Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
Sotto questo rispetto, gli avvocati
Colmeta dipendevano dal manuale di Prospero Lambertini. Lo dimostrerebbero le parole con
cui il passo succitato, tratto dalla responsio, si concludeva: «è
acclarato che l’immaginazione [...] non operi naturalmente con nessun altro mezzo, né
usi altro strumento che quello degli spiriti, che eccita con un nuovo moto, affinché in
vario modo tenda o rilassi i nervi (quos novo motu ciet, ut nervos varie
contendat, aut laxet)»
[83]
. Quest’ultima formula non era farina del loro sacco. A essere precisi, era
frutto dell’esperienza del già citato Giovanni Maria Lancisi,
¶{p. 159}medico romano e consulente curiale nelle cause di
beatificazione e canonizzazione, tra i più competenti e raffinati. In qualità di perito,
prese parte ad almeno undici processi e, sicuramente per merito, ma non meno per
simpatia (era medico personale di Clemente XI), fu favorito dal papa di onori e cariche;
come quella di protofisico generale di Roma e dello Stato Pontificio
[84]
. Non gli si tributarono solo favori e allori, però. Come Della Porta sul
finire del Cinquecento, finì anch’egli nel mirino dell’Inquisizione
[85]
.
Bisogna riconoscere, tuttavia, che
la citazione del medico romano, che i Colmeta riportavano – questa volta non
contrassegnata da alcun carattere tipografico, sebbene se ne indicasse il riferimento –
fosse di seconda mano. Gli avvocati l’avevano stralciata dal capitolo De
imaginatione et eius viribus del De servorum Dei
beatificatione, che si attestava, quindi, come loro fonte principale, se
non la sola, per la trattazione dell’argomento in esame
[86]
. Non è da escludere ¶{p. 160}che essi fossero poco edotti
circa l’immaginazione e i suoi meccanismi e che, più che trarre argomenti dalla
rastrelliera della tradizione, si accontentassero di brandire l’autorevole manuale, al
pari di un temperino multiuso.
In esso, a far da cornice alle tesi
di Lancisi, il cardinale riportava un aneddoto. Il medico era stato interpellato come
esperto nella causa di beato Giovanni di Prado martire. Il caso riguardava una «rapida
guarigione del tutto completa da artrite fissa con immobilità e la dolorosa convulsione
di tutti gli arti [...] che era durata per lo spazio di otto mesi e non poteva essere
vinta con nessun rimedio»
[87]
. Lambertini, al tempo avvocato del diavolo, aveva «a voce insinua[to] che si
poteva dubitare se questa guarigione fosse da attribuire a miracolo o piuttosto alla
forte speranza e alla immaginazione di ottenere la sanità tramite l’intercessione
dell’allora servo di Dio e ora beato Giovanni di Prado, alla cui intercessione il malato
era ricorso con somma devozione d’animo e con fiducia»
[88]
. Intervenne Clemente XI, il quale «ordinò che [...] Giovanni Maria Lancisi
stendesse in iscritto un voto, non a favore della causa, ma per la verità, ed esponesse
la difficoltà derivante dalla immaginazione»
[89]
. Così, il perito, avendo a cura di spiegare innanzitutto i meccanismi
dell’immaginazione, scrisse:
l’immaginazione agisce certamente eccitando velocemente l’idea del fatto, che la stessa anima vuole, spera e desidera, oppure teme, disprezza ed evita. Qualunque sia l’oggetto, al quale la fantasia tende e la cui effigie si forma nel cervello, non opera naturalmente per altra ragione né utilizza altro strumento che gli spiriti vitali, che con nuovo movimento agita per tendere o rilassare variamente i nervi (quos novo motu ciet, ut nervos varie contendat, aus laxet) [90] .
Ecco la porzione di testo che fu
ripresa nella responsio. In sintesi: «qualsiasi cosa, quindi,
potrebbe allontanare ¶{p. 161}rapidamente il movimento degli spiriti
vitali e dei nervi e rimetterlo in un nuovo stato consono alla natura, sarà più o meno
sotto il potere della nostra immaginazione»
[91]
. Si giudicò che la guarigione dall’artrite non avesse seguito questa via. Fu
attribuita, invece, all’opera miracolosa di Giovanni di Prado, che agì per intercessione
di Dio e, pertanto, fu beatificato nel 1728
[92]
.
Il rasoio di Lancisi aveva ripulito
la vis imaginativa dagli eccessi magico-metafisici di cui la tarda
antichità e la prima modernità l’avevano rivestita. Tagliati via concetti come «raggi
spirituali» – che, si credeva, uscissero dagli occhi e andassero ad agire sulla realtà
circostante – o delle già citate «qualità occulte», l’immaginazione ne risultava
scarnificata e ridotta a non più che un meccanismo
[93]
. Anche se, al netto delle differenze, la cesura con le teorie radiali del
passato non fu traumatica. Per lo stesso Lancisi restava saldo che, quando un oggetto
colpisce la vista di un individuo, l’impressione derivatane eccita gli organi del corpo,
specialmente il cuore, e mette in moto gli umori o gli spiriti che scorrono
rispettivamente lungo l’apparato ¶{p. 162}vascolare o nei nervi.
