Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c1
Nonostante la vocazione alla povertà e una retta modesta, il giovane che si presentò al cospetto dei giudici non dovette apparire loro un accattone. È probabile che il suo portamento fosse piuttosto dignitoso, come quello del chierico regolare che, il 12 marzo 1787, Goethe incontrerà a Napoli, a cena dalla «frivola principessina» di Satriano, Teresa Ravaschieri [71]
. A tavola, l’autore del Werther – al tempo già popolare, non
{p. 49}certo un popolano – sarà sorpreso dal riconoscere nel suo commensale un pari rango:
I sacerdoti regolari, specie se elegantemente vestiti, occupano in società un posto assai ragguardevole; il loro abbigliamento denota umiltà e rinunzia, ma nello stesso tempo conferisce spicco e dignità. Possono assumere un contegno ossequioso senza con ciò avvilirsi, e poi, quando riprendono la posizione eretta, ben gli si addice una cert’aria di degnazione che in uomini di condizione sociale diversa sarebbe mal accetta [72]
.
Non si possiede alcun ritratto coevo o descrizione che aiuti a figurarsi l’aspetto di Carlo de Vivis: la statura, la stazza, la fisionomia; il taglio e il colore dei capelli e degli occhi. I resoconti del processo lo ricordano, al più, «di corporatura macilente e scolorito di volto» [73]
; pure dalle gote paonazze, sebbene quest’ultimo particolare fosse presentato come un segno distintivo della malattia [74]
; di norma, quindi, dovevano essere di melarosa e il ragazzo doveva esibire una cera scialba: un volto color calce o, nel migliore dei modi possibili, carnicino. Certo, risulta irresistibile – per chi avesse avuto l’occasione di imbattercisi almeno una volta – non attribuirgli i tratti che l’artista palermitano, Francesco Manno, diede al giovane in una sua opera: un «tondo monocromo a tempera rosso chiara rialzata di bianco», cinto da una cornice «dorata con oro fino da zecchino» (fig. 3) [75]
. Il dipinto fa parte di un ciclo di opere composto da dieci medaglioni monocromati e due tele a olio, che il pittore dei nuovi santi e beati – come la critica lo nominò a più riprese – eseguì in occasione della canonizzazione di Francesco Caracciolo (24 maggio 1807) {p. 50}e che dovette completare il 19 maggio dell’anno seguente [76]
. Ancora oggi è possibile vederlo nella basilica romana di San Lorenzo in Lucina se, varcato il portale della chiesa, intrapresa la navata destra e, fermi tra la prima e la seconda delle {p. 51}cappelle laterali, si solleva lo sguardo. Il dipinto tondeggia tra i due archi, al di sotto del cornicione. Lì, il giovane «Carolo de Vivis» – come recita l’iscrizione soggiacente, attribuita al pennello di Giuseppe Manno, nipote dell’artista – siede su un trono in legno massiccio e dalla linea essenziale [77]
. Preme col fianco sul bracciolo sinistro e, con il braccio corrispettivo, si tiene la testa, che pende nella stessa direzione. Osserva l’effigie di Francesco, tenuta in piedi su di un tavolo dal drappeggio severo – o un pulvinare – da due sagome. Femminili [78]
. Basterebbe quest’ultimo particolare a suggerire l’inaffidabilità storica della rappresentazione: mai alcuna donna si portò nella stanza del miracolato – almeno, stando a quanto è dato sapere [79]
. Più plausibile, allora, è sorprendere in una delle due ancelle la personificazione della Vergine a cui la chiesa di Santa Maria Maggiore di Napoli, dove si svolsero i fatti, era consacrata e a cui Caracciolo era devoto – al punto che avrebbe voluto intitolare la religione che andava fondando dei «Chierici Mariani» [80]
. Non meno fantasiosi sono i tratti fisici e fisiognomici del protagonista. Risulta evidente che essi siano sbozzati facendo riferimento agli schemi formali del tempo. Risale proprio a quel periodo la «moderata conversione al neoclassicismo» di Francesco {p. 52}Manno, come conferma la storica dell’arte Fiorella Pansecchi [81]
