatore Monaco e il paragrafo 4 a Urban Nothdurfter
Notizie Autori
Alessandro Sicora insegna Servizio sociale presso l’Università di Trento. È
autore, tra l’altro, di Emozioni nel servizio sociale. Strumenti per riflettere e
agire (Roma, 2021) e curatore di Shame and Social Work: Theory,
Reflexivity and Practice (con E. Frost, V. Magyar-Haas e H. Schoneville,
Bristol, 2020).
Notizie Autori
Salvatore Monaco insegna Sociologia generale e Infanzia, famiglie e generi presso la
Libera Università di Bolzano. È autore, tra l’altro, di Tourism, Safety and
Covid-19 (New York, 2021) e Omosessuali contemporanei. Identità,
culture, spazi LGBT+ (con F. Corbisiero, Milano, 2021).
Notizie Autori
Urban Nothdurfter insegna Servizio sociale e Politica sociale presso la Libera
Università di Bolzano. È autore, tra l’altro, di Meeting (or not) at the
Street-level? A Literature Review on Street-level Research in Public Management, Social
Policy and Social Work, in «International Journal of Social Welfare» (con K.
Hermans, 2018) e Why Are You Backing Such Positions? Types and Trajectories of
Social Workers’ Right-Wing Populist Support, in «The British Journal of
Social Work» (con L. Fazzi, 2021).
Abstract
Gli autori di questo ultimo capitolo forniscono al lettore un quadro riassuntivo, evidenziando i vari percorsi che attraversano il manuale. Essi sono sintetizzabili nella triade di livelli micro (relazione tra genitori e assistenti sociali), meso (organizzazioni) e macro (politiche sociali). Piuttosto che la proposta di direttive e procedure, lʼintento di questa visione complessiva è evidenziare le criticità e le opportunità che caratterizzano un rapporto etico e rispettoso con le genitorialità in terreni incerti.
1. Introduzione
La ricerca CoPInG ha voluto dare voce a genitori impegnati a vivere situazioni complesse, quali separazioni altamente conflittuali, povertà, migrazioni forzate e appartenenza a minoranze sessuali o di genere, e ad assistenti sociali che lavorano per supportare le persone che, trovandosi in tali frangenti, si interfacciano con i servizi. Ciò ha portato alla raccolta di una corposa mole di dati che hanno consentito di dare un inedito sguardo in profondità al rapporto tra servizio sociale e genitorialità che si muovono su «terreni incerti».
Come sostenuto sin dall’inizio, questo manuale nasce dall’esigenza di fornire ai professionisti nuovi elementi di conoscenza – e soprattutto di riflessione – per valutare con maggiore efficacia le situazioni incontrate nella pratica di lavoro quotidiana e intervenire su di esse. Tale obiettivo è stato rinforzato dall’inserimento alla fine di ogni capitolo di una serie di quesiti riflessivi che, quanto più possibile, consentano di «uscire dal libro» e di entrare nella realtà operativa in maniera ponderata e non prescrittiva. Ciò è stato proposto nella consapevolezza che molte delle conoscenze occorrenti a condurre adeguati processi di aiuto sono disperse e presenti all’interno dei diversi soggetti coinvolti, siano essi genitori «esperti per esperienza» o assistenti sociali.
Quali sono le principali parole chiave emergenti dalle pagine precedenti? Stereotipi (cap. 2), riconoscimento (cap. 3), posizionamento (cap. 4), unicità (cap. 5) e pratiche anti-oppressive (cap. 6) sembrano essere i termini che più di altri sono al centro dei cinque capitoli che, ulteriori al primo di carattere introduttivo, vengono proposti per evidenziare alcune trasversalità alle quattro «declinazioni» di genitorialità sulle quali la ricerca si è concentrata. Ciò ha permesso di ricomporre un quadro quanto mai diversificato. ¶{p. 200}
In questo capitolo conclusivo si vuole offrire un’ulteriore ricomposizione di quanto riccamente proposto, dando evidenza ad alcuni elementi che sembrano particolarmente significativi tra i molti riportati. Quanto qui presentato è stato selezionato e raggruppato nei tre paragrafi che seguono, secondo una prospettiva capace di dare spessore alle dimensioni micro (relazione genitori-assistenti sociali), meso (organizzazioni) e macro (condizioni e politiche sociali) dell’intreccio tra genitorialità e servizio sociale, e di mostrare alcuni degli impatti più rilevanti degli esiti del lavoro di ricerca CoPInG. Tale prospettiva si sovrappone in parte all’ottica trifocale [Gui 2022] e multidimensionale [Sicora 2022] che caratterizza il servizio sociale italiano.
