Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/p1

Introduzione
di Elena dell’Agnese e Daniel Delatin Rodrigues

Notizie Autori
Elena dell’Agnese è professoressa ordinaria di Geografia presso l’Università di Milano-Bicocca. Dopo essere stata vicepresidente dell’International Geographical Union e della Società geografica italiana, è ora la presidente dell’Associazione delle geografe e dei geografi italiani. Al suo attivo ha oltre 130 pubblicazioni, fra monografie, volumi in collaborazione e articoli scientifici. Si è occupata di deprivazione degli spazi a domanda debole (spazi rurali, aree montane, piccole isole) sin dagli inizi della sua carriera.
Notizie Autori
Daniel Delatin Rodrigues – sociologo e assegnista di ricerca nel Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università degli studi Milano-Bicocca. Si occupa di cambiamento climatico attraverso i seguenti temi: sistemi agroalimentari, industria dei combustibili fossili, attivismo climatico e conflitti socioambientali.
Nonostante in Italia quasi il 70% dei comuni abbia meno di 5.000 abitanti, per una superficie pari al 50% del territorio nazionale, la questione delle aree a bassa densità di popolazione e a bassa domanda di servizi (ANCI, 2019) non ha suscitato, per lungo tempo, una grande attenzione nel nostro Paese. La politica, pur se sollecitata per anni da alcune proposte di legge (come quella lanciata da Ermete Realacci) [1]
, ha risposto in modo diretto solamente con la Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), promossa, nel 2013, dall’Agenzia per la coesione territoriale e da Fabrizio Barca, che allora occupava il ministero con lo stesso nome. Analogamente, le scienze geografiche, sociologiche o urbanistiche non hanno mai rivolto, in Italia, un interesse verso gli spazi rurali analogo a quello catalizzato dai fenomeni urbani.
Al contrario, nel contesto anglofono, forse a causa del clima politico esacerbato dai tagli nei servizi e dal continuo contrarsi della spesa pubblica, il tema della «deprivazione rurale», ossia di come la rarefazione residenziale e la bassa domanda che ne consegue costituiscano condizioni di svantaggio che penalizzano, nel confronto del godimento di servizi e opportunità, determinati ambiti territoriali, ha avuto grande risalto sin dalla fine degli anni Settanta del Novecento [Walker 1978; Shaw 1979; Moseley 1979; 1980]. È così divenuto un argomento di portata nazionale, tanto da suggerire la costruzione di un Rural Deprivation Index {p. 8}(RDI) [Burke e Jones 2019], da utilizzarsi nell’ambito della pianificazione di servizi e di assistenza sanitaria e sociale, pur nella consapevolezza che la deprivazione rurale si nasconde bene nelle pieghe della statistica [Cloke 2013].
La deprivazione in termini di accessibilità è una condizione connaturata a determinati ambiti spaziali, caratterizzati da un insediamento più sparso e da una maggiore «frizione» dello spazio (a causa di acclività, isolamento, insularità). Ne deriva, da un lato, che servizi e opportunità sono più rari e assai meno specializzati, dall’altro che sono molto più difficili da raggiungere per chi non possiede un mezzo di trasporto autonomo. La questione delle maggiori distanze relative che bisogna percorrere per raggiungere negozi, servizi e amici è il problema più vistoso delle aree extraurbane [Cullingford e Openshaw 1982] e rappresenta forse una delle discriminanti residuali all’interno del continuum urbano-rurale. L’intero quadro viene esacerbato dalla rarefazione di servizi pubblici e privati, cui l’intervento pianificato non sa o non vuole trovare rimedio, quando non ne è la causa diretta, tramite interventi di «razionalizzazione» dell’offerta, inevitabilmente destinati a colpire le aree a domanda più debole. Il maggior attrito della distanza che penalizza gli spazi rurali non agisce in forma indifferenziata nei confronti dell’intera popolazione. Anche se, nel contesto rurale, quasi tutti, anche coloro che fanno fatica a permetterselo, hanno un mezzo di trasporto proprio [Pucher e Renne 2005], esistono categorie di individui che, per ragioni di età, di salute o di denaro, restano vincolate al servizio offerto dal mezzo pubblico, oppure alla disponibilità