La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/p2
Introduzione
Abstract
Questo libro parla della lettura ad alta voce. Si tratta di una forma
particolare di lettura di storie, in cui qualcuno legge per qualcun altro, in cui la
storia si fa voce. La persona che anima un gruppo attraverso la lettura ad alta voce
condivisa aderisce a un’idea di inclusione e di crescita e all’idea che per tutte e
tutti sia possibile fare percorsi di acquisizione di maggior padronanza e controllo
sulla propria vita e sulla propria storia, di miglior conoscenza di sé stessi,
attraverso i benefici e i vantaggi che l’esposizione alla lettura comporta e che
farlo attraverso le storie sia bello e importante. In questo volume abbiamo raccolto
i contributi di ricercatrici e ricercatori che da tempo, con sguardi differenti,
lavorano attorno alla lettura e alla lettura ad alta voce e che hanno accettato, e
di questo siamo loro grati, di confrontarsi con il metodo e con le ricerche attorno
al metodo in modo non occasionale. Il loro sguardo, anche da prospettive
disciplinario di ricerca differenti, integra, unisce e completa il discorso sulla
lettura ad alta voce condivisa: anziché sintetizzarne il contributo crediamo che
valga l’invito alla loro lettura.
Questo libro non parla di lettura.
Non è una provocazione
filosofico-artistica come quella di Magritte, talmente geniale e interessante da convincere
Foucault a dedicargli un saggio, piuttosto è una precisazione. Qualche punto in comune con
ceci n’est pas une pipe, tuttavia, c’è.
Un oggetto autoevidente come una pipa
non ha bisogno di essere nominato, di una didascalia, per essere compreso e la provocazione
sta proprio nel nominarlo negando, però, al contempo ciò che ci appare evidente, giocando se
vogliamo, ma, forse, anche aprendo a un universo intero di altri significati. In qualche
senso la lettura ad alta voce si rapporta a ciò che normalmente intendiamo per «lettura»
allo stesso modo, per esempio: non è un’attività solitaria, non è un’attività silenziosa,
spesso non è nemmeno un’attività «ferma», non è un’attività per pochi.
Questo libro parla della lettura ad alta
voce. Si tratta di una forma particolare di lettura di storie, in cui qualcuno legge per
qualcun altro, in cui la storia si fa voce.
Il libro si riferisce, tuttavia, seppur
con sguardo plurale, a un particolare approccio alla lettura ad alta voce, a un metodo: la
lettura ad alta voce condivisa.
La precisazione consente di prendere
un’altra distanza da ciò che normalmente immaginiamo riguardo alla lettura: non è nemmeno
una forma particolare di promozione della lettura, è piuttosto un processo di
empowerment.
Questo metodo prevede che qualcuno si
assuma la responsabilità di un gruppo: una o un insegnante, un educatore, un’educatrice,
un’operatrice, un operatore, un formatore, una formatrice, qualcuno impegnato, con quel
gruppo, in una relazione di cura, educativa, di recupero, di assistenza, di potenziamento,
di sviluppo. Questa persona ¶{p. 10}inizia un percorso con il gruppo che le
è affidato, mettendosi a disposizione del gruppo e delle storie, prestando la propria voce e
il proprio corpo, proponendo storie al gruppo e per il gruppo, negoziando le scelte con il
gruppo stesso, facilitando il confronto, la discussione, l’ingresso nelle storie di tutti i
partecipanti. La lettura ad alta voce avviene quindi in un contesto di gruppo, con un
accento che poggia proprio sull’aspetto della condivisione, dello scambio, della
reciprocità, delle associazioni e delle negoziazioni che il gruppo consente.
La persona che anima un gruppo
attraverso la lettura ad alta voce condivisa aderisce a un’idea di inclusione e di crescita
e all’idea che per tutte e tutti sia possibile fare percorsi di acquisizione di maggior
padronanza e controllo sulla propria vita e sulla propria storia, di miglior conoscenza di
sé stessi, attraverso i benefici e i vantaggi che l’esposizione alla lettura comporta e che
farlo attraverso le storie sia bello e importante.
Accade che la persona che si apre a
questa pratica sia un lettore o una lettrice appassionato o appassionata, capita anche, più
spesso di quanto si pensi, che il suo percorso riprenda proprio in relazione al lavoro che
sta facendo come lettore e lettrice ad alta voce. Leggendo per gli altri si lavora anche su
sé stessi e percorsi che si erano fermati o che erano sopiti o rallentati, si muovono di
nuovo, si svegliano, riprendono forza e vigore.
