Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c1
Questo passaggio dal «museo-tempio»
fisico al «museo-laboratorio» virtuale apre la strada alla sperimentazione di nuove
strategie di storytelling, sulla scorta dei più aggiornati modelli di
coinvolgimento basati sull’edutainment del pubblico (virtuale, in
questo caso) e sull’interazione con esso tramite esperienze «immersive»
[4]
.
¶{p. 12}
3. È in questo scenario
tecnologico-comunicativo sinteticamente schizzato, tanto vasto quanto mutevole, che si
colloca la proposta del progetto MULTI – Museo multimediale della lingua italiana
(finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca), che vede coinvolte l’Università
di Napoli L’Orientale, l’Università della Tuscia e l’Università di Pavia (con ruolo di
coordinamento) nell’ideazione e realizzazione di un museo virtuale dedicato alla storia
della lingua italiana.
Un museo espressamente pensato, dunque,
per la navigazione in rete, privo di una sede fisica (indipendente, va precisato, dal
progetto di museo fisico in via di allestimento presso il complesso fiorentino di Santa
Maria Novella), e che nondimeno raccoglie la sfida di dedicare, per la prima volta,
un’esposizione permanente alla storia dell’italiano a vent’anni dalla mostra Dove
il sì suona, realizzata presso la Galleria degli Uffizi di Firenze sotto la
direzione di Luca Serianni (co-curatori Lucilla Pizzoli, Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese
e Stefano Telve) per conto della Società Dante Alighieri.
Il presente volume raccoglie una
selezione degli interventi che il 28 maggio 2021 hanno visto confrontarsi sul tema, in
modalità telematica e in un’ottica giocoforza interdisciplinare, specialiste e specialisti
provenienti dai territori dell’antropologia, della museologia, della filosofia e della
linguistica; un dibattito arricchito dalle testimonianze (tanto più preziose, perché fondate
sulla concreta esperienza di lavoro) di alcuni «addetti ai lavori» internazionali. Il coro
di voci radunato in quell’occasione, in una fase ancora esplorativa del progetto (e vorremmo
dire «interrogativa»), ha permesso di definire nei mesi a seguire alcune peculiarità di
questo museo in progress, una cui prima versione sarà accessibile a
partire dalla primavera 2023
[5]
.
Un museo della lingua (lo insegna
l’esperienza della mostra del 2003, naturale antefatto del progetto MULTI su cui ragguaglia
l’intervento di Lucilla Pizzoli) è di necessità multimediale, molteplici essendo i
media in cui la lingua si incarna nel suo processo storico. A
venire musealizzata, in ¶{p. 13}questo caso, non vuole essere infatti la
facoltà astratta del linguaggio (come nell’importante Planet Word di Washington, DC, qui
raccontato dalla fondatrice Ann Friedman), bensì l’insieme dei manufatti (incisioni e
graffiti, manoscritti, testi a stampa, opere d’arte pittorica e scultorea, rappresentazioni
teatrali, film e registrazioni musicali, materiale audio-video di varia natura) in cui una
determinata lingua storicamente si incarna di volta in volta: da qui la vocazione senz’altro
virtuale di un simile museo, in grado così di affrontare le infinite difficoltà di
allestimento, esposizione e comunicazione della collezione. E, al tempo stesso, di generare
nuove domande e spunti di riflessione.
Gli interventi di Vito Lattanzi e
Alberto Garlandini, che hanno aperto i lavori aiutandoci a definire la cornice museologica e
le prospettive operative in cui il MULTI ambisce a collocarsi, sollecitano un ulteriore
ragionamento sull’opportunità di lavorare a un museo linguistico virtuale: se possibile
andando oltre la diatriba – spesso banalmente impostata – tra museo fisico e museo virtuale:
tra difensori dell’opera originale (con la sua immancabile «aura» di benjaminiana memoria)
ed entusiasti della riproduzione
[6]
.
Nella nostra ipotesi di museo virtuale
(in buona parte composto di digitalizzazioni e contenuti online già fruibili da parte
dell’utente web, ma muti e poco appetibili a chi ne ignori il contesto storico-culturale),
gli oggetti esposti non sono semplici copie dei musealia reali (ad
esempio codice manoscritto «vero» versus riproduzione digitale
«falsa»). Occorre anzi cominciare a parlare di «musealium digitale»
dotato di uno statuto museale autonomo, in quanto prodotto di una conversione immateriale
del manufatto fisico che pone lo spettatore di fronte a un’inedita percezione e fruizione
dello stesso – si noti che, in generale, lo stesso originale fisico, separato dal suo
contesto di origine, tesaurizzato ed esposto (sottoposto insomma all’operazione di
musealizzazione), è pur sempre altro rispetto alla realtà che
¶{p. 14}vorrebbe rappresentare: una sua traccia decontestualizzata, un
sostituto simbolico
[7]
.