In questa conclusione ci si propone di mettere in luce le prospettive che si aprono a partire da quanto espresso in questo testo, ricomponendo le tessere del mosaico e proponendo chiavi di lettura della realtà utili a supportare i percorsi di aiuto attivati da chi opera nei servizi.
2. Il livello micro: la relazione genitori-assistenti sociali
Gli assistenti sociali dispongono di un’ampia gamma di risorse, conoscenze e competenze specialistiche che possono essere messe in campo per affiancare i genitori nel fronteggiare situazioni complesse e che li pongono in posizione di vulnerabilità [Premoli 2012; Ranci 2007; Sanfelici 2020]. Si tratta, infatti, di professionisti che, alla luce del proprio profilo, sono chiamati a valutare i bisogni dei diversi nuclei familiari, costruendo insieme alle persone nuove visioni che colgano gli aspetti critici e le risorse a partire dalle quali possono essere pianificati e attuati interventi sociali mirati [Lorenz 2010; Rosignoli 2018].
La ricerca ha ribadito l’importanza di costruire relazioni entro la cornice di un clima di conoscenza e fiducia reciproca. In altri termini, l’efficacia degli interventi e la loro buona riuscita sono strettamente legate al superamento di alcuni ostacoli che possono minare la collaborazione tra le parti. Per questo, da un lato, si riafferma come la diffusione di una conoscenza sulla professione di assistente sociale, sulle sue funzioni e competenze sia un elemento di base perché chi si avvicina ai servizi non parta da posizioni di pregiudizio negativo. Dall’altro, per i professionisti sono necessarie nuove conoscenze che supportino l’assunzione di un approccio empatico, rispettoso e attento alle esigenze specifiche, che possano promuovere l’empowerment dei genitori.
Nei risultati di CoPInG è stato possibile cogliere molti punti di forza nell’ambito dell’incontro tra assistenti sociali e genitori, ma anche aree di criticità proprio al livello delle visioni e delle comprensioni reciproche. La dimensione micro nel lavoro degli assistenti sociali con genitori in situazioni di incertezza si riferisce alle interazioni e possibili azioni, strategie e accorgimenti che possono essere implementati a livello dell’incontro tra professionisti ¶{p. 201}e persone per favorire una relazione che sia vissuta come positiva e sinergica. Tale dimensione costituisce un aspetto di particolare rilevanza, dal momento che un atteggiamento di ostilità o di chiusura da parte delle famiglie nei confronti dei servizi sociali, così come una conoscenza parziale o distorta delle necessità specifiche dei genitori da parte dei professionisti, possono, al contrario, vanificare o compromettere la buona riuscita degli interventi [Garrett 2007; Kondrla, Tvrdoň e Tkáčová 2020].
Le analisi presentate nei capitoli del volume offrono alcuni spunti per individuare ambiti e contesti che possono rivelarsi insidiosi o al contrario offrire opportunità e sui quali, dunque, è possibile avviare interpretazioni e letture dell’agire professionale in maniera riflessiva.
Ad esempio, la ricerca sul campo ha confermato come, nonostante l’incertezza sia una condizione spesso avvertita dai genitori, questa non sembra essere sempre sufficiente a superare le barriere di diffidenza rispetto ai servizi. Molti genitori, infatti, hanno palesato il timore di interfacciarsi con professionisti del servizio sociale per paura che un intervento esterno possa mettere in pericolo gli equilibri, anche se a volte molto precari, del contesto familiare. Questa preoccupazione può essere legata a molteplici fattori, come la stigmatizzazione associata alla richiesta di aiuto o la paura di un’ingerenza troppo invasiva nella propria vita privata [Pregno e Rosina 2012]. A minare la relazione di aiuto e di fiducia tra genitori e operatori sociali, inoltre, sembra incidere non di rado la sensazione che le istituzioni siano distanti dalle famiglie, incapaci di fornire risposte concrete mirate e personalizzate alle criticità che vengono affrontate nel quotidiano. In aggiunta a ciò, alcuni partecipanti hanno anche riportato il timore del possibile controllo esercitato dai professionisti sulla loro vita familiare [Dominelli 2005; Raineri 2007]. Non pochi genitori, infatti, hanno espresso la preoccupazione che gli assistenti sociali possano intromettersi nel loro privato, prendendo decisioni al loro posto o imponendo regole e norme che non corrispondono alle loro esigenze o preferenze. Questo timore può derivare da alcune esperienze negative, dirette o indirette, ma anche da percezioni pregiudiziali e stereotipate riguardo al ruolo e alle funzioni degli assistenti sociali [Allegri 2011]. Alcune persone hanno dichiarato di aver provato a farcela da sole anche in casi di estrema necessità, per scongiurare la possibilità che i professionisti potessero porsi in posizione sostitutiva anziché affiancarli nello sviluppare le strategie necessarie per affrontare le difficoltà quotidiane e migliorare la qualità della vita familiare. Si tratta di una sorta di paradosso che porta ad accrescere – in maniera più o meno diretta – il rischio di vulnerabilità.
