Note
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Mi riferisco, oltre che alla vastissima letteratura sui temi generali, alla meno numerosa dottrina giuridica che, dal dopoguerra in poi, è intervenuta sulle singole questioni relative al lavoro femminile e, soprattutto, sulla parità salariale e di trattamento, sul divieto di licenziamento per causa di matrimonio, sulla tutela delle lavoratrici madri. Per evitare ripetizioni, fornirò le indicazioni delle opere e degli autori tenuti presenti quando mi occuperò delle questioni suddette.
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Anche a questa letteratura farò riferimento più oltre.
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I dati sull’occupazione femminile si prestano ad essere interpretati in modi diversi; cfr. ad es. quanto ho detto (retro, cap. II, parr. 3,4) con il giudizio espresso da P. Meldini, Sposa e madre esemplare, cit., pp. 70 seg.
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Su cui v. specialmente M. Bessone, Commento all’art. 29 cost., in Commentario della costituzione, a cura di G. Branca, artt. 29-34, Bologna, 1976, e ivi riferimenti al dibattito, nell’assemblea costituente (pp. 45 seg.) e nella dottrina sulla condizione giuridica della donna, con particolare riguardo ai rapporti familiari. Si deve ricordare che, in sede di approvazione dell’art. 51 cost., l’assemblea votò il seguente ordine del giorno, presentato dalle deputate: «l’assemblea ritiene essere l’art. 51 garanzia per la tutela del diritto della donna di accedere anche alla magistratura secondo i requisiti di legge». L’o.d.g. si rese necessario poiché era stato respinto l’emendamento tendente a fare espressa menzione del diritto della donna ad accedere ad ogni ordine e grado della magistratura. Che tale diritto non fosse facilmente esercitabile per le donne lo dimostra il fatto che l’accesso alla magistratura è stato aperto alle donne solo con la legge 9 febbraio 1963, n. 66, che ha dato alle donne il diritto di accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, senza limiti di mansioni e di carriera. Cfr. A. Saracina, La donna nel pubblico impiego, in La donna e il diritto, cit., p. 160; v. anche M.G. Manfredini, Evoluzione della condizione giuridica della donna nel diritto pubblico, in L’emancipazione femminile in Italia, cit., pp. 186 seg.
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Si tratta delle 22 donne elette deputato (11 della sinistra) delle quali 4 (le comuniste Teresa Noce e Nilde Jotti, la socialista Lina Merlin, la democristiana Maria Federici) andarono a far parte della commissione dei 75, incaricata di redigere il progetto di costituzione.
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La vasta azione per la concessione del voto politico e amministrativo (attivo e passivo) alle donne venne promossa da un comitato unitario pro voto, costituitosi nell’Italia liberata per iniziativa dell’U.D.I: v. A. Tiso, I comunisti e la questione femminile, Roma, 1976, p. 67; G. Ascoli, L’U.D.I. tra emancipazione e liberazione (1943-1964), in «Problemi del socialismo», 1976, n. 4, p. 115.
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Nella lotta di liberazione, la partecipazione femminile era stata guidata dai gruppi di difesa della donna, prima riconosciuti dal C.N.L.A.I. come proprie organizzazioni, poi rappresentati, su richiesta del P.C.I., nel C.L.N. I gruppi di difesa delle donne si fusero, successivamente, coll’U.D.I. Narra le vicende dell’organizzazione delle donne nella resistenza C. Ravera, Breve storia del movimento femminile, cit., pp. 149 seg.
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G. Ascoli, op. cit., pp. 118 seg.
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Così anche A. De Perini, Alcune ipotesi sul rapporto tra le donne e le organizzazioni storiche del movimento operaio, in Aa. Vv., Dentro lo specchio. Lavoro domestico, riproduzione del ruolo e autonomia delle donne,cit., p. 255.
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Furono numerose però le donne che si inserirono nelle formazioni delle volontarie della libertà, cui spettavano compiti essenzialmente militari: cfr. C. Ravera, op. cit., pp. 157 seg.
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Quale sia stato il contributo delle donne alla resistenza lo si può dedurre anche dalle parole di L. Longo (prefazione a P. Togliatti, L’emancipazione femminile, Roma, 3a ed., 1973, p. 9): «A tutte va il nostro omaggio e la nostra riconoscenza. Va alle settantamila donne appartenenti ai gruppi di difesa delle donne, alle trentacinquemila partigiane combattenti, alle quattromilaseicento donne arrestate, torturate, condannate, alle seicentoventitre donne fucilate o cadute in combattimento, alle duemilasettecentocinquanta donne deportate nei campi di concentramento nazisti, alle cinquecentodieci donne commissarie di formazioni partigiane, alle sedici donne insignite della massima onorificenza militare, la medaglia d’oro, alle diciassette insignite della medaglia d’argento».