Impiegando il linguaggio tecnico, che la medicina settecentesca mutuava ancora dagli
scolastici, l’immaginazione non avrebbe potuto agire sul corpo per
se, ma solo per accidens, ossia tramite uno
strumento altro, appunto gli umori o gli spiriti. In tal proposito, l’autorità più
antica era Tommaso (Summa theologiae, III, q. 3, art. 3, ad. 3),
secondo cui l’immaginazione non poteva avere influenza oltre le disposizioni corporee
direttamente legate all’immaginazione (non avrebbe potuto intervenire sulla forma di una
mano o di un piede, per esempio).
Ma era tempo di puntare al cuore del
discorso. Ai Colmeta restava da comprendere se, e quanto, l’immaginazione potesse
causare una malattia o riparare a questa. Gli avvocati tornarono ad attingere a piene
mani dal manuale di Lambertini che, sul piano generale, individuava tre possibili cause
di infermità: 1) quelle derivanti «dall’immaginazione, o dal solo spirito» – vale a dire
«dal moto disordinato dei nervi»; 2) quelle localizzate nei fluidi; o 3) dovute alla
compromissione delle «parti solide» di un corpo. Il secondo caso contemplava
un’ulteriore discriminazione, tra: a) malattie causate dalla
«quantità di fluidi in eccesso» e b) malattie scaturenti da un
«difetto nella qualità dei fluidi». A sua volta, la guarigione poteva essere di due
tipi: «stabile o recidiva»
[94]
.
Forti dello schema di Lambertini, i
Colmeta asserivano che la vis imaginativa avrebbe potuto riparare
solo a malattie del secondo genere: quelle scatenate da una difformità (quantitativa o
qualitativa) dei fluidi corporei. Sebbene, l’autore del manuale mettesse in guardia: «la
guarigione via imaginationis non dura per sempre, ma può seguire la
recidiva o la metastasi»
[95]
. E portava il caso, stralciato da Paolo Zacchia (QML, lib. IV, tit. 1, q. 3,
nr. 10), di alcuni ammalati che al cospetto di un religioso o delle reliquie di un santo
«di cui avevano massima fiducia [...] si sono ripresi dalla malattia e si sono sentiti
meglio, e presto sono stati molestati in modo peggiore dallo stesso male e qualche volta
¶{p. 163}anche sono morti, dal momento che per la troppa fiducia hanno
immaginato di poter guarire con quei mezzi, per cui la natura, condotta dalla buona
speranza, è maltratta con la malattia e presto cede rafforzandosi il male»
[96]
. Quindi, ricordava l’aneddoto dello spagnolo Miguel de Medina (1489-1578),
il teologo francescano che fu testimone oculare di molte guarigioni compiute da un
bambino il quale, a Salamanca, aveva fama di taumaturgo. Senonché: «dopo che
l’immaginazione [dei guariti] smetteva, le infermità ritornavano»
[97]
. Sulla scorta di Zacchia, Lambertini sentenziava: «la guarigione non viene
enumerata tra i miracoli se [...] – tra le altre cose – superata la malattia, non ci sia
stata una recidiva in essa o non sia avvenuta la metastasi in un’altra malattia»
[98]
. Insomma, il ripresentarsi di una situazione morbosa – tanto nella stessa
regione, quanto in un’area dislocata dell’organismo – escludeva l’intervento miracoloso.
Una sentenza, quest’ultima, che il promotore della fede, Benedetto Veterani, nelle
animadversiones, riteneva non si fosse ancora in grado di
proferire in via definitiva. Da par loro, i due difensori erano convinti del contrario:
a quella data, Carlo poteva considerarsi guarito del tutto.
A detta degli avvocati, inoltre,
quel che accadde a de Vivis era ben distante rispetto a quanto diagnosticato da
Veterani. Il morbo che attanagliò il giovane chierico aveva la sua causa nella
corruzione qualitativa dei fluidi (quando morbus sive a prava humorum
qualitate exortus fuerit) che avevano intaccato le parti solide
dell’organismo (sive in solidis corporis partibus haereat)
[99]
. Concludevano senza esitazione: «per quanto veemente possa essere
l’immaginazione (quantumcumque vehemens sit imaginatio), e quanto
più lo spirito possa dispiegarsi e premere in ogni singolo verso, nulla varrebbe a
espellere una tal malattia (plane ad ejusmodi morbum depellendum haud quicquam
valet)»
[100]
. A
¶{p. 164}tal riguardo, Lambertini risolveva: «non può
l’immaginazione per sua forza eliminare una malattia istantaneamente» se di secondo
genere, quindi se dipendente dalla corruzione dei fluidi
[101]
; così come «riguardo alle malattie del terzo genere, l’immaginazione né
immediatamente, né per qualche spazio di tempo, benché muova gli spiriti e le fibre, può
espellere la malattia, se il difetto dei solidi non derivi dai fluidi, nel qual caso
bisognerebbe dire delle malattie di terzo genere lo stesso che è stato detto di quelle
del secondo»
[102]
. In ogni caso, la guarigione non avrebbe potuto essere istantanea, come
invece fu quella del fraticello.