di familiari, amici e conoscenti. Si tratta degli anziani e degli studenti (i transport poors), per i quali la diffusione dell’autovettura privata, contraendo la domanda relativa ai trasporti pubblici, ha rappresentato un netto peggioramento della qualità della vita [Moseley 1979]. L’aumentata mobilità di buona parte della popolazione rurale, inoltre, ha consentito la diffusione di centri commerciali, raggiungibili solo in automobile, dove è possibile approvvigionarsi di un ampio raggio di beni, a condizioni economiche vantaggiose. Ciò arreca una concorrenza talora insostenibile ai piccoli empori di villaggio che, per ragioni distributive, praticano {p. 9}prezzi più elevati [Guy 1991]. Anche le scuole e le poste, che pure sono servizi pubblici, soffrono di una progressiva contrazione, legata al calo demografico. Quando questi servizi sono costretti a chiudere, l’intero centro insediativo viene a perdere non solo servizi di prossimità, ma anche punti di incontro e di scambio sociale [Champion e Watkins 1991]. Proprio la coscienza che gli spazi poco densamente popolati richiedono misure specifiche per quanto riguarda l’erogazione di servizi e opportunità è così divenuto, nel contesto britannico, il punto centrale della geografia rurale applicata, che ha assunto l’individuazione dei problemi connessi alla deprivazione come la ragione ultima della propria pertinenza e specificità epistemologica [Cloke 1980; Pacione 1984].
Nell’ambito della ricerca italiana, la questione della deprivazione rurale, salvo rarissimi esempi [dell’Agnese 1988; 1998; Bagnoli 2005], è invece stata lungamente ignorata. La geografia delle aree a domanda debole, e dei piccoli comuni nello specifico, se presa in considerazione, è stata interpretata prevalentemente in termini demografici (di abbandono [Macchi Jánica e Palumbo 2019] o di ripresa [Dematteis 2011; Corrado, Dematteis e Di Gioia 2014; Pettenati 2020; Membretti et al. 2023]). Anche l’impianto di base della già citata SNAI mette in evidenza come finalità prioritaria delle politiche di coesione territoriale sia il contrasto nei confronti della «marginalizzazione e [de]i fenomeni di declino demografico propri delle aree interne del nostro Paese», senza però affrontare in modo specifico quali ne siano le cause.
Alla lettura «demografica», e come mezzo per contrastarla, si è spesso accompagnata una lettura «romantica», attraverso la lente della «tipicità», della «buona vita», dei valori tradizionali e paesistici del «borgo», nell’ambito di quello stereotipo che la stessa letteratura anglofona definisce come the rural idyll [Shucksmith 2018]. Alla «retorica del borgo» [dell’Agnese 2018] e del suo potenziale in termini di rilancio turistico si sono appoggiate anche azioni politiche come quelle promosse dal ministero della Cultura, prima designando il 2017 come «l’Anno dei Borghi» [2]
, poi indiriz{p. 10}zando gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza 2022 nella stessa direzione (Investimento 2.1, Attrattività dei Borghi) [3]
. Anche la cosiddetta «legge Realacci» (ossia la legge 6 ottobre 2017, n. 158) come finalità primaria (art. 1),
promuove e favorisce il sostenibile sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni [...] promuove l’equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni, e tutela e valorizza il loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico. La presente legge favorisce l’adozione di misure in favore dei residenti nei piccoli comuni e delle attività produttive ivi insediate, con particolare riferimento al sistema dei servizi essenziali, al fine di contrastarne lo spopolamento e di incentivare l’afflusso turistico
come se l’intera Italia sociourbana, marginale, o rurale che dir si voglia, fosse caratterizzata da borghi di grande pregio socioculturale e architettonico, da centri storici da riqualificare con alberghi diffusi (art. 4), da potenziali circuiti e itinerari turistico-culturali (art. 6), da prodotti agricoli a filiera corta (artt. 11 e 12), da paesaggi così attraenti da essere utilizzabili anche come location cinematografiche (art. 14) per il cui recupero si propone, come soluzione forte lo sviluppo della rete a banda ultralarga (art. 8).