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Le testimonianze in C. Ravera, loc. ult. cit.
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A. Tiso, op. cit., p. 65. Per un approfondimento delle tesi sostenute dalla Tiso, v. la recensione di L. Gruppi, Femminismo e marxismo, in «L’Unità», 10 dicembre 1976.
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Con la reimmissione nella produzione, per far fronte alle necessità della produzione di guerra, le donne avevano ottenuto un primo avanzamento salariale; le medie retributive del lavoro femminile restavano però del 30-40% inferiori a quelle del lavoro maschile. Cfr. Trent’anni di lotte e di conquiste delle lavoratrici italiane, in «Quaderni di rassegna sindacale», 1975, n. 54-55, Donne, società, sindacato, pp. 3 seg.
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Con decreto 5 giugno 1944 vennero soppresse alcune delle norme fasciste che limitavano l’occupazione femminile nel settore pubblico.
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P. Togliatti, Discorso pronunciato alla la conferenza femminile del PCI., Roma, 2-5 giugno 1945, in P. Togliatti, L’emancipazione femminile,pp. 41 seg. In questo famoso discorso è disegnata quella che sarebbe stata (o avrebbe dovuto essere) la linea del partito sulla questione femminile. Per i giudizi di parte femminista rinvio ad A. De Perini, op. cit.
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Avendo attribuito al voto femminile la responsabilità dell’esito elettorale del 18 aprile 1948, alcuni compagni si erano chiesti se fosse stato giusto l’impegno del P.C.I. e del suo segretario per la concessione del voto politico alle donne. Lo ricorda Togliatti (Discorso pronunciato alla riunione delle attiviste di Roma, 13 maggio 1953, in P. Togliatti, L’emancipazione femminile, cit., pp. 73 seg.), aggiungendo: «non si può considerare l’avvento alla vita politica di più della metà della popolazione di uno stato come problema elettorale. No, questo è un problema di progresso della democrazia in generale, di progresso dell’umanità».
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Cfr. W. Tobagi, La fondazione della politica salariale della C.G.I.L.., in Annali della fondazione Feltrinelli. Problemi del movimento sindacale in Italia, 1943-73, Milano, 1976, p. 418. Il richiamo alla parità di lavoro e di rendimento doveva conservarsi, nella contrattazione collettiva, a lungo (fin oltre l’accordo sulla parità salariale); il consenso dei sindacati ad una classificazione del lavoro femminile, basata sul presupposto del minor rendimento qualitativo e quantitativo, doveva inoltre aprire le strada ad interpretazioni restrittive del principio di parità sancito dall’art. 37 cost.; infra, cap. IV, parr. 1, 2.
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All’incirca, la differenza era del 30% per la paga base, e del 13% per l’indennità di contingenza: cfr. Treni’anni di lotte, cit.
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Cit. da N. Spano e F. Camarlinghi, La questione femminile nella politica del P.C.I., Roma, 1972, p. 142.
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V. ad es. il patriarcale discorso rivolto da Parri alle donne riunite per il 1° congresso dell’U.D.I.: su cui v. anche le considerazioni di G. Ascoli, op. cit., p. 119.
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Credo vi fossero molte ragioni per questa scelta, per quanto restrittiva; piuttosto che stupirsi o scandalizzarsi (come mostra di fare B. M. Frabotta, Femminismo edotta di classe in Italia, in Dentro lo specchio, cit., pp. 218 seg.), mi pare opportuno riflettere e formulare giudizi non sommari.
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Intorno ai temi sottintesi da questa espressione, usata da M. Dalla Costa. Potere femminile e sovversione sociale, Padova-Venezia, 1972; a proposito del lavoro domestico, v. ora, per alcune interessanti considerazioni, A. Del Re, Struttura capitalistica del lavoro legato alla riproduzione,in L. Chistè, A. Del Re, E. Forti, Oltre il lavoro domestico. Il lavoro delle donne tra produzione e riproduzione, Milano, 1979, pp. 9 seg.
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P. Togliatti, Discorso alla 1a Conferenza femminile del P.C.I., cit., in P. Togliatti, L’emancipazione femminile, cit., p. 39.
