Bruno Manghi
Declinare crescendo
DOI: 10.1401/9788815413505/p3

Prefazione

Dall’interno del sindacato e della cisl

Quando si comincia a vedere nel proprio mondo la traccia di un declino, viene qualche volta in mente che lo scoramento o il gusto polemico ci stiano inducendo in errore, quasi si traesse soddisfazione da una critica distruttiva.
Desidero invece che queste note siano lette come appartenenti al sindacato e che, al di là della loro plausibilità, sappiamo tradire il legame profondo e personale con questa esperienza collettiva.
Mi è accaduto di vivere abbastanza a lungo e in una condizione privilegiata (i metalmeccanici a Milano) la crescita del sindacato a partire dal ’62-’63. Ci sono stati momenti in cui la crescita prendeva la mano, andava ben oltre qualunque progetto razionale.
Le difficoltà dell’oggi si esprimono anzitutto attraverso il raffreddamento delle speranze, mettono in discussione l’identificazione collettiva e l’intensa solidarietà che hanno segnato la vita di molti.
Per inclinazione tendo a pensare che è piuttosto futile affannarsi nell’invenzione di strategie esterne, quando non sottoponiamo a riflessione il nostro modo di lavorare, di ragionare e di organizzare. Infatti il raffreddamento delle speranze, anche se lascia intatto il messaggio ideologico di facciata e di occasione, genera un costume realistico e cinico, ereditato dal clima spirituale del sistema politico uf{p. 8}ficiale. È un costume a cui ci siamo adattati, ma che continua e ferire molti di noi, urtando l’immagine etica della nostra personalità e del nostro ruolo che ambiziosamente si è costituita nella adolescenza politica. Esso ferisce l’esperienza sindacale nel cuore e nella ragione. Nel cuore perché impoverisce le grandi capacità di dedizione che animano il sindacato, nella ragione perché ad essa sostituisce il senso comune, il torpore intellettuale delle frasi fatte e della rassegnazione.
Ho cercato di ripercorrere alcune tappe di questo insidioso declino: la cultura di massa sindacale, i tratti del mestiere, le insorgenze autoritarie, il peso determinante delle ideologie volgarizzate.
La riflessione mi ha indotto a un atteggiamento critico, non tanto verso le tradizionali aree burocratiche del sindacato (i sindacalisti di «gestione» sfortunatamente privi di occasioni di rinnovamento) quanto verso le contraddizioni di quelle definibili di avanguardia. La stessa flm mi è apparsa talvolta come un inganno, come un protagonista troppo dedito alla celebrazione dei titoli del passato. D’altra parte chi ambisce, per la sua collocazione oggettiva nello scontro di classe, a un ruolo di indicazione non può adagiarsi sul fascino della propria immagine.
I sentimenti di delusione e di insofferenza hanno anche una derivazione più remota: sono la storia di persone e di gruppi che hanno ritrovato nelle vicende della sinistra quegli elementi di ritualismo, dogmatismo e poi di cinismo praticone che avevano non senza fatica contrastato nel loro ambiente culturale di origine. E che non intendono sottoporsi acriticamente a un processo di «conversione» o di adesione conformistica. Non torneranno certamente indietro rispetto alle difficili rotture a cui la storia di una generazione li ha portati, ma resteranno soggetti {p. 9}difficili da mettere in riga, in qualsiasi nuovo esercito. Anzi, non sono fatti per gli eserciti.
L’ottica delle riflessioni è partigiana. Non posso astrarre dall’influenza anche interiore che ha avuto l’appartenenza alla fim e alla cisl, né sono in grado di negare le tracce profondissime della formazione cattolica, dall’oratorio alla giac all’Università, con tutta la ricchezza e le limitazioni conseguenti. Così le note risentono spesso di un atteggiamento sociologico, e anche qui, al di là della correttezza dell’applicazione, la parzialità è accettata polemicamente nei confronti di analisi sociali che si ispirano a una non meglio definita scienza «complessiva» o al primato della cosiddetta politica, nascondendo dietro una maschera oggettiva il volto di ideali, appartenenze e interessi che andrebbero serenamente dichiarati.
Tra le possibilità del sindacato c’è una svolta rispetto al suo uso istituzionale: essa è possibile ma non va affidata all’eventuale insorgere di movimenti, dipende anche dalle scelte delle organizzazioni.
Poiché le osservazioni critiche si prestano certamente a essere utilizzate in un’ottica ostile al sindacato, vorrei aggiungere un convincimento nella capacità del movimento sindacale di affrontare i dilemmi presenti. In particolare la fiducia nell’organizzazione all’interno della quale ho svolto e svolgo il «mestiere», la cisl. Essa mi sembra infatti consentire spazi di coraggio e di innovazione più marcati, malgrado i richiami al buon senso e alla rassegnazione che provengono da alcune sue componenti. Non c’è dubbio alcuno, infatti, intorno alla ricchezza e alla qualità dei militanti e di numerosi dirigenti della cgil. Ma qui una logica organizzativa e culturale assai corposa seleziona e premia attitudini centra{p. 10}listiche e acritiche. Nella cisl (e anche nell’esperienza recente della uil) il confronto aperto e l’atteggiamento più libertario, la stessa eterogeneità di appartenenza, ci rendono inclini alle verifiche e alla ricerca.
È in questa organizzazione quindi che si gioca la partita di una unità sindacale assai più salda e democratica dell’esperienza conformistica che abbiamo vissuto nel patto federativo. Un’organizzazione che possiamo criticare e nella quale ci si scontra talvolta nettamente, perché la consideriamo uno strumento importante, mai un fine in sé.
Se avesse senso dedicare scritti di questo tipo [1]
, mi piacerebbe dedicarli a delegati di cui ho in mente il nome, delegati la cui originalità personale e ideale non può essere riassunta nelle vecchie formule «compagno» o «amico», e che continuano a testimoniare la prospettiva dell’uguaglianza, oltre le mode e oltre i ravvedimenti realistici del potere sindacale.
Note
[1] Le note che compongono il libro sono state scritte in momenti diversi, e sono legate ad occasioni particolari della vita sindacale. Il cap. II è stato pubblicato su «Prospettive Sindacali», il cap. III su «Inchiesta».