Vero è che, per il basso livello di densità demografica e la limitata urbanizzazione, le «aree interne» e gli spazi rurali {p. 11}sono talora associati a un’elevata qualità ambientale. Per questo, una delle risposte avanzate, a livello strategico, per la loro rivalorizzazione territoriale, prevede incentivi mirati alla ripresa demografia tramite i nuovi residenti (i cosiddetti «neo-rurali») e nel contempo il rilancio turistico, attraverso la valorizzazione dei cosiddetti «borghi», ossia degli insediamenti tradizionali, spesso sommitali e caratterizzati dal persistere di un certo pregio paesaggistico, in quanto non interessati da pesanti trasformazioni insediative nel corso degli anni dell’industrializzazione. In questa direzione può essere letto anche l’intervento dell’architetto Stefano Boeri, a proposito dell’opportunità rappresentata dalla «costellazione di borghi» per il «ripensamento dei cicli di vita degli italiani», dopo l’emergenza sanitaria del Covid, grazie alla diffusione della banda larga e alla crescente abitudine al telelavoro. Il discorso è dominante, tanto che, anche chi, come Rossano Pazzagli, chiede di non chiamare «borghi», ma «paesi» [2020], i piccoli insediamenti da cui è punteggiata buona parte dell’Italia, parla comunque di «risorse diffuse, ricchezze e bellezze».
I piccoli insediamenti, tuttavia, non soffrono solo per essere stati svuotati demograficamente, nel corso di un processo ormai secolare (vedi l’inchiesta Lo spopolamento montano in Italia. Indagine geografico-economico-agraria promossa dall’INEA e pubblicata in otto volumi dal 1932 al 1938) [Bevilacqua 2012]. Sono caratterizzati anche da una crescente complessità territoriale, causata dal loro essere «marginali» rispetto ai «poli» di quella «società fossile», le cui condizioni quotidiane di riproduzione personale e collettiva dipendono dall’uso intensivo di combustibili non rinnovabili per servizi e prodotti [Hetherington 2019]. In questo senso, questi «poli» sono metabolicamente articolati ai luoghi in cui i loro beni vengono estratti, prodotti o scaricati, generando conseguenze socioecologiche dannose a livello locale ed extra-locale [Chakrabarty 2009; Mitchell 2011]. La marginalità, in alcuni casi, è un effetto della specializzazione funzionale di questi territori legata alle continue esigenze di approvvigionamento dei «poli».
Le aree a bassa densità di popolazione e domanda de
{p. 12}bole di servizi non sono sempre «isole di tradizione», spazi residuali separati, o addirittura contrapposti, al moderno sistema urbano; sono aree funzionali ai suoi meccanismi di produzione, riproduzione e consumo, non solo perché forniscono al centro, come tutte le periferie che si rispettino [Reynaud 1981], manodopera (e questo è chiaro a tutti) e risorse (e anche questo è chiaro, anche se meno chiaro è che queste risorse provengono spesso da attività agricole intensamente industrializzate, caratterizzate da un’elevata concentrazione capitalistica, che attraggono manodopera straniera, spesso sfruttandola con le regole del caporalato, e che spargono veleni nell’aria); sono funzionali ai centri anche perché ospitano ciò che i sistemi urbani non vogliono al proprio interno: allevamenti intensivi, macelli, impianti industriali dall’impatto talora devastante, impianti di essiccazione fanghi, discariche di rifiuti.
Note
[1] «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali nonché deleghe al governo per la riforma del sistema di governo delle medesime aree e per l’introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali».
[2] Come si legge sul sito del ministero: «È stato inaugurato ufficialmente questa mattina dal ministro Dario Franceschini, l’Anno dei Borghi, nell’ambito del convegno “La valorizzazione del patrimonio naturalistico, umano, culturale e artistico dei Borghi Italiani” tenutosi a Castel Sant’Angelo. In linea con il Piano Strategico del Turismo 2017-2022, la valorizzazione dei borghi punta a offrire un’esperienza turistica “slow”, più sostenibile e autentica, allo stesso tempo lontana e complementare rispetto a quella delle località universalmente note».
[3] Secondo Barbera [2021] si tratta di un piano «da cui scompaiono le reti fra comuni e gli abitanti a favore di interventi su comuni singoli (uno per regione!) con scopi di potenziamento del turismo, ovviamente lento e sostenibile». Difficile non condividere questo approccio critico, quando uno dei «borghi» selezionati è l’isola di Capraia, certamente magnifica in termini paesaggistici ma già abbondantemente apprezzata dal punto di vista turistico.