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«Non vedo perché nel trattare e risolvere le questioni della donna, della famiglia, dell’infanzia e così via, nell’affrontare con spirito di solidarietà nazionale e sociale le nostre gravi difficoltà, non possa esservi una collaborazione proprio con le donne che hanno sentimenti religiosi. I sentimenti religiosi delle donne [...] possono essere di aiuto per comprendere meglio e meglio diffondere quello spirito di giustizia che le donne comuniste vogliono far trionfare nella vita politica del nostro paese»; P. Togliatti, L’emancipazione femminile, cit., p. 40
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Cit. da G. Ascoli, L’U.D.I. tra emancipazione e liberazione, cit., p. 118.
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Su cui v. l’ampia ricostruzione di A. Camparini, Questione femminile e terza internazionale, cit., pp. 125 seg.
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A. De Perini, Alcune ipotesi sul rapporto tra le donne e le organizzazioni storiche del movimento operaio, cit., p. 267
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V. il dibattito in assemblea riportato in Atti dell’assemblea costituente, seduta 10 maggio 1947, pp. 3813 seg.
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Sulla parità di rendimento si svilupperà un intenso dibattito fra i giuristi, di cui riferirò più oltre: infra, cap. IV, par. 2.
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Cfr. Atti, cit., p. 3819.
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V. specialmente l’intervento di Lina Merlin, in Atti, cit., p. 3816, ove è motivala la richiesta della sinistra di sopprimere l’aggettivo «essenziale», e la risposta di Aldo Moro (p. 3819): «voteremo contro la soppressione della parola ‘essenziale’. A noi sembra importante che nell’atto, nel quale si garantiscono alla donna idonee condizioni di lavoro, si ricordi la funzione familiare e materna che essa assolve, e che è ad essa connaturata».
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Questi ed altri stralci del dibattito all’assemblea costituente si possono leggere in M. Natoli, Dall’incapacità giuridica al nuovo diritto di famiglia, in La donna e il diritto, cit., p. 50; un resoconto anche in T. Treu, Lavoro femminile e uguaglianza, Bari, 1977, pp. 34 seg.
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La direttiva dell’art. 37 cost. (parità di trattamento) è ribadita, con formule meno ampie, nella convenzione n. 100 dell’O.I.L., ratificata dall’Italia con legge 22 maggio 1956, n. 741, e dell’art. 119 del trattato istitutivo della C.E.E. Sulla formula «parità di retribuzione per uno stesso lavoro» e sulle interpretazioni che ne hanno dato gli stati membri della comunità, v. I. Pisoni Cerlesi, La valutazione del lavoro femminile nei paesi del mercato comune europeo, in Società Umanitaria, La parità di retribuzione nel mercato comune europeo, Firenze, 1964, pp. 101 seg.: L. Levi Sandri, L’azione della comunità per l’applicazione dell’art. 119 del trattato di Roma, ivi, pp. 31 seg. La C.E.E. è tornata più di recente sulla questione: con la risoluzione del 30 dicembre 1961 è stata fornita una nuova interpretazione della norma, che ha chiarito come l’art. 119 abbia per destinatari gli stati membri (e non direttamente i privati), i quali debbono impegnarsi ad eliminare le discriminazioni salariali (ad es. negando l’estensione erga omnes ai contratti collettivi che contrastino col principio di parità). Con la direttiva del consiglio 75/117 del 10 febbraio 1975, la comunità si è impegnata a realizzare la parità di trattamento (non solo salariale) fra lavoratori e lavoratrici; sui contenuti della direttiva v. M. Eliantonio, La direttiva C.E.E. sulla parità di retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile, in «Rivista giuridica del lavoro». Quaderno n. 1, luglio 1977, Questione femminile e legislazione sociale, pp. 70 seg. Sulla convenzione n. 100 dell’O.I.L. (che prevede il diritto della lavoratrice alla parità salariale per «lavoro di valore uguale»), v. U. Natoli, Sulla rilevanza della convenzione concernente l’uguaglianza di retribuzione tra la manodopera maschile e la manodopera femminile, in «Rivista giuridica del lavoro», 1957, I, pp. 177 seg.; A. Becca, Sulla rilevanza delle convenzioni internazionali del lavoro nell’ordinamento interno,in «Democrazia e diritto », 1961, pp. 161 seg.; G. Cottrau, La tutela della lavoratrice, Torino, 1971, pp. 131 seg. Nel 1958 (convenzione n. 111, ratificata con legge 6 febbraio 1963, n. 93) l’O.I.L. ha impegnato gli stati membri ad una politica nazionale volta ad eliminare ogni forma di discriminazione anche sessuale negli impieghi e nelle professioni. Per riferimenti v. C. Assunti, La disciplina del lavoro femminile, in «Rivista giuridica del lavoro», 1977, I, p. 24.
