Note
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Merita rileggere l’incipit della prima rubrica di G. Giugni, a proposito delle pubblicazioni collegate alle «vicende della vita accademica», con «la riapertura dei concorsi a cattedra» (Giugni 1980). Per suffragare il giudizio espresso nel testo è sufficiente guardare alle altre opere presentate in quella rassegna.
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Non si può neppure ignorare il tono chiaramente polemico di altre affermazioni contenute nelle righe seguenti, che esprimono altre ragioni che l’hanno indotta a scrivere quel libro: «la qualità [evidentemente non apprezzata] del dibattito sviluppatosi attorno alla legge n. 903» così come «la provocazioni implicita nell’accaparramento, da parte di maschi autorevoli, del tema del lavoro femminile» – e il pensiero va alle opere di Tiziano Treu, al quale pure la legherà una solida amicizia, e in particolare a Treu 1979.
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In quel volume peraltro compare uno dei tanti saggi, «storici», anche recenti, della nostra autrice (Ballestrero 2016).
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Bastino qui, quali esempi, la monografia di G. Cottrau (Cottrau 1971) e l’opera, che pur tentava di coniugare diritto e storia, di Schwarzenberg (Schwarzenberg 1982) .
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E una sola di accademici giuslavoristi (Romagnoli-Treu 1977), anch’essa non certo un’opera tradizionale. Sul lavoro femminile compariva il lavoro di un’economista, Padoa Schioppa F. 1977.
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Diverso è il caso della successiva breve opera che solo nel titolo appare come «il seguito» della prima, con l’espressione «Parità e oltre» (Ballestrero 1985). In quel caso è la stessa autrice che, nella Premessa, scrive «questo libro è dedicato alle donne», perché «il maggior numero di donne che lavorano o vogliono lavorare sappia di più e rifletta meglio anche sulla propria condizione giuridica»; pur nella sua apparente semplicità, l’agile libretto non rinuncia alla tecnica giuridica, alla presentazione delle argomentazioni giuridiche utilizzate dai giudici nella prima applicazione della legge n. 903/1977, all’analisi critica, anche spietata, della funzione effettivamente esercitata dall’autonomia collettiva. E Vittorio Foa, nella breve Introduzione, si muove sullo stesso piano, in fondo, quando accetta la critica che l’autrice rivolge, ora come nel 1979, all’azione del sindacato e al contenuto della contrattazione collettiva.
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Esemplare un libricino coevo che ricostruisce, in chiave marxiana, le lotte «al femminile» per il lavoro (Chisté, Del Re, Forti 1979).
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Traspare chiaramente la lezione che i giuslavoristi, o almeno i migliori tra loro, avevano volenti o nolenti appreso da Tarello 1967. Recentemente, ricordando Ballestrero 1988, scriveva di come quel «libro, che tutti dicevano acuto e brillante, ma che avevano accolto non senza risentimenti, fosse diventato in breve tempo un «classico», o meglio una citazione doverosa negli studi di diritto sindacale» (Ballestrero 2021).
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Il frammento è tratto dal terzo capoverso del Capitolo sesto, dedicato appunto alla legge n. 903, la parte del volume più segnata dall’attualità e dunque più soggetta a letture polemiche. La nota 7 di quel capitolo descrive con sarcasmo la generale disapprovazione che accolse la relazione che presentava la prima parte dell’attuale Capitolo sesto, considerata «distruttiva» e comunque soppressa nella pubblicazione degli atti di quel convegno (organizzato dall’Assessorato ai problemi del lavoro femminile del Comune di Bologna). Ineguagliabile la chiosa dell’autrice: «credo lo chiamino centralismo democratico».
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Molti di quei lavori furono pubblicati, in quel periodo, nei Quaderni di Economia del lavoro, editi da Franco Angeli. Ne segnaliamo tre emblematici: Frey, Livraghi, Mottura, Salvati 1976; Frey, Livraghi, Olivares 1978; Ballestrero, Frey, Livraghi, Mariani (1983 (dove compare anche Ballestrero 1983 dedicato alla rilettura della legge n. 903/1077 e all’analisi critica della sua prima applicazione).
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La stessa autrice richiama, nelle note alla Prefazione, alcuni suoi lavori degli anni immediatamente precedenti la pubblicazione della monografia (Ballestrero 1976; Ballestrero 1977; Ballestrero 1978; Ballestrero, Levrero 1979: quest’ultimo è citato anche da Giugni 1980).
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Il pensiero femminista, in particolare, si è arricchito, frammentato, complicato, ma allo stesso tempo, secondo chi lo studia (Restaino 2022, p. 221 ss.), ha ormai assunto il rango di pensiero filosofico.
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Come è stato osservato (Stolzi 2019, p. 254), «quello del lavoro è un territorio che può, potenzialmente, coinvolgere l’intero genere femminile, candidandosi a diventare il luogo di un’identità diffusa, quotidiana, a differenza di altri ambiti, come quello dei diritti di elettorato, che, pur rilevantissimi, non sembrano muniti di tale caratteristica».
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Cfr. sulla frantumazione e sui tentativi di ricomposizione Re (2019), p. 14 ss. ove una efficace esposizione critica della contrapposizione individuata dalle «femministe del 99 per cento» (Arruzza, Bhattacharya, Fraser 2019) tra «femminismo liberale» e «femminismo anticapitalista».
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La genitorialità, non a caso, è un soggetto su cui si impegna la dottrina giuslavoristica contemporanea: Vallauri 2020; Militello 2020.
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Per una ricostruzione complessiva dei complessi e intrecciati dibattiti sulla questione, molto utile è la lettura, nel volume Le teorie critiche del diritto (2017), dei saggi di Re (2017); Giolo (2017); Mastromartino (2017); Marella (2017).
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Invitiamo il lettore curioso a seguire la pubblicazione delle riflessioni a più voci su sesso, genere, discriminazione, avviate a partire dal fascicolo n. 3/2022 della rivista Lavoro e diritto (segnalando in particolare, sul «non binarismo» e sul «neutro» nel recente diritto antidiscriminatorio, gli interventi presentati nel fascicolo 2/2022).
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Si v. in particolare, le esponenti del «femminismo neoliberale», a cui viene addebitata una «promozione in termini narcisistici dell’«individuo», il quale è indotto a considerare il proprio corpo e la propria sessualità come parte del proprio «capitale umano»», in un contesto complessivo in cui «i diritti sono considerati come assets del portfolio personale» (Re 2019, p. 32).