Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/p1
«L’analisi di una particolare e singolare esperienza aziendale» - conclude Giugni - «può fornire qualche indicazione o quantomeno stimolare una discussione basata su avvenimenti, non su parole» (p. 26).
{p. 6}
Ma come sono descritti appunto questi avvenimenti da Umberto Romagnoli, giurista del lavoro e non sociologo né studioso delle relazioni industriali?
Ebbene Romagnoli si serve soprattutto di «interviste e colloqui esplorativi con dirigenti aziendali e operatori sindacali» (p. 29 ss.), così come della «copiosa documentazione esistente negli archivi e negli uffici Bassetti», in relazione ad un preciso obiettivo. Quello cioè di «assegnare il necessario rilievo ai fattori di natura storica, politica e sociologica - in breve ai fattori extra-normativi – nel momento dell’interpretazione sistematica di un vasto complesso di regole di comportamento poste in essere dalla autonomia negoziale dei privati, per poter gettare luce sugli interessi di cui gli “accordi di consultazione mista” sono espressione e sui conflitti che essi pongono sul piano formale». In appendice al volume peraltro sono riportati tutti i principali accordi e documenti, sulla cui base la CM viene nel tempo disciplinata.
Emerge così, in maniera del tutto consapevole e limpida, un elemento caratterizzante l’intera produzione scientifica di Umberto Romagnoli.
D’altra parte – prosegue l’autore – il suo frequente intervento «con valutazioni e giudizi di carattere soggettivo» si deve «alla determinazione metodologica, pressoché obbligata in sede di studi di storia contemporanea, di confrontare lo sviluppo reale della vicenda con un modello teorico di riferimento». Il «dato fattuale» - viene precisato ancora - «è in genere riportato a scopo di esemplificazione o di conferma delle “tesi” o interpretazioni prospettate».
Ancora – ma «probabilmente questa è stata la scelta metodologica più difficile e delicata che l’autore abbia dovuto compiere» - nell’occasione matura «il convincimento che l’esperienza sottoposta ad esame, per le particolarità del suo andamento, si prestava ottimamente ad essere indagata come “uno spaccato” dell’evoluzione della ideologia e della pratica sindacale in atto nel nostro paese, piuttosto che come storia di accadimenti circoscritti all’ambito di una impresa». Pertanto nel volume «la dimensione istituzionale tende a superare la dimensione meramente aziendale; dalla descrizione dell’effettiva meccanica del fenomeno la prospettiva dell’indagine spesso si allarga ad includere l’intero sistema di relazioni industriali».{p. 7}
Scelta squisitamente di metodo è infine anche quella di suddividere il volume in due parti «distinte, benché strettamente connesse e interdipendenti». Nella prima è così «analizzata l’esperienza di partecipazione e consultazione mista dal 1958 al 1967, isolandone le componenti e le tendenze nel contesto evolutivo delle strutture e delle politiche dell’impresa». All’interno della seconda parte invece «l’indagine è prevalentemente incentrata sulla ricerca delle interazioni che, nel medesimo periodo di tempo, si sono determinate tra la consultazione mista e l’azione contrattuale sindacale nel quadro dell’evoluzione complessiva delle relazioni industriali».
Ad unirle è il «tentativo di conciliare, dopo averle separate allo scopo di precisarne i contorni e le autonome motivazioni, la logica manageriale della consultazione mista con la logica schiettamente sindacale ad essa giustapposta, controllandone in sintesi finale, per quanto provvisoria, il grado di convergenza e il rapporto di reciproca non-integrazione».
Nell’occasione si palesa comunque – questa la chiosa finale - «una realtà continuamente percorsa da tensioni e contraddizioni e sempre alla ricerca di una difficile coesione interna attraverso equilibri instabili».