Il lavoro degli assistenti sociali con le famiglie che vivono situazioni di difficoltà richiede un equilibrio tra il compito di tutelare i bambini e l’offerta di aiuto e affiancamento ai genitori [Accorinti e Spinelli 2019; Burgalassi e Tilli 2021; Jones, Cooper e Ferguson 2009]. La mediazione tra queste due funzioni può essere difficile, poiché può implicare una certa tensione tra la ¶{p. 202}necessità di monitoraggio e il bisogno di comprendere ed empatizzare con le famiglie. La complessità di tenere insieme questi due aspetti del lavoro emerge pienamente nella ricerca: se l’affiancamento ai genitori rappresenta il modo ottimale di tutelare i bambini, come è possibile gestire l’intervento quando tutela e supporto appaiono in contrasto tra di loro? In effetti, pur non presentando soluzioni facili, la ricerca offre spunti per andare oltre questa contraddizione. In particolare, la dimensione di riconoscimento, ovvero la comprensione delle sfide che i genitori affrontano e del loro modo di ricostruire la propria genitorialità, apre a sguardi diversi che permettono di uscire da una relazione potenzialmente avversaria. Questo superamento potrebbe essere valido anche quando il professionista, per tutelare i bambini, valuta di assumere posizioni che sono in contrasto con la visione dei genitori. In questo contesto, riuscire ad evitare la trappola di una relazione avversaria rappresenta una via importante per riconciliare la tutela dei bambini e il supporto alla genitorialità. I capitoli 2, 3, 4 e 6 hanno messo a fuoco soprattutto l’importanza di riflettere su stereotipi, standard sociali dati per scontati e su mandati istituzionali a volte accettati acriticamente. Questo permette di guardare i genitori in situazioni complesse con nuove lenti che consentano un riconoscimento e una valorizzazione anche, e soprattutto, in situazioni estremamente critiche. Lo stesso approccio che porta a considerare la famiglia in termini di pratiche situate [Morgan 2011], evitando sguardi normativi e che paragonano costantemente la realtà con un dover essere, introduce la possibilità di valutazioni partecipate e basate su un riconoscimento sia dei bisogni di protezione dei bambini, sia degli sforzi e delle fatiche – a volte davvero erculee – dei genitori per ricostruire una propria posizione, nonché per far valere i propri diritti. Questo tipo di riflessione critica può, infatti, contribuire ad attivare interventi co-costruiti e porre dei limiti all’assunzione di posizioni di direttività che sono in contrasto con il mandato professionale di affiancamento.
Nella letteratura di servizio sociale si sottolinea l’importanza di superare relazioni di contrapposizione e di accrescere la fiducia verso i servizi sociali [Allegri 2012; Levitt 2001; Ferrara e LaMeau 2015], ma come arrivare a questi obiettivi? Come si è più volte rilevato, l’analisi delle interviste ha posto in luce che non sono sporadici i casi in cui genitori temono di sentirsi giudicati, stigmatizzati da insegnanti e professionisti, inclusi gli assistenti sociali, o di sentirsi di non essere in grado di soddisfare le aspettative socialmente associate alla «buona genitorialità». Dunque, da una parte la consapevolezza degli stereotipi che tutti ci portiamo dentro in relazione a famiglia e genitorialità (cap. 2 e cap. 6), dall’altra la comprensione di un bisogno profondo di riconoscimento da parte dei genitori (cap. 3) possono essere le prime basi per sviluppare interesse e attenzione nei confronti della prospettiva dei genitori. Una conoscenza generale delle preoccupazioni e delle esigenze che si producono in situazioni di difficoltà e instabilità offre le basi perché i professionisti possano avviare un ascolto attivo nelle situazioni di incontro ¶{p. 203}con i genitori. Per esempio, si considerino i seguenti aspetti nella posizione dell’assistente sociale:
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avere presente che cosa significa fare i genitori convivendo con l’angoscia di non riuscire a soddisfare i bisogni primari dei figli nelle situazioni di povertà;
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considerare la sfida di crescere i propri figli tenendo a bada il terrore di perderli per una legislazione deficitaria, e in un costante stato di allerta per proteggerli da un ambiente chiuso e ostile;
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essere consapevoli delle tensioni di riuscire, nonostante traumi e ferite, ad essere punti di riferimento per i bambini, con l’ansia di conciliare una cultura di appartenenza con quanto richiesto/imposto per essere inclusi nel paese di approdo del percorso migratorio;
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essere consapevoli della complessità di avere un ruolo di guida e supporto dei propri figli in un contesto di grave ostilità nella relazione con l’altro genitore.