Leggendo per un gruppo quella persona
assume, nei confronti di ciascuna e ciascun componente del gruppo medesimo, una disposizione
positiva, di curiosità e fiducia.
Assumere questa responsabilità
significa riporre molta fiducia anche nelle storie, nel loro potere, nella loro assoluta
varietà e ricchezza e avere attenzione che nel percorso che si costruirà con ciascun gruppo,
questa varietà e questa ricchezza, questa pluralità, sia adeguatamente rappresentata. Farsi
carico di questa particolare responsabilità significa essere capaci di entrare in relazione,
di conoscere meglio le persone con cui si lavora, perché le storie che proponiamo parlino ai
loro bisogni, interroghino o rispondano alle loro domande, intercettino
i loro prossimi compiti di sviluppo ¶{p. 11}o snodi o sfide esistenziali,
raccontino difficoltà e superamenti, scelte e seconde opportunità, differenti strategie e
repertori di azione e comportamento, punti di vista, valori, con un linguaggio accessibile
per loro, presentino personaggi in cui è possibile identificarsi, entrino in relazione con
la loro esperienza. I bisogni, i compiti e le sfide, non saranno le stesse per tutte e
tutti, occorre quindi essere capaci di allargare lo sguardo e le proposte.
La lettura ad alta voce condivisa
richiede una serrata frequentazione di letture e bibliografie specifiche, la conoscenza di
un metodo e di tecniche, una disposizione positiva, fiduciosa e accogliente nei confronti
delle persone con cui si lavora. Non è poco, ma è compensato dalla reciprocità del
coinvolgimento e dal vantaggio che porta a chi legge almeno gli stessi benefici di chi
ascolta.
Il metodo della lettura ad alta voce è
intrecciato, a doppio filo, all’attività di ricerca.
Il doppio filo si sostanzia nella
strutturazione del metodo e nelle prove di efficacia.
Il primo filo riguarda la genesi del
metodo. Per strutturare il metodo della lettura ad alta voce condivisa, nel tempo, a partire
dall’esperienza, ormai venticinquennale, dell’orientamento narrativo (dal quale la lettura
ad alta voce condivisa emerge come pratica con già una sua struttura) per poi proseguire
attraversando esperienze trasformative di lettura ad alta voce, con anziani, bambini,
ragazzi e adulti, ci si è posti in ascolto. La ricerca educativa interessata a definire e
formalizzare le pratiche in metodi ha la necessità di mettere in campo dispositivi di
ascolto di vario tipo: osservazione, interviste, focus
group, confronto con altre pratiche, gruppi di ascolto, azioni di
monitoraggio, costruzione di micro-comunità riflessive, raccolta di criticità, di successi e
di aneddoti, attraverso pratiche di documentazione narrativa. I professionisti, le persone
che leggono per gli altri, sono stati preziosi nel contribuire, offrendo il sapere che sta
nelle pieghe delle pratiche, a definire e strutturare il metodo (su tutti le educatrici, gli
educatori, le insegnanti e gli insegnanti), ma lo sguardo plurale e micro-pedagogico di più
ricercatrici e ricercatori e l’ascolto delle persone che ¶{p. 12}sono state
esposte alla lettura con questo metodo, persino dei piccoli, hanno contribuito in modo
strutturale a orientare la riflessione e a modificare lo sguardo e persino alcune
indicazioni operative.
Il secondo filo intreccia la ricerca
alla necessità, fortemente avvertita, di fondare un metodo sulle evidenze di efficacia e
definirne gli effetti. Un filo che intreccia questioni etiche ad afflati trasformativi. La
ricerca in questo senso si è orientata a raccogliere dati quantitativi e qualitativi, per le
differenti specificità che consentono di cogliere e per verificare concordanze e
coincidenze. I dati quantitativi raccolti sono di vario tipo, hanno un particolare interesse
le misure raccolte, attraverso strumenti standardizzati, specie quelli complessi (batterie
cognitive, batterie di «intelligenza», batterie di «sviluppo» a somministrazione
individuale), con disegni quasi sperimentali e misurazione, prima e dopo il
training, dei gruppi esposti alla lettura ad alta voce e di gruppi
non esposti per poter fare il confronto dei rispettivi incrementi. Queste misure, effettuate
con campioni molto grandi rispetto alla profondità di analisi, e con il contributo rilevante
dato da singoli strumenti specifici per alcune dimensioni, hanno consentito di disegnare un
quadro di effetti piuttosto preciso. Questa messe rilevante di dati ha permesso di
comprendere a fondo le conseguenze delle singole scelte metodologiche (in connessione con il
primo filo) e alcuni ri-orientamenti, ma soprattutto ha reso possibile definire guadagni su
dimensioni singole e benefici più complessivi che la lettura ad alta voce, con questo
particolare approccio, è in grado di facilitare, in che misura è in grado di farlo, se è in
grado di agire per tutti e tutte, indipendentemente dalle esperienze pregresse e dallo stato
di partenza, a quali condizioni. L’uso reiterato e con varie fasce di età, in vari contesti,
in situazioni differenti, consente di costruire un quadro solido.
