Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c6
b) nella predisposizione dei Piani regionali di sviluppo rurale, le Regioni possono promuovere la realizzazione di programmi finalizzati allo sviluppo della multifunzionalità delle imprese agricole e basati su pratiche di progettazione integrata territoriale e di sviluppo dell’agricoltura sociale. A tale fine le Regioni promuovono tavoli regionali e distrettuali
¶{p. 132}di partenariato tra i soggetti interessati alla realizzazione di programmi di agricoltura sociale.
A livello ministeriale è stato istituito, come previsto dalla legge 141/2015 un Osservatorio sull’AS al quale partecipano, oltre alle autorità di rappresentanza delle Autorità statali e regionali, anche rappresentanti del terzo settore, delle organizzazioni professionali e delle reti nazionali di AS.
Ed è proprio alle reti di AS che va posta grande attenzione a livello sia locale sia regionale e nazionale. Molte di loro sono state tra gli attori che hanno sostenuto la necessità di una legge nazionale sull’AS e si dimostrano molto attive anche in quelle Regioni nelle quali le comunicazioni con le istituzioni non sono agevoli.
2. Dall’anima al corpo: l’agricoltura sociale contestualizzata. Il Piemonte
Lo sviluppo del paragrafo in itinere ambisce all’illustrazione della panoramica economica – per giungere a un focus su quella agricola e sociale – di uno scenario calzante per la contestualizzazione del fenomeno dell’agricoltura sociale, ¶{p. 133}in Piemonte. Il fine, in questa prima sezione di approfondimento, è quello di descrivere un contesto esemplare in cui il fenomeno di interesse trova la sua genesi, così da guadagnare una maggiore elasticità nel considerarne limiti e prospettive.
A tale scopo, si propone a titolo preliminare il tracciato della più recente linea del tempo che riprenda ed evidenzi le trasformazioni salienti del mai interrotto percorso di vita delle aree rurali, di cui il Piemonte è costellato.
Si è appurato come urbanizzazione, mero assistenzialismo, estrema povertà infrastrutturale, digital divide, senilizzazione, obsolescenza del sistema educativo, sanitario e culturale siano strette tenaglie agli ingranaggi della crescita delle aree interne italiane e dei loro abitanti. Cause ed effetti allo stesso tempo, connotati di un circolo vizioso di disuguaglianze che profondamente penalizzano tali contesti.
Eppure, oggi, in tal sede, possiamo godere del privilegio di assistere e quindi considerare anche un’ulteriore svolta, un vero e proprio tornante compiuto dalla storia recente, di cui siamo testimoni diretti in Piemonte ma non solo. In tutti questi decenni di oblio dalla cosiddetta «grande storia», le piccole narrazioni delle aree interne italiane sono state taciute, ma nel silenzio hanno continuato a esistere e resistere autonomamente, ermetiche nello scrigno dei propri sistemi e conseguentemente escluse – si potrebbe azzardare salve – da quelle dinamiche che oggi sappiamo essere viziosi carburanti della crisi della civiltà urbana e del consumo [Carrosio 2019, 24-25]. Quest’ultima aggravata, o per meglio dire confermata, dall’impatto dell’epidemia di Sars-CoV-2 prima e dalla profonda crisi energetica, umanitaria e geopolitica dopo.
È proprio in tale paradosso che si è generato un peculiare valore. Non nell’essere state escluse dai venti delle violente trasformazioni globali, i quali anzi, sono stati avvertiti con una potenza ancora maggiore, radicale; ma nell’essere rimaste, le aree rurali, estranee ai meccanismi che hanno innescato il crollo. Il punto di vista esterno di cui sono state dotate dal loro stesso isolamento le ha equipaggiate di un enorme vantaggio nell’approccio risolutivo [ibidem].¶{p. 134}
Tale spiraglio è stato fortemente recepito da una comunità che inizia a considerare inadeguati i sistemi-città odierni nel rispondere alle crisi e quindi nel tutelare il benessere olistico dei propri cittadini. Così gli sguardi, le prospettive e gli investimenti sono tornati a guardarsi intorno alla ricerca di nuovi paradigmi di vita, pensiero, lavoro. E molti di loro, come in un déjà-vu, sono tornati a posare l’attenzione su terra, piccole comunità, responsabilità sociale. Sono tornati al centro proprio i luoghi in cui, per troppi anni, si è definito vuoto ciò che in realtà era spazio. È in corso un effettivo cambiamento di percezione collettiva [Martinelli 2020].
Ed è nello studiare l’ampio spettro di approcci risolutivi che si è giunti a circoscrivere l’oggetto di studio del capitolo, l’agricoltura sociale.
Contestualizzando l’argomentazione alla regione Piemonte, la scelta dell’area in questione è giustificata dal ruolo del comparto agricolo nelle sue aree rurali ma soprattutto dalla coesistenza in loco di condizioni di welfare estremamente divergenti, testimonianza di un divario sociale la cui forbice fatica a ridursi: nel mosaico demografico esibito dal bacino piemontese le realtà rurali, numerose e in uno stato di abbandono cronico, rimangono pressoché escluse dall’accessibilità a servizi essenziali, di ordinaria responsabilità regionale e nazionale, vittime resilienti di un sistema economico-sociale che ancora oggi continua a non ritenerle appetibili rispetto alle città. Concezione non più così unanime, per esempio, tra i cittadini.
