Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c1
Il
nome di quest’ultimo medicamento si rinviene in
un’opera di qualche anno precedente, i
Consulti medici (1738) di
Niccolò Cirillo, «Professor Primario di Medicina
nella Regia Università di Napoli», che prescriveva
la mistura come astringente contro «lo sputo di
sangue» e raccomandava di «amministra[rla] con
giudizio e da[rla] da tempo in tempo»
[179]
. La fama del medicinale si
protrar
¶{p. 69}rà sino alla fine
del Settecento. Ne dedicherà una voce il medico e
accademico italiano Giovanni Battista Borsieri de
Kanilfeld (1725-1785), nell’opera monumentale, in
cinque volumi, Institutionum medicinae
practicae, quas auditoribus suis
praelegebat (1781-1789). Qui, oltre a
meglio descrivere l’utilità del farmaco –
«comprime il fervore del sangue, e se qualche poco
di sangue coagulato aderisca nelle vescichette
polmonari, si crede dissolversi; si acquetano e si
rimuovono la tosse e gli spasmi» – l’autore ne
riporta la ricetta: «sei oncie di acqua di
piantaggine, mezza oncia di aceto distillato, una
mezza dramma di coralli rossi e di terra
sigillata, due grani di oppio, un’oncia di siroppo
di meconio, della quale suoleva darne di quando a
quando una cucchiajata»
[180]
. Dove si può notare l’impiego del
corallo rosso in polvere, che già il medico de
Iorio prescrisse a Carlo; nonché, al pari
dell’ordinario, il sostituto dottor Vegliante
indusse all’uso dell’acqua fresca e alla pratica
del salasso che, è il caso di riaffermarlo, a poco
avevano giovato in passato. Almeno su lungo
termine.
Lasciatasi alle spalle l’abitazione della
principessa, l’infermiere Carlo Porcelli si
precipitò presso la «spezieria del signore
Domenico Guarini vicina» dove, riferirà sempre il
medico Vegliante, «si servono anche i padri di
questa casa per l’uso de’ loro medicamenti»
[181]
. Di lì a qualche anno, lo speziale
sarà ricordato dal «dottor di medicina e filosofia
napolitano» Giuseppe Mosca, quando, a proposito di
uno «sciroppo febbrifugo» di propria invenzione,
annoterà: «si apparecchia qui in Napoli, e si
vende questo medicamento dal Signor Domenico
Guarini, speziale assai dotto nell’arte e ben due
volte stato degli Otto del Collegio, abitante alla Pietrasanta»
[182]
. Dove per «Otto del Collegio» sono da
¶{p. 70}intendersi gli «otto
speziali principali di Napoli» che, nel ruolo di
agenti del protomedico, «visitavano [le spezierie]
delle provincie, per esaminare i barbieri che
salassano e le levatrici, per dare loro le licenze
e per riscuotere le prestazioni»; «quando
trovavano medicine di cattiva qualità, o vietate,
o che avessero prodotti cattivi accidenti,
carceravano il reo, prendevano l’informazione e
gliela rimettevano» al loro principale;
«procedevano ancora contro coloro che eccedevano
le facoltà ricevute, o che facevano il medico o lo
speziale senza licenza»
[183]
.
Entrato nei locali del Guarini, caso o
provvidenza vollero che il sotto infermiere
incappasse in Orlando Sirignano «barbiero e
sagnatore» nativo di Nola, di anni quarantuno
[184]
. Porcelli lo conosceva bene dato che,
come lo stesso barbiere confermerà alle autorità
in data 18 giugno 1753, «ogni settimana soglio
venire a far la barba a tutti i religiosi»
[185]
. Spesso, anzi, vi si recava due volte
ogni sette giorni, giacché qualcuno soleva radersi
a più riprese prima della domenica
[186]
. Sirignano era quindi, per così dire,
un frequentatore assiduo del
monastero. Tentò di sbrogliare il legaccio dei
ricordi. Tagliò il nodo:
io fui chiamato dal suddetto sotto infermiero, chiamato fratello Carlo Porcelli, dentro la spezieria medicinale del signor Domenico Guarini, dove in quel punto io mi ritrovava di passaggio, per portarmi con esso lui in questa casa, per venire a sagnare il suddetto chierico, dalla cui bocca mi disse che aveva vomitato ¶{p. 71}gran copia di sangue e che, per consiglio di un medico, signore Gaspare Vegliante, veniva prescritto doversi sagnare al piede; e così ci portammo tutti e due nella stanza dello stesso infermo [187] .