L’altro sguardo è quello qualitativo:
l’ascolto della voce e del punto di vista di tutti i protagonisti in campo, con vari
strumenti e processi, ha permesso di verificare (cor)relazioni decisive con i dati
quantitativi per confermare le condizioni ¶{p. 13}alle quali la lettura ad
alta voce funziona più o meno e per potenziare gli esiti offerti dagli strumenti
standardizzati con la conferma che viene dal campo e dall’osservazione diretta. Se, per
esempio, gli incrementi medi di punteggio di alcuni gruppi classe, in una batteria di prove
di comprensione, uso di vocaboli e ragionamento con le parole, vengono confermati dalle
osservazioni dirette degli insegnanti, i due dati si rafforzano reciprocamente e la
consapevolezza di questo effetto da parte del gruppo diventa l’esponente che moltiplica
tutto. Lo stesso dato sulla comprensione, può, allo stesso tempo, convincere un altro
collega ad avviare il percorso con la lettura ad alta voce quotidiana, restituire
informazioni e tranquillizzare un gruppo di genitori dubbioso sull’efficace utilizzo del
tempo didattico.
Come cerniera tra i due fili occorre
richiamare il continuo dialogo con esperte ed esperti di lettura, con colleghe e colleghi
che fanno ricerca in questa area da differenti prospettive disciplinari
[1]
che ha fornito orizzonti e stampelle metodologiche in modo formalizzato o meno.
Per un lungo periodo le azioni, le
riflessioni e la ricerca sulle attività di lettura ad alta voce si sono concentrate sulla
fascia prescolare, riservando un’attenzione particolare, inoltre, alle pratiche familiari e
dei contesti di provenienza (e mostrando così chiaramente, seppur non deliberatamente, come
queste rischino di diventare una riproduzione se non un’amplificazione delle differenze in
origine) e, in misura minore, ai servizi educativi per la prima infanzia e alla scuola
dell’infanzia. Questa ricerca, nota da quasi cinquant’anni, ha rischiato di produrre alcuni
equivoci, ipotizzando, in assoluta carenza di dati nelle età successive, secondo una logica
on/off che solo l’esperienza di esposizione alla lettura nei primi
anni di vita, specie nel contesto familiare, potesse produrre
¶{p. 14}vantaggi sull’immediato e a lungo termine. Pur riconoscendo
l’importanza fondamentale di incoraggiare, motivare, rimuovere gli ostacoli affinché bambini
e bambine possano fare questo tipo di esperienza già dalla nascita, all’interno del proprio
contesto familiare è noto infatti come questo tipo di pratica, svolta con costanza e
consapevolezza, sia assolutamente minoritaria e come sia poco realistico pensare di
intervenire sui divari e le differenze a partire dai contesti di origine (che, pur senza
colpa alcuna, sono quelli che determinano dette differenze). Persino nei contesti familiari
più qualificati, inoltre, si tende a diminuire fortemente, sino a dismetterla, l’abitudine
di leggere a bambini e bambine quando si avviano a impadronirsi dei primi rudimenti della
lettura. La confusione che si fa a proposito dell’apprendimento della lettura integrato alla
comprensione è, da questo punto di vista, notevole.
Note
[1] Sono stati fondamentali per l’elaborazione del metodo, e occorre tributare loro un ringraziamento particolare, le colleghe e i colleghi ricercatrici e ricercatori a partire da Simone Giusti, poi Lucia Lumbelli, Roberta Cardarello e Michèle Petit. Più recentemente è stata importante la conoscenza del lavoro di Teresa Cremin. Tra le esperte e gli esperti un contributo fondamentale è stato dato da Martina Evangelista.