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Facente capo al pensiero di Marx e Engels, ripreso da Lenin nei discorsi e negli scritti fra il 1919 e il 1921 (Lenin, L’emancipazione della donna, a cura di E. Santarelli, Roma, 1971), e ancora rielaborato da Clara Zetkin, nei documenti della III internazionale: su cui v. A. Camparini, op. cit.
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Tutta la dottrina che, di recente, è tornata ad occuparsi della disciplina giuridica del lavoro femminile premette ad ogni discorso ricostruttivo una lettura critica dell’art. 37 cost. Un panorama di opinioni in: La disciplina giuridica del lavoro femminile, Atti delle giornate di studio di Abano Terme, 16-17 aprile 1977, Milano, 1978.
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Questa è l’opinione di T. Treu, Lavoro femminile e uguaglianza, cit., p. 36. I problemi della compatibilità lavoro-famiglia hanno interessato tutta la dottrina che si è occupata del lavoro femminile; oggi nessuno, ovviamente, esclude tale compatibilità; ma sono in molti a pensare che il lavoro, per le donne, abbia valore secondario rispetto alle cure della famiglia e che alle esigenze della famiglia debba essere adeguato. Di qui il favore con cui è vista la soluzione del part-time (su cui v. le recenti riflessioni di L. Frey, in L. Frey, R. Livraghi, F. Olivares, Nuovi sviluppi delle ricerche sul lavoro femminile, Milano, 1978, pp. 49 seg.), che consentirebbe appunto alle donne di svolgere un lavoro, e di integrare il bilancio della famiglia, a disposizione della quale resterebbe ancora la maggior parte del tempo e delle energie delle donne (così ad es. M. Persiani, La disciplina del lavoro femminile, in «Giurisprudenza italiana», 1968, IV, c. 103). Le posizioni sul problema della compatibilità fra lavoro extra domestico e funzioni familiari della donna erano assai meno illuminate nel passato; basta pensare alla discussione di cui fu oggetto l’ipotesi che, per stipulare validamente un contratto di lavoro, la donna coniugata dovesse avere il consenso del marito. Per restituire il clima del dibattito si può ricordare che, a sostegno della tesi della piena compatibilità tra lavoro e doveri familiari, ad es., L. Riva Sanseverino, Casi «clinici» in materia di lavoro femminile, in «Rivista giuridica del lavoro», 1958, I, pp. 313 seg., citava la sentenza dell’App. Milano, 20 luglio 1954, in realtà assai ambigua. La corte milanese aveva infatti sostenuto che vi sono circostanze in cui la moglie può lavorare contro la volontà del marito: se, ad es., la retribuzione della moglie sia necessaria al mantenimento della famiglia, il divieto posto dal marito può essere causa di separazione (per colpa del marito). Risulta chiaro che, per i giudici di Milano, era il marito a decidere sul diritto al lavoro della moglie, e che la regola subiva un’eccezione solo quando superiori interessi (dei figli) imponessero, o rendessero opportuno, il lavoro fuori casa della moglie. La discussione sul consenso del marito non si è ancora spenta; sente la necessità di tornarci G. Ghezzi, Ordinamento della famiglia. impresa familiare e prestazione di lavoro, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1976, pp. 1372-73.
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Il raccordo tra l’art. 37, 1° comma e l’art. 3, 1° comma, cost., è sottolinealo da molti autori; fra gli altri, v. G. Pasetti, Parità di trattamento e autonomia privata, Padova, 1970, pp. 183 seg.; D. Morgante, La parità di lavoro e gli strumenti attuativi della parità salariale, in «Rivista giuridica del lavoro», 1971,1, pp. 49 seg.; G. Cottrau, op. cit., pp. 37 seg., e ivi altri riferimenti bibliografici. Riferimenti bibliografici completi ed un’ampia rassegna della giurisprudenza nel vol. La tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, a cura di M. Maffei e A. Vessia, vol. 9° de Il diritto del lavoro nell’elaborazione giurisprudenziale, ricerca diretta da D. Napoletano, Novara, 1972, pp. 7 seg., 161, 347 seg.
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Tornerò sul problema quando esaminerò le nuove leggi sul lavoro femminile, e particolarmente la L. n. 903/1977, che al principio di parità contenuto nell’art. 37 cost. più direttamente si ispira