Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c10
Si deve ai risultati del Trattato di pace di Parigi se nella Repubblica di Weimar, come altrove del resto, si avviò un rinnovato confronto sui modelli in tema di ordinamento europeo. La debolezza del sistema europeo di Versailles, che cominciò a palesarsi già non molto tempo dopo la fine della guerra, le mai sopite tensioni e i problemi ancora irrisolti favorirono lo sviluppo e la diffusione di numerosi modelli alternativi di ordinamento europeo. Nel caso tedesco questo sviluppo venne incentivato dalla ricerca di ciò che poteva facilitare la «rinascita» del Paese e il processo di revisione di «Versailles». I tedeschi, tuttavia, non furono incentivati a confrontarsi con le idee in tema di Europa solo dall’assetto che il sistema europeo assunse dopo il 1919 e dai molti problemi politici sul tappeto, ma anche dal concreto esempio costituito da una idea dell’Europa mediaticamente rilevante con la quale nel corso degli anni Venti dovette incessantemente confrontarsi la maggior parte delle altre concezioni sullo stesso tema. Si intende qui l’idea della «Paneuropa» del conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, che nel 1924 mise per la prima volta per iscritto il suo pensiero in materia di cooperazione europea. Sulla base di una classica argomentazione geopolitica, il conte Kalergi partiva dal presupposto che in futuro avrebbero dominato il mondo soprattutto i «grandi spazi», mentre l’Europa, che a causa della guerra aveva perso la sua posizione di preminenza su scala mondiale, doveva dare vita ad una «alleanza di scopo politico-economica». Da questa alleanza, che avrebbe anche contribuito a preservare la pace in Europa e nel mondo, si sarebbero gradualmente sviluppate una federazione di Stati – gli «Stati uniti d’Europa» (con l’esclusione della Russia e dell’Inghilterra) – e una «nazione europea».
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Fin dall’inizio il conte Kalergi non si limitò – nonostante una attività pubblicistica molto intensa – ad assumere una posizione meramente teorica. Egli, infatti, era convinto di dover trasferire la sua idea sul terreno della politica e di dover fare il possibile per tradurla in atti concreti; per questo fondò l’Unione Paneuropa. Passata alla storia come prima organizzazione europeistica, l’Unione avrebbe dovuto, grazie a molteplici iniziative ad hoc, da un lato raggiungere possibilmente vasti strati di popolazione e dall’altro convincere esponenti del mondo della politica, dell’economia e dei media che solo la cooperazione reciproca tra gli Stati europei avrebbe potuto assicurare al continente una lunga era di pace e prosperità. Nell’attività della sua Unione paneuropea ma anche nell’azione parallela che egli conduceva a livello pubblicistico e sociale, nella sua capacità di servirsi dei mezzi di comunicazione di massa e nella rappresentazione che dava di se stesso come europeo cosmopolita per eccellenza si trova una forma di attività politica in favore dell’intesa europea per l’epoca del tutto nuova. Nella Germania scossa dalla crisi degli anni Venti «Paneuropa» rappresentò per molti un modello attraente e si dimostrò in grado – questo il suo grande vantaggio – di raggiungere gruppi politicamente e socialmente assai distanti. Un successo che il progetto poté ottenere anche grazie alla indeterminatezza dei suoi contenuti. Nella formulazione dei suoi scopi politici Kalergi rimase sempre apertamente sul vago, su posizioni forse troppo «visionarie»; e quando doveva fare i conti con le «miserie» della politica quotidiana non si peritava di adattare senza riserve sul piano dei contenuti la sua idea di «Paneuropa» ogni volta che intravedeva una possibilità di ottenere sostegno politico (soprattutto quando c’erano di mezzo i «grossi calibri» della politica). Alla lunga questa tendenza a cercare l’appoggio dei detentori del potere politico finì per attirare su Kalergi molte critiche. Ai suoi difetti caratteriali (era notoriamente un egomaniaco), che tra l’altro non tardarono a metterlo seriamente in conflitto con le diverse sezioni nazionali dell’Unione paneuropea, si aggiunse anche un altro problema: a causa della sua origine e formazione aristocratiche (in Austria) e in quanto figlio di una giapponese a Kalergi faceva difetto, con riguardo alle numerose problematiche politiche del suo {p. 227}tempo, la prospettiva nazionale. Il che lo pose di fronte ad un serio problema, dal momento che nei diversi Paesi europei le sue proposte apparentemente obiettive venivano interpretate come di parte e soprattutto formulate nell’interesse di una ben precisa nazione europea.