Quella notte la cella di Carlo era una Babilonia.
Testimonierà Giuseppe Ricci: «religiosi che
andavano e venivano, e fra essi mi ricordo il
padre Giovanni Maria Pignelver ed il padre Filippo
Ruoti; ognuno di loro, per il gran puzzore
ch’evaporava da quel sangue buttato, si munivano
di varii spiriti che odoravano nelle caraffine che
fu data anche a me»
[188]
. Il barbiere salassò il paziente al
piede destro. Durante l’operazione, ricorderà il
salassato: «ebbi un deliquio, che mi tolse la
vista, ed anche i sentimenti»
[189]
.
Quando l’esanime si riebbe, indovinò al suo
capezzale la sagoma di padre Pigna. Era ancora
avvolto nel suo mantello, appena di ritorno dalla
scampagnata a Posillipo
[190]
. Il fetore pare fosse ormai svaporato:
«sì per essersi levato il sangue dal pavimento, sì
anche perché erano state aperte la porta e
finestre», rammentava ancora il prefetto
[191]
. Lo spettacolo dato dall’allettato
era, però, sempre raccapricciante. Pigna non si
trattenne a lungo: «perché io già era stanco per
il lungo camino a piedi da me e dagli altri
chierici fatto dalla strada di Santa Lucia, circa
un miglio, me ne ritirai alla mia stanza nel professorio»
[192]
. A vegliare su Carlo restò ancora per
un po’ l’amico Domenico Messina che, ripensando
alla scena, confiderà: «steso sul letto, pareva
quasi un cadavere; affannoso, con difficoltà di
respiro ed acceso sommamente nelle gote, tossendo
spesso e lamentandosi continuamente»
[193]
. Erano le «due ore di notte»: le dieci
di sera
[194]
.¶{p. 72}
Il
morto apparente non riposò. Tossì per tutta la
notte, fino al mattino dopo, quando il sole prese
il posto della candela
[195]
. Tanto che, quegli stessi colpi,
grassi, sonori e ripetuti, furono uditi da molti
ancora l’indomani 9 agosto 1752. Bussarono alle
orecchie di Domenico Messina che, quella mattina,
erano aguzzate alla consueta lezione di filosofia.
Riferirà a tal proposito: «la mattina de’ nove,
circa le quattordici ore e mezza [10.30 AM],
nell’atto che il padre Giovanni Battista Gomez
faceva la lezione di filosofia a noi altri
studenti, avendo inteso dalla stanza contigua a
quella della lezione, dov’era il detto chierico de
Vivis, un gran tossire»
[196]
. Lo confermerà il lettore Gomez, il
penultimo tra i testimoni escussi, venerdì 27
luglio 1753. La stessa data con cui si chiudeva la
lettera inviata dal subpromotore della fede,
Giovanni Tommaso Vespoli, «al molto Reverendo
padre Filippo Castaldo provinciale de’ Chierici
Regolari Minori della provincia di Napoli»
[197]
. In essa si richiedeva la licenza di
«esaminare ex officio li reverendissimi padri
Giovanni Battista Gomez e Michelangelo Pigna, e
dare a tal effetto il giuramento»
[198]
. In un primo momento, la convocazione
dei due padri al processo non doveva esser stata
presa in considerazione. E, sebbene il primo
potesse ostentare «il grado di lettor giubilato»
di sacra teologia, titolo che equivaleva alla
laurea, nondimeno rivendicò: «continuo per mia
volontà, e fuori di obbligazione, la lettura di filosofia»
[199]
. In altre parole, ai tempi della
malattia, aveva Carlo a un palmo dal naso.
Dimorava, però, nella casa di San Giuseppe – che,
nel 1617, i caracciolini edificarono «con molte
limosine» su un terreno acquistato dalla famiglia
più in vista di Napoli: i Carafa
[200]
. La chiesa distava solo un chilometro
dalla Pietrasanta, pertanto il professore «ogni
mattina, ed il ¶{p. 73}dopo
pranzo, veniva a fare la lezione di filosofia a’
studenti professi»
[201]
. E fu durante la lettura che si tenne
la mattina del 9 agosto 1752, «nella stanza
contigua di quella del medesimo chierico», che
anche l’oratore udì quella tosse tremenda:
sentendo il rumore per lo sforzo ch’egli faceva colla tosse più del solito, lasciai immediatamente la lezione e, portatomi di nuovo nella sua stanza, vidi che attualmente buttò molto sangue della stessa qualità descritta di sopra; ed intrattenutomi per poco spazio di tempo, fra il quale vidi rassettato il vomito, me ne ritornai nella stanza a far la mia lezione [202] .