3. I contenuti dell’analisi: caratteri e limiti della «consultazione mista» in Bassetti.

Romagnoli si sofferma innanzitutto sul contesto in cui matura l’esperienza di «consultazione mista» presso l’importante impresa tessile: dando conto cioè del dato «geografico e sociale» (p. 35 ss.), così come «occupazionale» (con attenzione alla presenza della manodopera femminile). Per poi descrivere attraverso quali momenti e soprattutto nell’ambito di quali accordi aziendali sorge la CM: «una politica di relazioni industriali basata sulla partecipazione operaia e sindacale alla soluzione dei problemi attinenti alla gestione del personale ed all’organizzazione del lavoro» (p. 38).
Assume così innanzitutto rilievo un accordo sindacale, risalente al 14 maggio 1958, che vede l’impresa proporre la novità, profittando della «richiesta sindacale di istituire un premio di produzione» (p. 38 ss.). La CM è comunque introdotta, ad {p. 8}esito di ciò, in connessione a «ragioni reali e più profonde»: «dal lato dei sindacati dei lavoratori, si tratta di ottenere il riconoscimento del principio di contrattazione aziendale; dal lato della Bassetti, si tratta di stabilire in azienda un clima di maggior collaborazione produttivistica».
Nell’accordo, che sarà però sottoscritto esclusivamente da Filta-Cisl e Uilt-Uil, viene in particolare codificato il «principio del lavoro congiunto» (p. 39 ss.), configurato attorno a due «manifestazioni salienti e caratteristiche» del medesimo, cui sono dedicati due separati articoli: la «consultazione» e la «collaborazione».
In seguito, alla luce di problemi che la concreta gestione dell’istituto farà emergere, la disciplina della CM sarà modificata nel 1963, con la predisposizione di un «nuovo statuto» che «riformula i principi generali … con maggiore cautela e precisione analitica» (p. 40). Ove soprattutto si rinuncia all’«ambizioso proposito di risolvere i contrasti di classe per acquistare quello – più modesto ma più realistico – di canalizzarne lo sviluppo attraverso una spartizione contrattuale del potere» (p. 43). Mentre nel 1965 un ulteriore accordo aziendale, questa volta unitario (dopo che comunque pure la Filt-Cgil nel 1963 aveva sottoscritto altro importante accordo aziendale integrativo del contratto collettivo nazionale), modificherà ed amplierà la funzione della CM.
Si tratta di anni, quelli considerati, che vedono evolvere in modo notevolissimo l’intero modello di relazioni industriali. Mentre in Bassetti si transita da una esperienza proposta dall’impresa, anche alla luce del protagonismo e ruolo politico ricoperto dall’imprenditore [2]
, «sostanzialmente estranea alla realtà del movimento sindacale dell’epoca», ad una incisiva modificazione della medesima, «non appena si è collegata a più vaste esperienze politiche e culturali» (p. 45 ss.).
Ebbene risulta allora palese come in origine non mancassero rispetto alla CM elementi definiti equivoci. Il primo dei quali concerne il concepire «la consultazione … in maniera {p. 9}tale da implicare necessariamente una omogeneità o comunione di interessi tra imprenditore e maestranze» (p. 48): con una riconduzione dunque nell’ambito della «collaborazione». Aspetto questo reso esplicito in più occasioni; frutto però di «orientamento ideologico», considerato che «la consultazione … può essere considerata e utilmente esercitata anche nella cornice di fini e interessi confliggenti» (p. 50). L’“equivoco” sarà appunto superato in modo chiaro e risolutivo solo nella seconda metà degli anni sessanta.
Appariva inoltre evidente l’intenzione di realizzare soprattutto «un rapporto diretto tra imprenditori e lavoratori»; pur senza impiegare la CM «in funzione antisindacale»: anzi utilizzando lo strumento per condurre il «sindacato verso posizioni responsabili» (p. 53 ss.). Tuttavia il rilancio della CM, nel 1965, avverrà solo quando viene compreso che proprio il sindacato debba assumere un ruolo da protagonista.
Mentre ulteriori aspetti hanno evidenziato, in particolare nella fase di gestione, difficoltà e contraddizioni.