Considerate le discussioni pubbliche su «Paneuropa» e la prominente posizione del conte Coudenhove-Kalergi, non c’è da meravigliarsi se nel Reich tedesco si svilupparono e si organizzarono posizioni contrarie apparentemente più inclini ad agire nell’interesse della Germania: posizioni che si svilupparono in differenti contesti politici e intellettuali dando vita a diversi gruppi e organizzazioni, di cui in questa sede si può solo fornire una selezione indicativa. Meritano di essere qui ricordate quelle iniziative fortemente elitarie che attraverso contatti personali e incontri – soprattutto tra tedeschi e francesi – miravano a rafforzare la reciproca comprensione e quindi a facilitare l’avvicinamento tra i diversi Paesi. Fondato dal pubblicista francese Pierre Viénot, il «Comitato di studi franco-tedesco», che disponeva di proprie sedi a Parigi e Berlino, può essere ricordato come la più importante struttura organizzativa al servizio di queste iniziative, il cui scopo consisteva non da ultimo nell’influenzare positivamente le rispettive opinioni pubbliche e contribuire in tal modo ad una migliore intesa reciproca. Ma alle spalle di queste iniziative c’erano anche esponenti del mondo industriale tedesco, francese e lussemburghese.
In questi ambienti maturò l’idea di una soluzione europea al grave problema dei possibili conflitti economici risalente al periodo tra le due guerre. In questo gruppo, incarnato non da ultimo nel «comitato Mayrisch» dell’industriale dell’acciaio lussemburghese Émile Mayrisch, non sono facilmente riconoscibili contenuti concreti. Al centro c’erano interessi di natura economica, come ad esempio le questioni riguardanti la creazione di cartelli sullo sfondo degli sforzi per dare vita a una comunità dell’acciaio nell’Europa occidentale, ma anche accordi di mercato di carattere più generale. Si trattava soprattutto di coltivare «relazioni», in altre parole di allacciare e successivamente stabilizzare contatti in una ristretta {p. 228}cerchia, spesso privata. Un modus operandi in cui si riflette una chiara presa di distanza dalla «macchina propagandistica» del conte Kalergi. Ai membri di questo gruppo interessava molto di più rafforzare l’intesa a livello europeo e quella franco-tedesca in particolare tramite rapporti personali, onde poter rafforzare l’intesa reciproca e in tal modo anche la disponibilità a cooperare a fronte di interessi economici che erano sostanzialmente simili. Decisamente diverse da quello «paneuropeo» erano anche altre concezioni di Europa, tra cui meritano un cenno quelle di ispirazione confessionale, in particolare cattolica. I loro sostenitori criticavano il modello «paneuropeo» come privo di senso e sostenevano per contro, sotto il topos dell’«Abendland» (Occidente), una propria concezione dell’Europa. Quanti si riconoscevano in questa posizione, radicata soprattutto in Renania, formarono circoli per lo più elitario-intellettuali raccolti intorno a riviste come «Abendland», fondata nel 1925 dallo studioso di romanistica Hermann Platz. Spesso caratterizzato da una forte impronta teologica, questo tipo di approccio guardava soprattutto al passato: con il risultato di evocare come modello di collaborazione europea un’immagine idealizzata del medioevo, vale a dire di un’epoca storica in cui la rigorosa osservanza dei dettami della fede cristiana aveva caratterizzato la politica e la società europee; e sarebbe stata proprio la dissoluzione di questo ordine «voluto da Dio» per effetto della Riforma, dell’Illuminismo e della formazione degli Stati nazionali ad allontanare sempre più il continente europeo dall’ideale di una società universale, strutturata in modo organico-sussidiario e basata sui precetti del cristianesimo. Per gli esponenti di questo indirizzo di pensiero era quindi assolutamente necessario agevolare il processo di ricristianizzazione dell’Europa, processo che andava collegato ad un modello politico-sociale fortemente gerarchico-autoritario. Gli intellettuali e i teologi vicini a questa visione dell’«Occidente» rifiutavano le idee di progresso e modernità, e quindi non deve sorprendere l’ostilità di molti di loro nei confronti della Repubblica di Weimar e del suo ordinamento statale e sociale. Nondimeno, soprattutto in Renania questi circoli contribuirono a rinsaldare – per lo meno in ambito cattolico – l’intesa franco-tedesca, anche se nel {p. 229}loro caso non si trattava tanto di piani di integrazione politica in vista di una Europa unita, quanto piuttosto di articoli di riviste il cui scopo era quello di suscitare «comprensione» per i vicini occidentali. In tal senso, l’idea di «Abendland» indicava una concezione di Europa imperniata non tanto su progetti politici quanto piuttosto su un progetto culturale di riavvicinamento basato sulla comune fede cristiano-cattolica.
