Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/p1

Prefazione alla riedizione digitale
di Andrea Lassandari

1. L’opera nel percorso scientifico di un Maestro.

Contrattazione e partecipazione. Studio di relazioni industriali in una azienda italiana è pubblicato nel 1968.
Si tratta della analisi di una «esperienza di consultazione mista» (d’ora in poi anche CM), come «la chiamavano i suoi protagonisti interessati a sapere cosa ne pensassi» (Romagnoli 2017, p. 776), presso l’impresa tessile lombarda Bassetti ed anzi in particolare lo stabilimento di Rescaldina della medesima, «a cui è strettamente legata la storia della CM» (p. 35) [1]
.
Della Bassetti si era peraltro già occupato Pizzorno, nel 1960, quanto ora soprattutto al rapporto con l’area territoriale di insediamento, in Comunità e razionalizzazione: ricerca sociologica su un caso di sviluppo industriale, Torino, Einaudi, volume cui viene fatto ripetutamente riferimento nel momento in cui Romagnoli descrive, nel primo capitolo, il contesto in cui matura l’esperienza di CM.
Il libro viene inserito nella collana Studi e ricerche, assieme a opere di prevalente carattere sociologico, anche con impostazione in apparenza molto vicina: si veda ad es. il testo di Spreafico, del medesimo anno, dal titolo Un’industria, una città. Cinquant’anni alle officine “Reggiane”.
Romagnoli è però il primo giurista che pubblica in questa collana.
Presentare il libro consente allora in effetti di dare innanzitutto conto del peculiare itinerario di formazione scientifica {p. 2}di un grande Maestro, uno dei più importanti e riconosciuti giuristi del lavoro, non solo in Italia (Aparicio, Baylos 2023; Palomeque 2023).
Umberto Romagnoli si era laureato in Giurisprudenza dieci anni prima, nel 1958, discutendo una tesi in Diritto processuale civile sulla “Successione a titolo particolare nel processo”, con relatore Tito Carnacini, gius-processualista allievo di Enrico Redenti, che poi sarà anche Rettore dell’Università di Bologna.
Carnacini insegnava però allora anche Diritto del lavoro, presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Ateneo bolognese. E dirigeva la Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, nella cui sede a Bologna si riunivano pressoché tutte le sere i giovani componenti della redazione: tra di essi, quando anche Romagnoli comincia a frequentarla, Federico Mancini, già tra i fondatori de Il Mulino, che aveva appena pubblicato La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro; inoltre Giorgio Ghezzi, qualche anno più giovane, pure ben avviato agli studi di Diritto del lavoro. Proprio Mancini fa d’altra parte conoscere a Romagnoli «un suo grandissimo amico che ammirava al limite dell’invidia» (Romagnoli 2017, p. 766 ss.): Gino Giugni. Proprio dall’incontro con Giugni – dirà sempre Romagnoli - «sprigionò la scintilla» che risultò decisiva per il transito dallo studio del Diritto processuale civile al Diritto del lavoro.
Ebbene il contributo dato dai giovani studiosi ora menzionati alla formazione, soprattutto nel corso degli anni sessanta, così come allo sviluppo del Diritto del lavoro è stato fondamentale.
I giuristi della scuola di Bologna, la cui genesi è stata ora assai sinteticamente ricordata, assieme a quelli della scuola di Bari, fondata quasi contemporaneamente da Gino Giugni, pur con le differenze esistenti tra ciascuno di essi, in effetti promuovono e sostengono allora una dirompente novità di metodo: si trattava di «allargare la ricerca alle dinamiche che precedono e seguono la scrittura della norma» (Romagnoli 2017, p. 767).
Ecco allora che la prima monografia di Umberto Romagnoli, Il contratto collettivo nell’impresa, del 1963, a proposito di uno sconosciuto istituto che però «stava crescendo sotto i suoi occhi» (Romagnoli 2017, p. 771), risulta fortemente debitrice della esperienza acquisita da Romagnoli quando, per alcuni anni, fu assunto dall’Italsider di Genova.
A questa seguono La prestazione di lavoro nel contratto di
società
, del 1967, nonché Le associazioni sindacali nel processo, del 1969, importanti studi ora di carattere più tradizionale, nel panorama scientifico ad essi contemporaneo, accompagnati però da ricostruzioni di carattere storico inconsuetamente approfondite.
Il volume qui presentato, dove invece Romagnoli appunto realizza una indagine critica di una concreta esperienza di relazioni industriali, si colloca temporalmente proprio tra queste ultime due opere monografiche. Mentre risale a quei medesimi anni una ricerca sulla formazione extra-legislativa del diritto, condotta in collaborazione fra l’Università di Bari e quella di Bologna.
Nel contesto scientifico e culturale brevemente descritto, il percorso innovativo del giurista del lavoro Umberto Romagnoli, di carattere spiccatamente anti-dogmatico e anti-positivista, si confronta in effetti con due possibili, non coincidenti direttrici, entrambe in parte allora già seguite, che rispettivamente valorizzano, accanto al metodo giuridico, soprattutto la ricerca empirica ovvero l’approfondimento storico.
La scelta che Romagnoli finisce con il fare privilegerà quest’ultimo approccio, come noto. Nella consapevolezza del fatto «che la storia giuridica non è prologo in cielo né scolastica erudizione. E’ comprensione e ricostruzione in chiave diacronica dei nessi tra logica giuridica e trasformazione della società, è lettura critica degli svolgimenti normativi finalizzata all’attualizzazione del passato e alla storicizzazione del presente». Sul presupposto inoltre che «la ricerca storico-giuridica possiede una valenza euristica nettamente superiore rispetto ad ogni altra» (Romagnoli 2017, p. 775).
Ciò caratterizzerà in modo eminente e del tutto peculiare il suo contributo allo studio del Diritto del lavoro (Lassandari 2023).
Tuttavia proprio il volume ora di nuovo pubblicato consente di comprendere con quali e quanti strumenti si sia svolto l’itinerario scientifico di Romagnoli. Inoltre di cogliere, come si è espressa Maria Vittoria Ballestrero (2023), «le premesse di quello sviluppo del profilo di studioso di Umberto Romagnoli che, fermi restando i profondi legami con Mancini e Giugni, lo porterà per così dire “altrove”: cioè a mettere al centro della sua riflessione il Diritto del lavoro nell’intreccio, scandito dal {p. 4}tempo, tra teorie (giuridiche) e pratiche (politiche), tra la realtà (economica e sociale) del lavoro e la sua rappresentazione formale».