. Si può indovinare nell’opera, a un secondo e più approfondito sguardo, quello che Peter Burke definisce un tentativo di «assimilazione [...] dell’ignoto al noto» [82]
. Un fenomeno riscontrabile perlopiù «quando ha luogo un incontro tra culture diverse», ma che potrebbe verificarsi, come nel presente caso, allorquando si tenta di rappresentare episodi del passato [83]
. Dopotutto, va tenuto a mente che «l’artista non è una macchina fotografica, ma un comunicatore con le sue priorità»: politiche, religiose, culturali e, si è tentati di sottolineare, estetiche [84]
. Sotto questo rispetto, la priorità di Manno sembra fosse quella di conferire una patina classica alla scena. Austera e drammatica allo stesso tempo. I particolari sembrano accentuare tale percezione: l’aderenza del tessuto alla gamba flessa suggerisce un modellato carnoso, fortemente plastico e statuario. Innaturale, d’altro canto, per chi, consumato da un male, dovrebbe apparire più simile a una larva che a un Laocoonte. Nonostante tutto, due sono gli elementi che, con molta probabilità, hanno una qualche attinenza con la realtà storica del XVIII secolo e riescono nel tentativo di fare immaginare, in modo purtuttavia sbiadito, la sagoma del ragazzo: la veste, una zimarra scura, che gli fodera il collo, le braccia e le gambe, fino alle caviglie; la stessa che i caracciolini erano soliti portare d’estate, come alcune incisioni di un secolo precedente testimoniano (fig. 4); e la tonsura, che era proporzionata all’ordine, «cosicchè minore sia ne’ Chierici Minori, e cresca ne’ maggiori» – sebbene fosse richiesta indistintamente a chi prendesse parte all’«ecclesiastica milizia» [85]
.{p. 53}
Fig. 3. F. Manno, San Francesco Caracciolo in ritratto risana miracolosamente Carlo de Vivis, 1808, dipinto, 100 cm (diametro), Roma, Chiesa di San Lorenzo in Lucina, in Catalogo Generale dei Beni Culturali, cod. 1200231190-8.
Fig. 4. Abito estivo dei Chierici Regolari Minori, in V.M. Coronelli, Catalogo degli ordini religiosi della Chiesa Militante, espresso con imagini, e spiegato con breve narrazione..., 2 voll., vol. I, Venezia, [s.e.], 1707, cap. 45.
Quando, giovedì 8 marzo 1753, il giovane raggiunse la Pietrasanta, erano circa le consuete «ore venti [3 PM]» [86]
. La sua voce prese a riecheggiare nella cappella sub titulo Assumptionis Beatae Mariae Virginis, nicchiata in una delle navate della chiesa [87]
. Dinanzi al teste, «d’età di anni ventidue» – specificherà una nota a margine di Cristoforo de Acampora, secondo notaio (adjunctus) [88]
– sedevano i giudici:
{p. 54}Costantino Vigilante (1685-1754), vescovo di Caiazzo dal 1727 e confessore del re di Spagna Carlo III di Borbone, sovrano sul trono del Regno di Napoli al tempo del processo [89]
; Francesco de Novellis (1695-1760), dal 1738 vescovo della diocesi di Sarno, in provincia di Salerno [90]
. E, poi, il subpromotore della fede, Ambrosio Scaramuzza. Completava la commissione il notaio Giuseppe Cinnarelli, attuario della causa e archivista della Curia arcivescovile di Napoli [91]
.
Note
[71] J.W. Goethe, Viaggio in Italia, cit., p. 361.
[72] Ivi, p. 223.
[73] Così lo descrive Michelangelo Pigna, prefetto dei giovani studenti dell’ordine, in AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 210v.
[74] Giuseppe Maria Ricci, incaricato dell’«esercizio della risoluzione de’ casi morali» e «applicato alle prediche», la mattina del 9 agosto 1752, vede in Carlo: «macchie troppo rosse che aveva sparse nelle gote», ivi, f. 114v. Domenico Messina, nel descrivere i sintomi patiti dal compagno di studi, parla di «accensione di gote», ivi, f. 131v.