La consapevolezza di tutti questi aspetti può offrire l’opportunità di entrare in contatto con le persone facendole sentire viste e riconosciute come soggetti e come membri a pieno titolo della comunità.
Lo studio ha rivelato che, a seconda delle modalità comunicative messe in atto, i livelli di consapevolezza e di coinvolgimento nei genitori possono variare. Le esperienze descritte come maggiormente efficaci sono quelle in cui i professionisti sono stati trasparenti nel trasferimento delle informazioni, persino quando queste non coincidevano con le aspettative. I genitori hanno sottolineato di aver compreso il valore dell’intervento portato avanti, soprattutto quando hanno potuto cogliere il ruolo dell’assistente sociale e le motivazioni alla base delle decisioni e delle valutazioni prese, anche in riferimento al contesto sociopolitico e al servizio di appartenenza. In effetti, una conoscenza più ampia delle circostanze entro cui si inserisce il lavoro sociale può supportare i genitori a riconsiderare le loro aspettative, sulla base della disponibilità (o mancanza) di risorse economiche o umane, così come della loro tempestività [Neve 2022]. Questo tipo di informazione può rivelarsi in molti casi un modo per facilitare nei genitori l’assunzione delle proprie responsabilità e permettere loro di attualizzare il profondo impegno, che emerge fortemente in tutte le interviste, ad agire per il bene dei propri figli.
È importante sottolineare che la comprensione delle informazioni non si configura solo come un fattore che può avere ricadute nella pratica, ma può avere anche una rilevanza emotiva. Infatti, un linguaggio di immediata comprensione può contribuire a offrire ai genitori la sensazione di sentirsi meno sopraffatti, soli o confusi. Essere informati in maniera chiara su ciò che accade può favorire nei genitori un miglioramento della loro autostima e del loro senso di controllo sulla propria vita.
Va sottolineato come gli elementi emersi dalla ricerca, soprattutto riguardo all’esperienza dei genitori, non sono proposti come sostitutivi rispetto
¶{p. 204}alla conoscenza che si produce negli specifici incontri tra professionisti e persone. Come sottolineato nel capitolo 5, uno dei punti che si ribadisce è che ciò che caratterizza l’approccio del servizio sociale a livello micro è un’attenzione alle diversità e alle specificità di ogni storia nelle complesse intersezioni di elementi che le caratterizzano. Nel servizio sociale è rilevante essere consapevoli delle molteplici dimensioni identitarie che compongono un individuo – come genere, etnia, orientamento sessuale, identità di genere, religione, classe sociale – e comprendere come questi aspetti interagiscano e si influenzino a vicenda, accrescendo in alcuni casi l’esposizione a forme di marginalizzazione, esclusione sociale o disagio. D’altra parte, il tenere in considerazione il principio dell’unicità della persona rappresenta uno dei cardini del servizio sociale. Tale principio si fonda sull’assunto che ogni individuo sia unico e diverso dagli altri, per cui ogni situazione richiede un intervento personalizzato, specifico e mirato. L’assistente sociale non può non considerare che ciascun individuo affronta in maniera unica le situazioni che vive, reagisce differentemente anche ai medesimi fattori di stress ed è in grado di ricorrere a risorse diverse, anche in relazione alla fase del ciclo di vita e al contesto in cui si trova. Le conoscenze cui si fa cenno sono necessarie per consentire degli spostamenti di prospettiva che permettano di ascoltare in profondità le persone [Almeida et al. 2019; Bernard 2021; Mattsson 2014; Nayak e Robbins 2018]. Proprio su questo aspetto, infatti, alcuni genitori che hanno preso parte allo studio hanno dichiarato di aver molto apprezzato tale approccio quando è stato messo in pratica, perché è stato interpretato come una manifestazione tangibile della determinazione da parte degli operatori nel voler fornire un supporto reale, mirato, condiviso, al di là delle prescrizioni e dei vincoli, pur entro la cornice di procedure e prassi di riferimento. È bene ribadire, pertanto, che le suggestioni della ricerca non intendono offrire interpretazioni preconfezionate dell’esperienza dei genitori, ma rendere possibili nuovi vertici di osservazione per lasciare spazio a una comprensione dell’unicità delle esperienze che l’assistente sociale incontra. Si tratta di una prospettiva che permette di riconoscere le ragioni delle persone e di cogliere la portata dell’impresa di costruire pratiche genitoriali quotidiane a fronte delle difficoltà avvertite come maggiormente critiche. La considerazione delle sfide è ciò che può altresì consentire il riconoscimento e la valorizzazione delle risorse già esistenti all’interno delle famiglie che diventano visibili proprio a partire da un’attenzione alle pratiche quotidiane situate, e non valutate in base a modelli normativi e a-contestuali che prescrivono cosa andrebbe fatto.