Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
A detta degli avvocati, inoltre,
quel che accadde a de Vivis era ben distante rispetto a quanto diagnosticato da
Veterani. Il morbo che attanagliò il giovane chierico aveva la sua causa nella
corruzione qualitativa dei fluidi (quando morbus sive a prava humorum
qualitate exortus fuerit) che avevano intaccato le parti solide
dell’organismo (sive in solidis corporis partibus haereat)
[99]
. Concludevano senza esitazione: «per quanto veemente possa essere
l’immaginazione (quantumcumque vehemens sit imaginatio), e quanto
più lo spirito possa dispiegarsi e premere in ogni singolo verso, nulla varrebbe a
espellere una tal malattia (plane ad ejusmodi morbum depellendum haud quicquam
valet)»
[100]
. A
¶{p. 164}tal riguardo, Lambertini risolveva: «non può
l’immaginazione per sua forza eliminare una malattia istantaneamente» se di secondo
genere, quindi se dipendente dalla corruzione dei fluidi
[101]
; così come «riguardo alle malattie del terzo genere, l’immaginazione né
immediatamente, né per qualche spazio di tempo, benché muova gli spiriti e le fibre, può
espellere la malattia, se il difetto dei solidi non derivi dai fluidi, nel qual caso
bisognerebbe dire delle malattie di terzo genere lo stesso che è stato detto di quelle
del secondo»
[102]
. In ogni caso, la guarigione non avrebbe potuto essere istantanea, come
invece fu quella del fraticello.
Gli avvocati tiravano le somme. Nel
caso in esame, «in opposizione alle animadversiones, la malattia
non dipendeva da un eccessivo apporto di sangue – nello stomaco – ma dalla sua qualità
perversa; e non solo dal disordine dei fluidi, ma dalle parti solide intaccate; nel
petto, nelle viscere, nei polmoni, la sostanza e il suo tono era tutta abbattuta,
ferita, ulcerata, infiammata, infetta»
[103]
. A tal motivo, era impossibile emendarla, tanto attraverso le vie naturali
(neque naturae), quanto mediante l’apporto dell’immaginazione
(neque imaginationis); né, in ultima istanza, i medici
avrebbero potuto scacciarla (neque artis praesidiis). A farlo,
quindi, poteva essere stato solo il dito di Dio (sed digito tantum Dei
exturbandus, considebat)
[104]
.
4. Il gioco del perito
Al pari della causa di beato
Giovanni di Prado martire, in cui il papa caldeggiò il consulto di Giovanni Maria
Lancisi, affinché si pronunciasse su una sospetta guarigione da artrite, anche per Carlo
de Vivis fu richiesta una nuova perizia, che accompagnasse quella del medico curante de
Iorio.
In quegli anni, la presenza di
periti nelle fasi dibattimen¶{p. 165}tali dei processi di beatificazione
e canonizzazione era un istituto, oltreché assodato, regolamentato da precise norme
giuridiche. Così come definita era, da quasi un secolo, la differenza tra i medici
convocati dai promotori della causa e quelli richiesti dai postulatori, ossia dagli
uditori della Rota prima e, in modo crescente dalla metà del Seicento, dai membri della
Congregazione dei Riti. Le due tipologie di periti erano denominate, rispettivamente,
ad opportunitatem o, più esplicitamente, pro
miraculo ed ex officio o pro
veritate; a significare, senza troppi fraintendimenti, che i primi
avessero in interesse l’approvazione del miracolo e i secondi la salvaguardia della verità
[105]
. Inutile sottolineare quanto il parere degli ultimi fosse considerato di
gran lunga più attendibile, in quanto super partes, rispetto a
quello dei primi, opportunisti, cooptati e pagati dai procuratori che premevano affinché
la causa avesse esito felice.
Tale assetto si delineò a partire
dal 1678, data della pubblicazione del decreto emesso da Innocenzo XI (1611-1689). Esso
prevedeva, come riportava Prospero Lambertini, che «i medici, fisici, chirurghi e
persino i matematici, quando si tratta dei miracoli e quando la materia lo richiede,
vengano consultati dalla Sacra Congregazione perché possano esprimere in scritto il
proprio parere in ordine alla verità»
[106]
. Dove il riferimento ai mathematici è spia di uno
slittamento del paradigma gnoseologico, verificatosi soprattutto in area culturale
cattolica, da un interesse ossequioso nei confronti della fisica di Aristotele, a una
nuova e crescente enfasi per i modelli meccanicistico e atomistico (se non
corpuscolare), per le evidenze geometriche e per la matematica; uno stravolgimento dei
piani di osservazione, da qualitativo a quantitativo
[107]
. Non a caso, come riconosce Laverda, fu proprio durante il pontificato di
Innocenzo XI che «la nuova filosofia ebbe un periodo meno ostile, in quanto il papa,
appoggiando il dibattito sulle nuove idee, riuscì a frenare
¶{p. 166}l’arroganza e il potere dell’Inquisizione»
[108]
; per quanto, sul finire del suo mandato, non mancarono recrudescenze
censorie: basti citare il processo napoletano agli ateisti (1688-1697), cui si aggiunse
un altro contro minori «seguaci della filosofia atomistica» e la soppressione del
Congresso Medico Romano, di cui faceva parte l’archiatra Lancisi, come visto, anch’egli
accusato assieme ad altri colleghi per aver discusso «la dottrina degl’atomi secondo
l’insegnamento di Cartesio, Cassendo [Gassendi] et Epicuro»
[109]
.