[75] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, in «Prospettiva», 33-36 (1983-1984), pp. 327-334, in particolare p. 330.
[76] Alcune guide attribuiscono erroneamente i medaglioni monocromi a Roberto Bompiani, che nel 1858 decorò il sommo delle pareti della navata centrale di San Lorenzo in Lucina con due dipinti (ivi, p. 328). Nel 1909 le due tele furono trasferite nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, a Roma (ibidem). Sulla data di completamento dei medaglioni, cfr. ivi, p. 330. Circa le committenze del pittore nell’ambito delle cause di beatificazione e canonizzazione dei santi cfr. S. Papaldo, Notizie sul primo periodo romano di Francesco Manno, in «Storia dell’Arte», 30-31 (1977), pp. 187-190, in particolare p. 189.
[77] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, cit., p. 330. L’iscrizione completa recita: «Carolo de Vivis C.R.M. | Deperditam valetudinem | repente restituit».
[78] Così riporta la scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1200231190-8 (ultima consultazione in data 4 gennaio 2024).
[79] In AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 139r, riferirà Domenico Messina, collega di Carlo: «essendo chierico studente, e sotto la cura del prefetto, non mi è permesso di trattare con secolari, ed uscire se non con lui e con gli altri miei compagni chierici per esercizio e per respirare un poco di aria di campagna». Il Saggio del sacerdozio, e del sacrifizio esposto da un religioso dell’ordine de’ Minori Osservanti..., In Venezia, Presso Giuseppe Rosa, 1774, p. 56, riporta: «pretende ella [la Chiesa] che li chierici, e massimamente soli, non frequentino per verun titolo le case delle femmine, né loro diano accesso nelle proprie».
[80] C. Piselli, Compendio della vita, virtù, e doni del ven. servo di Dio P. Francesco Caraccioli fondatore de Chierici Regolari Minori..., In Napoli, Nella Stamperia di Felice Mosca, 1705, p. 183; A. Cencelli, Compendio storico della vita e miracoli del Beato Francesco Caracciolo..., cit., p. VIII.
[81] F. Pansecchi, Francesco Manno a San Lorenzo in Lucina, cit., p. 331.
[82] P. Burke, Testimoni oculari, cit., p. 145.
[83] Ibidem.
[84] Ivi, p. 103.
[85] Circa il vestiario in uso presso i Chierici Regolari Minori cfr. V.M. Coronelli, Catalogo degli ordini religiosi della Chiesa Militante, espresso con imagini, e spiegato con breve narrazione..., 2 voll., vol. I, Venezia, [s.e.], 1707, cap. 45. A proposito della tonsura, cfr. Saggio del sacerdozio, e del sacrifizio esposto da un religioso dell’ordine de’ Minori Osservanti..., cit., pp. 66-67.
[86] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 42v.
[87] Ibidem.
[88] Ivi, f. 44r. La prima attestazione utile che si è riusciti a rintracciare la si trova in una Responsio ad Animadversiones, in Francisci De Hieronymo sacerdotis professi Societatis Jesu. Positio super dubio..., Romae, Ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae, 1767, p. 9. Nel documento – con molta probabilità, sottoscritto anni prima della pubblicazione – Cristoforo d’Acampora si firma: «Notaro apostolico, e di questa [...] Curia Arcivescovile di Napoli».
[89] G. Cito e N. Amenta, Vita di Niccolò Amenta detto fra gli Arcadi Pisandro Antiniano scritta dall’abate signor don Gioseppe Cito detto fra gli stessi Panfilo Teccaleio. All’Illustriss. E Reverendiss. Signore Monsignor Costantino Vigilante vescovo di Caiazza, In Napoli, Nella stamperia di Gennario Muzio, 1728.
[90] Cfr. Notizie per l’anno 1738..., In Roma, Nella Stamperia del Chracas, presso S. Marco al Corso, 1738, p. 146; G. Normandia, Notizie storiche ed industriali della città di Sarno, In Napoli, Dalla Stamperia del Vaglio, 1851, p. 185.
[91] AAV, Cause dei Santi, Processus 1895, f. 58v.