Si procede quindi a definire i tratti del contesto prescelto attraverso una SWOT Analysis.
Si è utilizzata come fonte primaria la documentazione relativa al Piano di Sviluppo Rurale regionale
[10]
, strumento di programmazione comunitaria, settennale (2014-2020), legato a uno dei cinque fondi strutturali dell’Unione europea, il FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale)
[11]
. ¶{p. 135}Tali programmi regionali sono atti a contestualizzare le sfide europee e quindi a individuare innanzitutto i fabbisogni locali dell’agricoltura e della ruralità della regione, per poi fissare delle linee guida propositive e risolutive coerenti con gli obiettivi comunitari: competitività, gestione sostenibile, sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali.
2.1. SWOT Analysis proposta dal PSR Piemonte: un braccio di ferro tra spinte innovative e marginalizzazione
Il Piano è stato redatto sulla base di un’analisi localizzata di cui si riporta a seguire una sintesi. Nella definizione del contesto generale i numeri descrivono un Piemonte benestante, con un PIL pro capite superiore alla media europea, inseribile tra le eccellenze italiane in termini di qualità, ma con zone d’ombra diffuse.
A titolo economico-sociale generale, i trends positivi sono infatti definiti essenzialmente dai poli trainanti e dalle grandi aziende del territorio, mentre il variegato mondo delle campagne, delle PMI e della microimprenditoria resta indietro, fatica a tenere il passo, a contribuire alle strategie di posizionamento e quindi a beneficiare dei risultati. In regione anche l’occupazione ha il segno meno, segnata dalle difficoltà del sistema scolastico, dato che incide negativamente sul rischio povertà, in aumento soprattutto nelle aree rurali.
Tale scenario interessa tutti i settori dell’economia, in pole position l’agricoltura, la quale, anche in questa regione, ha reagito agli effetti dei dati al ribasso appena elencati con il filone della multifunzionalità: secondo il PSR 2014-2020 il 10,2% delle aziende agricole piemontesi svolge almeno una seconda attività economica, il doppio rispetto alla media nazionale, fissa al 5,7% secondo il 7o Censimento generale dell’agricoltura
[12]
.
A spiccare in tal senso è l’innovazione sociale ed è pro¶{p. 136}prio in questo ambito che si collocano gli esperimenti di agricoltura sociale, orientati a provvedere alle esigenze delle famiglie residenti in aree depresse o a particolari target con fragilità sociosanitarie, o ancora a potenziali consumatori responsabili (gruppi di acquisto, filiera corta).
Questo indirizzo, in Piemonte, trova probabilmente la sua ragione, spontanea e informale, nel vuoto lasciato dall’attore pubblico in ambito di welfare e a cui i privati stanno cercando di rispondere con soluzioni autonome, bottom-up. Nelle aree rurali intermedie (ad es. Monferrato), in quelle periferiche e ultra-periferiche si osserva infatti una presenza di servizi socioassistenziali inferiore alla media regionale, in aggiunta a una difficoltosa accessibilità causata in parte dall’orografia, dal digital divide e dalla carente infrastrutturazione viaria.
A rinforzare i rassicuranti dati sulla spinta all’innovazione piemontese, un dato curioso: nel decennio 2001-2011 si rileva in Piemonte un aumento del 3,5% della popolazione residente, imputabile alla componente migratoria sia nazionale sia straniera; ma il dato più interessante è il piccolo e simbolico incremento di popolazione (+0,8%) nelle aree rurali, prima variazione positiva da più di cent’anni. Purtroppo, il più recente censimento Istat sulla popolazione costringe a una lettura più critica del dato, poiché la tendenza in questione è tornata in negativo, complice la pandemia
[13]
.
Se è vero che quello accennato è un quadro complesso, è altrettanto vero che, per quanto flebili, questi segnali di rottura con lo storico non possono passare inosservati.
Emblematica una riflessione di Giovanni Carrosio, studioso punto di riferimento sul tema:
Le contraddizioni possono essere una fonte feconda di cambiamento. Una via d’uscita da una contraddizione è infatti l’innovazione. [...] concetto di innovazione come emancipazione, ovvero quell’azione sociale che guarda al futuro affrontando le contraddizioni nella tensione di un miglioramento delle prospettive di vita, in modo aperto e inclusivo [Carrosio 2019, 18].¶{p. 137}
Note
[10] Fonte web: Regione Piemonte, Il Programma di sviluppo rurale 2014-2020.
[11] Definizione della Commissione europea: «Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) sostiene la politica europea in materia di sviluppo rurale e, a tal fine, finanzia i programmi di sviluppo rurale svolti in tutti gli Stati membri e nelle regioni dell’Unione».
[12] Fonte web: Istat, 7° Censimento generale dell’agricoltura, I risultati.
[13] Fonte web: Istat, Il Censimento permanente della popolazione in Piemonte, anno 2020.