2. Introduzione e Prefazione al volume: Giugni sulla consultazione e Romagnoli sul metodo.

Nel libro emerge immediatamente un confronto di grande interesse: l’Introduzione di Giugni, subito seguita da una breve Prefazione di Romagnoli.
Entrambe forniscono in poche pagine una descrizione rispettivamente dei principali risultati acquisiti nonché del metodo seguito. Oltre a consentire di cogliere «un netto slittamento a sinistra rispetto alle intenzioni dei promotori di quella ricerca empirica» (Ballestrero 2023).
Giugni è d’altra parte anche molto interessato a precisare alcuni concetti. A partire da che cosa debba intendersi per «consultazione», che sempre «presuppone l’esistenza di due centri di interesse separati in posizione di conflitto attuale o potenziale» (a differenza di «altri modelli di rapporti che postulano invece il superamento del conflitto medesimo e del dualismo fondamentale degli interessi dedotti nell’impresa»: p. 7 ss.); e comunque «accetta il potere dell’imprenditore come un dato di fatto senza contestarne la fonte» (p. 9).
Indaga in tal modo subito il tema cruciale della relazione tra «consultazione» e «contrattazione aziendale», descrivendo quanto accaduto in Gran Bretagna. Dove – secondo il «Rapporto della commissione reale presieduta da Lord Donovan» – si è assistito ad un «superamento nei fatti», più che al «fallimento» del metodo della joint consultation. Poiché «l’area della contrattazione aziendale “informale” – quella cioè che si svolge di fatto, in un contesto confuso di procedure, in cui il Rapporto, nel suo leit-motiv, propone di portar ordine – ha eroso le competenze degli organi di consultazione. Ma, in una certa misura, questi hanno preparato l’altra, creando le premesse per una discussione di problemi, che ormai, ad uno stadio più avanzato, tendono a formare oggetto di rapporti negoziali veri e propri».
Ebbene – osserva sempre Giugni – «l’esperienza Bassetti, {p. 5}come la presente ricerca dimostra, rivela singolari punti di affinità con tale vicenda» (p. 11).
Frutto di «una campagna o … retorica» discutibile, quella della «predicazione di una mentalità “produttivistica”» (p. 12 ss.), accolta da Cisl e Uil soprattutto «per sortire da una condizione di isolamento», respinta invece dalla Cgil per una «opposizione … soprattutto ideologica» (p. 20), la consultazione mista trova nella società Bassetti molteplici e compositi elementi che ne consentono e favoriscono l’esperimento. Mentre è «la grande ripresa della lotta sindacale», pochi anni dopo l’introduzione dell’istituto nell’impresa, assieme all’imporsi di principi nuovi come quello della «ammissibilità di rapporti negoziali a livello di impresa», a consentire alla “consultazione mista” di «assorbire, sotto l’influsso di situazioni generali, caratteri più aderenti al dinamico corso dei rapporti sindacali» (p. 15 ss.).
Questi ultimi presuppongono che «il conflitto è la premessa di fatto necessaria» (p. 16): cosicché appare corretto parlare di «collaborazione conflittuale». Senza «confusione di ruoli» quale si è verificata in altri casi, ad esempio nella cogestione tedesca, «che presuppone una convergenza di interessi, mediata da organi comuni» (pp. 17 e 25).
In definitiva – rileva sempre Giugni - la consultazione mista in Bassetti ha inciso modestamente sul rapporto con l’organizzazione dell’impresa, specie per quel che concerne l’influenza «sui rapporti gerarchici» (p. 18). Quanto invece alla relazione con il sindacato, l’esperienza, che emerge «eminentemente da un’esigenza imprenditoriale e da una volontà tesa all’innovazione in funzione dell’efficienza» (p. 20), risulta significativa soprattutto perché «quando i sindacati o la stessa commissione interna sotto la spinta di questi … premettero nel senso della negoziazione aziendale, trovarono … un agile punto di raccordo nella già esistente struttura di consultazione» (p. 21).
Ad esito del descritto percorso evolutivo, che si svolge nell’arco di più anni, si transita così «dalla consultazione produttivistica alla consultazione aziendale». Appare inoltre corretto parlare di «contrattazione nella consultazione» (p. 22).
«L’analisi di una particolare e singolare esperienza aziendale» - conclude Giugni - «può fornire qualche indicazione o quantomeno stimolare una discussione basata su avvenimenti, non su parole» (p. 26).
{p. 6}
Note
[1] Le citazioni, qui e di seguito, quando non ci sono altri riferimenti, sono tutte tratte da Contrattazione e partecipazione. Studio di relazioni industriali in una azienda italiana, Il Mulino, Bologna, 1968, qui ripubblicato.