Michelangelo Pigna, di anni quarantacinque, nato
a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento,
fu invece l’ultimo dei testimoni escussi tra i
chierici della Pietrasanta. Era presbitero: il
secondo grado dell’ordine sacro, a metà tra il
diaconato e l’episcopato. Il venerdì del 3 agosto
1753, si presentava ai giudici: «non ho altro
grado ed esercizio attuale se non della prefettura
de’ giovani studenti professi, che ho principiato
ad esservi sin da tre anni in circa»
[203]
. Riferì che, la mattina del 9 agosto
1752, mentre era in corso la lezione: «io, avendo
inteso il segno solito darsi in casa quando viene
il medico, mi portai nella stanza dell’infermo».
Diversi lo seguirono
[204]
.
Ma è
Carlo a ricostruire con estrema precisione le
impressioni di Vincenzo de Iorio. Quella mattina:
toccatomi il polso, disse anche in presenza del suo infermiero maggiore e di altri miei compagni professi e del prefetto, che io era acceso di una gran febre, ed osservato il sangue da me buttato specialmente nel bacino di color nero aggrumato, ed anche con qualche pezzetto bianco di membrana, come disse e giudicò che fosse porzione della pellicola del polmone; ed avendoli anche io raccontato il brugiore grande che intesi la notte che andai a fare i miei bisogni corporali, in disparte volle vedere il vaso; e disse¶{p. 74}che ci aveva anche ritrovato miscela di sangue con muchi, e poi ordinò che mi fossi di nuovo sagnato nell’altro piede, come seguì dopo la sua partenza per mezzo dell’istesso barbiero, che venne poco dopo [205] .
Note
[179] N. Cirillo, Consulti medici, 3 voll., vol. I, In Napoli, Appresso Novello de Bonis Stampatore Arcivescovile, 1738, p. 145.
[180] G.B. Borsieri, Istituzioni di medicina pratica... recate nell’idioma italiano dal Dottor Raimondo Pellegrini con sue note, Firenze, Presso Sansone Coen Tipografo, 1840, p. 856.
[181] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 122v. Sulle spezierie e gli speziali nella Napoli di età moderna, cfr. D. Gentilcore, Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester-New York, Manchester University Press, 1998, pp. 78-81.
[182] G. Mosca, Delle febbri di mutazione d’aria e della loro preservazione e cura, Napoli, Appresso Alessio Pellecchia, 1755, p. 159, n. 1.
[183] G.M. Galanti, Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie, 5 voll., vol. I, Napoli, Nel Gabinetto Letterario, 1787, pp. 210-212. Cfr. D. Gentilcore, Il Regio Protomedicato nella Napoli Spagnola, in «Dynamis. Acta Hispanica ad Medicinae Scientiarumque Historiam Illustrandam», 16 (1996), pp. 219-236 e, per i secoli successivi, dello stesso autore, The Protomedicato Tribunals and Health in Italian Cities, 1600-1800: A Comparison, in E. Sonnino (a cura di), Living in the City (14th-20th centuries), Roma, La Sapienza, 2004, pp. 407-430.
[184] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 123r. Sul mestiere di barbiere nell’Italia di età moderna, cfr. S. Cavallo, Artisans of the Body in Early Modern Italy. Identities, Families and Masculinities, Manchester, Manchester University Press, 2007.
[185] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 124v.
[186] Ivi, f. 125r.
[187] Ivi, f. 126v.
[188] Ivi, f. 101r.
[189] Ivi, f. 47v.
[190] Ivi, f. 213r: «onde io subito prima di levarmi da dopo il mantello, mi portai nella di lui stanza».
[191] Ivi, f. 213v.
[192] Ibidem.
[193] Ivi, f. 136r.
[194] Ivi, f. 132v.
[195] Ivi, ff. 47v-48r.
[196] Ivi, f. 136r.
[197] Ivi, f. 190v.
[198] Ibidem.
[199] Ivi, f. 195v.
[200] C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri... divise in dieci giornate, 10 voll., vol. II, Napoli, Nella Stamperia di Giacomo Raillard, 1692, p. 22.
[201] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 197r.
[202] Ivi, f. 200v.
[203] Ivi, f. 208v.
[204] Ivi, f. 214r.
[205] Ivi, f. 48r.