Occorre ricordare, infine, la significativa influenza che in Germania esercitarono anche concezioni dell’Europa che, contrariamente a impostazioni puramente intellettuali come quella che faceva capo all’idea di «Abendland», avevano una dimensione più marcatamente politica. Al riguardo si può menzionare, per esempio, il Verband für europäische Verständigung guidato dal liberale Wilhelm Heile. Heile era una figura molto vicina a Friedrich Naumann, era membro della DDP e un convinto democratico, ma al centro del suo impegno europeo c’era soprattutto la prospettiva nazionale. Fortemente contrario al progetto «paneuropeo» di Kalergi (con il quale il contrasto era anche personale), Heile era convinto che solo un accordo a livello europeo e un appianamento dei contrasti con la Francia avrebbe potuto favorire l’accoglimento delle richieste tedesche in ordine alla revisione dei trattati postbellici – e naturalmente sulla base della libertà e della parità di diritti del popolo tedesco. Nella sua visione un accordo europeo alla fine sarebbe servito ad assicurare di nuovo alla Germania, dopo la disastrosa sconfitta patita in guerra, un posto di primo piano accanto ai vicini europei e a lungo andare avrebbe anche spianato la strada alle ambizioni di una «Grande Germania» e mitteleuropee del Reich tedesco.
Per queste ed altre iniziative del genere che erano state promosse negli anni della Repubblica di Weimar, il fallimento della politica delle intese e la crisi economica mondiale comportarono una decisiva battuta d’arresto, e non solo dal punto di vista organizzativo: vennero meno i finanziamenti, le riviste cessarono le pubblicazioni, le organizzazioni vennero sciolte. In realtà molto cambiò anche sul piano delle idee, con il risultato, tra l’altro, che dopo la morte di Stresemann in Germania la riflessione si spostò sul modo migliore di difendere e soddisfare {p. 230}gli interessi tedeschi in Europa. Si smise di guardare a Ovest e ci si concentrò principalmente sulla «Mitteleuropa». Venne così rilanciata con ancora più forza – sulla base di argomentazioni particolarmente aggressive molto utilizzate nel periodo prebellico ma anche nel corso della guerra mondiale – l’idea di costruire un ordine nello spazio mitteleuropeo in cui i tedeschi avrebbero potuto far valere la loro «naturale» superiorità nell’interesse dell’Europa. A partire dall’inizio degli anni Trenta, questo risveglio del «progetto mitteleuropeo» ricevette nuova linfa soprattutto in relazione alle prospettive di natura economica, in particolare grazie alle riflessioni sulla possibilità di dare vita ad una unione doganale mitteleuropea.
Sul piano discorsivo, in questo processo giocò un ruolo centrale un altro concetto di Europa: quello di «Reich», che divenne un concetto guida politico sia nella sua variante nazionale che in quella sovranazionale. Il «Reich», infatti, era qualcosa di diverso e di più rispetto allo Stato nazionale: era un concetto in sé universale. Sicché anche i sostenitori dell’idea di «Abendland» potevano riconoscersi in esso come fondamento dell’ordinamento europeo richiamandosi al primo Reich, quello medievale. Per altri il concetto era importante nella misura in cui consentiva di richiamarsi invece al secondo Reich – quello guglielmino – come struttura di potere in grado di assicurare l’ordine europeo; per altri, infine, il concetto di «Reich» non poteva che rinviare all’ordine mitteleuropeo nel segno della ormai decaduta monarchia asburgica. Sta di fatto che il «Reich» offrì proprio ai gruppi conservatori presenti all’interno della società tedesca un topos che, oltre a colmare la distanza tra nazione ed Europa, suggeriva anche la via da intraprendere in vista di una possibile rinascita della Germania. A prescindere dal grado di egemonia tedesca che i sostenitori dell’idea del «Reich» e della «Mitteleuropa» auspicavano con riguardo al contesto mitteleuropeo, ciò che comunque in quegli anni assunse un rilievo centrale fu la crescente tendenza ad accantonare l’idea di una intesa con l’Occidente e la Francia in particolare. Se verso la metà degli anni Venti sembrava che la rinascita tedesca potesse essere assicurata solo grazie ad una politica di intese che guardava a Ovest, dopo il 1930
{p. 231}vasti strati dell’opinione pubblica cambiarono posizione. Chi «dirige il suo sguardo a Ovest piuttosto che a Est, ebbene costui non vede la strada che conduce al futuro», scrisse non a caso già nel 1929 Wilhelm Gürge, un sostenitore della visione mitteleuropea propugnata da Friedrich Naumann [3]
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Note
[3] W. Gürge, Paneuropa oder Mitteleuropa, Berlin, Staar, 1929, p. 71.