Note
[83] Responsio, in PSD, nr. 166, p. 61.
[84] C. Preti, s.v. Lancisi, Giovanni Maria, in DBI, vol. 63, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, pp. 360-364. Partecipò in qualità di perito alle cause di Giacomo della Marca, Felice da Cantalice, papa Pio V, Francisco Solano, Stanislao Kostka, Toribio de Mogrovejo, Jean-François Régis, Juan de Prado, Giacinta Marescotti, Gregorio X, Pierre Fourier. Cfr. A. Laverda, La nascita del sovrannaturale, cit., p. 112, n. 66. La letteratura secondaria sul medico e la sua opera è sconfinata. Ci si limita a citare M.P. Donato, The Mechanical Medicine of a Pious Man of Science: Pathological Anatomy, Religion and Papal Patronage in Lancisi’s «De subitaneis mortibus» (1707), in M.P. Donato e J. Kraye (a cura di), Conflicting Duties: Science, Medicine and Religion in Rome, 1550-1750, London, Warburg Institute, 2009, pp. 319-352; e i risultati del gruppo di ricerca coordinato da A. Romano, Rome et la science moderne. Entre Renaissance et Lumières, Roma, Publications de l’École française de Rome, 2009. In generale, sui medici alla corte papale cfr. E. Andretta, Medici e pubblico al capezzale dei papi: Gian Francesco Marengo, Michele Mercati e la narrazione della morte del pontefice, in B. Borello (a cura di), Pubblico e pubblici di antico regime, Pisa, Pacini, 2009, pp. 73-99.
[85] V. Frajese, Giovanni Maria Lancisi e i Bianchi. Il processo del 1690, in G. Dall’Olio, A. Malena e P. Scaramella (a cura di), La fede degli italiani. Per Adriano Prosperi, 3 voll., vol. I, Pisa, Edizioni della Normale, 2011, pp. 97-114. C. Carella, Roma filosofica, nicodemita, libertina. Scienze e censura in età moderna, Roma, Agorà, 2014, pp. 143-152 pubblica in appendice il sommario del processo contro Lancisi e la relazione anonima della storia dei Bianchi conservata presso la Biblioteca Vaticana.
[86] DSDB, DI, nr. 30.
[87] Ibidem, trad. p. 506.
[88] Ibidem, trad. pp. 506-507.
[89] Ibidem, trad. p. 507.
[90] Ibidem, trad. p. 508.
[91] Ibidem.
[92] G. Diaz Della Concezione, Vita, virtù, doni, martirio, e miracoli del B. Giovanni de Prado Minore Osservante Scalzo, e Primo Provinciale della Provincia di S. Diego nell’Andaluzia, In Roma, Nella Stamperia del Bernabò, 1728; cfr., in apertura, l’Avvertimento, in cui si riporta uno strano aneddoto: «ha recato gran stupore, e cagionata gran dissensione la Gazzetta di Ravenna dell’anno corrente 1728. Perché scrivendo della Congregazione de’ Sagri Riti tenutasi per la beatificazione del B. Giovanni de Prado, lo ha pubblicato di nazione Italiano. Nell’avvisata Congregazione de’ Riti (sono parole del foglio num. 9) tenutasi avanti Sua B. uscì il decreto per la Beatificazione del Ven. Giovanni di Prato Fiorentino».
[93] La teoria dei raggi spirituali ha anch’essa una lunga storia. La si potrebbe far risalire al celebre trattato De radiis del filosofo e astrologo arabo al-Kindī (IX sec.), giunto in Occidente in una traduzione latina anonima del XII secolo. Cfr. L. Saif, The Arabic Influences on Early Modern Occult Philosophy, cit., pp. 30-36; la si potrebbe far proseguire con le teorie sui dardi amorosi, di cui la poesia dolcestilnovistica era disseminata (G. Agamben, Stanze, cit., pp. 121-155) e, a seguire, con le dottrine sull’infezione erotica elaborate dai celebri autori di magia della prima età moderna, Marsilio Ficino e Giordano Bruno in primis. Cfr. I.P. Culianu, Eros e magia nel Rinascimento, cit., pp. 190-191.
[94] Responsio, in PSD, nr. 166, p. 61; DSDB, DI, nr. 31, trad. pp. 511-512.
[95] DSDB, DI, nr. 29, trad. p. 504.
[96] Ibidem.
[97] Ibidem, trad. p. 505.
[98] Ibidem.
[99] Responsio, in PSD, nr. 167, p. 61.
[100] Ibidem.
[101] DSDB, DI, nr. 31, trad. p. 511.
[102] Ibidem, trad. pp. 511-512.