Così non deve essere sottovalutato il dato per cui la CM «ha certamente contribuito a modificare le condizioni e le forme di esercizio del potere aziendale nella misura in cui la direzione, obbligata “a far capire” le decisioni che intende adottare, deve preliminarmente farne oggetto di comunicazione. Ed anche una consultazione basata sulla mera informazione può ben essere – è stata – “effettiva”, perché “essere al corrente e comprendere è già partecipare”» (p. 61 ss.).
Senza che ciò in ogni caso mettesse in discussione il potere della «tecnostruttura» e tantomeno la sua legittimazione, se è vero che «“là dove ci sono dei capi che funzionano, funziona anche la CM: magari è stata la CM a far funzionare il capo” (p. 66) [3]
».
La CM è anzi «utilizzata per mettere al passo con le esigenze di rinnovamento sia il corpo della gerarchia aziendale, fino ai gradini più bassi, sia l’intera collettività aziendale» (p. 67). Cosicché «la “funzione della consultazione”, come quella commerciale o di produzione, deve tradursi in (e corrispondere ad) una categoria organizzativa identificabile nel quadro della organizzazione funzionale dell’azienda» (p. 71).{p. 10}
Alla Bassetti però contemporaneamente sono evidenti atteggiamenti esitanti o non convinti o anche (pur non apertamente, per intuibili ragioni) critici della direzione. Vere e proprie forme di resistenza invece, «ai livelli gerarchici inferiori», da parte dei capi intermedi, che «“si sentono tagliati fuori”» (p. 75).
Mentre sul fronte della rappresentanza dei lavoratori emerge il «diffuso malessere derivante dal fatto che gli organi della CM coinvolti nei compiti, nelle responsabilità e, almeno indirettamente, negli interessi della direzione, erano chiamati a sostenere un “doppio ruolo”» (problema peraltro «comune alle consolidate esperienze inglesi, francesi e tedesche in tema di comitati misti»). Ciò generando un «conflitto di lealtà» (p. 83 ss.).
Si tratta di un aspetto problematico che il sistema di regole sulle competenze dei comitati di CM, individuate senza «limitazioni troppo rigide», contribuisce ad enfatizzare. Soprattutto per quel che concerne la complessa relazione con la Commissione interna, in Bassetti resa problematica dal fatto che la Cgil (ben radicata presso l’impresa, con più del quaranta per cento dei voti e l’attribuzione di tre seggi nelle Commissioni interne degli stabilimenti di Rescaldina e Vimercate) era parte della seconda ma non della prima. Da ciò derivando anche disfunzioni per la direzione aziendale, «costretta a riesaminare lo stesso problema in due sedi» (p. 100).
Verrà deciso allora di abbandonare progressivamente l’«ostracismo» nei confronti della Cgil, fino a coinvolgere direttamente la Commissione interna, nel 1965, nelle riunioni dei comitati di CM. D’altra parte, osserva Romagnoli, «il comitato di CM non poteva, e non può, essere il veicolo della tendenza, emersa nella storia sindacale dell’ultimo decennio, all’esautoramento della commissione interna, perché la sua mancanza di rappresentatività relativamente al personale gli toglie la capacità di porsi come valido interlocutore della direzione» (p. 101).
4. Segue: le relazioni sindacali ai tempi della «consultazione mista».
Successivamente alla introduzione della CM tuttavia come si è configurata la dinamica sindacale in Bassetti? Al tema, affrontato appunto all’interno della seconda parte, plausibil
{p. 11}mente Romagnoli conferiva maggiore importanza, posto che lo «“spaccato” dell’evoluzione dell’ideologia e della pratica sindacale in atto» lo «interessa assai più che … un modesto esperimento aziendale di partecipazione» (Ballestrero 2023).
Note
[2] Piero Bassetti apparteneva all’area cattolico sociale della Democrazia cristiana e già allora ricopriva importanti funzioni istituzionali: era infatti in quegli anni assessore al Comune di Milano; dal 1970 sarà il primo presidente della Regione Lombardia; dal 1976 al 1982 siederà invece in Parlamento.
[3] Nel testo Romagnoli riporta una dichiarazione di Piero Bassetti.