Propriamente, il decreto del 1678
recitava:
Poiché fu anche osservato che spesso i postulatori, nel dare le scritture di medici e chirurghi per la conferma dei miracoli, e d’altra parte non si è stati soliti rispondere tramite periti della stessa professione; perciò sembra necessario, acciò che si risponda secondo l’arte, che l’eminentissimo ponente deputi ex officio segretamente e previo giuramento, un altro medico o chirurgo celebre, che risponda per la verità (pro veritate), ad effetto di vedere se gli asseriti miracoli eccedano le forze della natura [110] .
Nonostante tutto, come sottoscriveva
ancora Lambertini, «la prassi era seguita [anche] prima dei recentissimi decreti»,
sebbene le perizie dei medici non fossero vincolanti: il giudice avrebbe potuto tenerne
conto o farle decadere
[111]
. Lo storico Joseph Ziegler afferma che dalla metà del XIII
¶{p. 167}secolo in poi i giudici richiedessero il consulto di almeno un
medico nei processi di beatificazione e canonizzazione
[112]
. Per quanto, un passo del Tractatus de vulneribus,
probabilmente riconducibile alla penna di Bartolo da Sassoferrato (1313/14-1357),
tradisce la persistenza del sospetto nei confronti degli specialisti della medicina e
dei loro referti: «i medici attestano che una ferita è letale, in seguito sembra essere
il contrario [...] perché la medicina non è certa [...] perché i medici giudicano sulla
base di probabili congetture, quindi anche il giudizio non sembra molto vero»
[113]
.
Venendo all’epoca moderna, tra i
primi esempi di consilia medica richiesti ai periti, Prospero
Lambertini, sulla scorta dell’opera dell’oblato Grattarola, ne cita alcuni emessi in
occasione della causa di Carlo Borromeo:
Come ancora per la gran diligenza, che i Signori Cardinali usavano in istudiar benissimo tutta la causa e consultare con molti periti Medici la materia de’ miracoli, e tal’hora ancora congregarne molti a farci sopra collegio, dove vedevano, che vi potesse restare qualche dubbio [114] .
A seguire, nel corso della causa per
la beatificazione di Tommaso di Villanova (1618), si richiese il consulto di cinque
periti medici per provare la resurrezione di due ¶{p. 168}corpicini annegati
[115]
. Altri esperti furono interpellati per la canonizzazione di Ignazio di
Loyola e Francesco Saverio
[116]
: i candidati spagnoli che, assieme ai connazionali Teresa d’Avila e Isidoro
Agricola (a eccezione di Filippo Neri, che pur compariva nel
parterre delle santificazioni, ma era fiorentino), furono
redimiti in pompa magna, presso la basilica di San Pietro, nel 1622. Essi inaugurarono
un nuovo periodo di canonizzazioni, dopo sessantacinque anni di improduttività patita
dalla cosiddetta fabbrica dei santi
[117]
. Proprio durante lo svolgimento della causa di uno dei cinque candidati,
Filippo Neri, si richiese il consulto di Paolo Zacchia, tra i primi e più rinomati
esperti nominati nell’ambito delle indagini miracolose – come i tanti e continui
riferimenti a queste ultime, disseminati nel suo manuale di medicina forense, possono
dimostrare (QML, lib. 9, consilia I-VIII)
[118]
.
Certo, Lambertini, ancora lui, in un
altro luogo del suo manuale, riconosceva: «tutti possono constatare che i consultori
della Sacra Congregazione [...] possono procedere con più sicurezza nella discussione se
vengono escussi i medici
¶{p. 169}presenti alla cura mentre si può
affermare il contrario se manca la loro testimonianza»
[119]
. Ma, in larga misura a partire dal Seicento, la sola testimonianza dei
medici curanti, sebbene necessaria, cominciò a risultare insufficiente.
Note
[99] Responsio, in PSD, nr. 167, p. 61.
[100] Ibidem.
[101] DSDB, DI, nr. 31, trad. p. 511.
[102] Ibidem, trad. pp. 511-512.
[103] Responsio, in PSD, nr. 168, p. 62.
[104] Ibidem.
[105] DSDB, lib. I, pars 1, cap. 19, nr. 17.
[106] Ibidem, trad. p. 432.
[107] M. Craig, Subverting Aristotle: Religion History and Philosophy in Early Modern Science, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2014.
[108] A. Laverda, La nascita del sovrannaturale, cit., p. 102. Cfr. inoltre C. Donati, La chiesa di Roma tra antico regime e riforme settecentesche (1675-1766), in G. Chitollini e G. Miccoli (a cura di), Annali della storia d’Italia, vol. IX, La chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Torino, Einaudi, 1986, pp. 721-766.
[109] M.P. Donato, L’onere della prova. Il Sant’Uffizio, l’atomismo e i medici romani, in «Nuncius», 18, 82 (2003), pp. 69-87, in particolare p. 84. Risulta ad oggi la miglior documentazione disponibile sul caso, L. Osbat, L’Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, 1688-1697, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1974; E. Nuzzo, Gli occultamenti dell’io e il tempo della guerra. La «Vita di D. Andrea Cantelmo» di Leonardo di Capua, in N. Pirillo (a cura di), Autobiografia e Filosofia. L’esperienza di Giordano Bruno. Atti del Convegno (Trento, 18-20 maggio, 2000), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 163-230, in particolare p. 194.
[110] In DSDB, lib. I, pars 1, cap. 19, nr. 17, trad. p. 432.
[111] Ibidem, trad. p. 433.
[112] J. Ziegler, Practitioner and Saints: Medical Men in Canonization Process in Thirteenth to Fifteenth Centuries, in «Social History of Medicine», 12 (1999), pp. 191-225.
[113] Cit. in M. Ascheri, Consilium sapientis. Perizia medica e res iudicata: diritto dei dottori e delle istituzioni comunali, in S. Kuttner e K. Pennington (a cura di), Proceedings of the Fifth International Congress of Medieval Canon Law: Salamanca, 21-25 September 1976, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1980, pp. 533-579.
[114] DSDB, lib. I, pars 1, cap. 19, nr. 19, trad. p. 433; M.A. Grattarola, Successi maravigliosi della veneratione di S. Carlo Cardinale di S. Prassede, In Milano, Per l’Heredi Pacifico Pontio et Giovanni Battista Piccaglia, Impressori Archiepiscopali, 1614, p. 173. Cfr. F. Pagani, Marco Aurelio Grattarola e la canonizzazione di Carlo Borromeo, in M.L. Frosio e D. Zardin, Carlo Borromeo e il cattolicesimo dell’età moderna. Nascita e fortuna di un modello di santità. Atti delle giornate di studio, 25-27 novembre 2010, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni, 2011, pp. 73-100.
[115] F. Contelori, Tractatus et praxis de canonizatione sanctorum, Lugduni, Sumptibus Laurentii Durand, 1634, p. 677.
[116] F. Antonelli, De inquisitione medico-legali super miraculis in causis beatificationis et canonizationis, Roma, Pontificium Athenaeum Antonianum, 1962, pp. 62 e 65. Circa le autopsie che furono condotte sui corpi di Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila e Isidoro Agricola, cfr. B.A. Bouley, Pious Postmortems, cit., pp. 50-69.
[117] Sulle celebrazioni, cfr. M. Ramirez de León, Relatione sommaria della vita, santità, miracoli et atti della canonizatione di S. Isidoro Agricola, patrone e protettore della villa di Madrid, corte della Maestà cattolica canonizato dalla santità di N.S. Gregorio XV. Cavata fedelmente dai processi autentici di questa causa, Roma, Per Alessandro Zannetti, 1622. Per un’analisi storico-politica degli eventi, cfr. S. Ditchfield, «Coping With the Beati Moderni», cit., p. 414, che riprende le riflessioni di R.C. Finucane, Saint-Making at the End of the Sixteenth Century: How and Why Jacek of Poland (d. 1257) became St. Hyacinth in 1594, in «Hagiographica», 9 (2002), pp. 207-258.
[118] Cit. anche in DSDB, lib. I, pars 1, cap. 19, nr. 17. Circa l’autopsia compiuta sul corpo di Neri, cfr. ancora N.G. Siraisi, Signs and Evidence: Autopsy and Sanctity in Late Sixteenth-Century Italy, cit., pp. 356-380, in particolare pp. 368-375, 378-379; E. Andretta, Anatomie du Vénérable dans la Rome de la Contre-Réforme, cit., pp. 255-280; B. Bouley, Pious Postmortems, cit., pp. 96-101.
[119] DSDB, lib. III, pars 1, cap. 7, nr. 8, trad. p. 171.