La riproduzione digitale stessa, in
altre parole, può ambire a una sua «originalità», a una sua specifica aura; a maggior
ragione se l’originale, soggetto a vincoli di vario tipo che ne vietano il trasporto o
l’esposizione (permanente) in una sala, semplicemente non può darsi in quanto oggetto
museale: la questione è evidente nel caso delle scritture esposte o tracce di
voci disseminate sul territorio e raccolte nell’ambizioso progetto
Eurotales (di cui dà conto Nadia Cannata), ma – per tacere di
ulteriori complicazioni – vale anche per quei documenti cartacei o pergamenacei la cui
fragilità ne vieta la fruizione diretta e indiscriminata da parte di un pubblico
[8]
(emblematica, crediamo, l’immagine dei preziosi codici esposti «sotto vetro»,
necessariamente aperti su una pagina centrale e di fatto illeggibili).
Muovendo da queste considerazioni (per
cui il cosiddetto originale, per essere tale, deve essere un oggetto espositivo: e ogni
oggetto espositivo è, in fondo, un originale), il musealium digitale,
interamente e liberamente fruibile, manifesta la propria specificità in virtù delle sue
intrinseche potenzialità di intreccio in una più ampia cornice narrativa multimediale. E da
par suo contribuisce a quella costruzione di «un’eredità comune, accessibile e
trasmissibile» [Marini Clarelli 2005, 8] in cui riposa la missione di ogni museo.
Di «intrecci» discute anche Telmo
Pievani nel suo contributo, invitandoci a saggiare le potenzialità immersive del
digital storytelling in chiave interdisciplinare, alla ricerca di
un necessario equilibrio tra l’alta qualità dei contenuti e il rischio (sempre in agguato)
della «spettacolarizzazione» o della gamification fine a sé
stessa.¶{p. 15}
La chiave narrativa del viaggio, del
percorso, dell’esplorazione aperta ha orientato il cantiere dei primi mesi di lavoro,
spingendoci a concepire il MULTI come una struttura costituita da (appunto) un intreccio di
risorse digitali e materiali web ricontestualizzati, «citazioni» messe in dialogo tra loro
in una nuova narrazione museografica. Questi oggetti virtuali (riproduzioni digitali di
volumi, documenti, dipinti; registrazioni audio-video; mappe linguistiche) entreranno così a
far parte di una collezione-contenitore in continuo aggiornamento, frutto di un lavoro di
intermediazione e risemantizzazione rivolto a un ampio pubblico, con effetti di
disseminazione del patrimonio culturale dalle indubbie potenzialità didattiche.
La metafora della città (già impiegata,
in altro e celebre verso, in una suggestiva pagina di Wittgenstein su cui ragiona qui
Stefano Telve) consente di pensare la storia della lingua italiana come un crocevia di
«percorsi di visita», ognuno guidato da una ben precisa domanda relativa a origini, norma e
diffusione dell’italiano nello spazio e nel tempo: per una fruizione dinamica e inclusiva,
che inviti a scoprire le opere, i nomi, i luoghi (in una parola: le
storie) che tramano la storia della lingua italiana.
La narrazione, tanto nelle singole sale
(o «tappe», per restare nella metafora) quanto negli snodi dei diversi percorsi, intende
dunque fornire un’agile contestualizzazione multimediale all’oggetto esposto, affiancando ai
necessari complementi testuali animazioni, stralci di film, registrazioni, link per
ulteriori approfondimenti; offrendo al visitatore l’opportunità di muoversi in uno spazio
virtuale ricco di contenuti, «dove l’interattività ha un ruolo centrale ma non prevaricante
rispetto alle storie che si vogliono raccontare» (così scrive Mirko Volpi, descrivendo nel
dettaglio Com’è fatto il MULTI).
Le relazioni di Ann Friedman, di
Marília Bonas e di Marilza de Oliveira, che hanno partecipato alla creazione del Museu da
Língua Portuguesa «Estação da Luz» di São Paulo in Brasile (reinaugurato a luglio 2021 dopo
il tragico incendio del 2015), toccano una questione molto delicata, in qualche modo
trasversale a tutti gli interventi (particolar¶{p. 16}mente nelle
riflessioni di Rita Librandi sulla «consapevolezza linguistica dei parlanti italiani»): vale
a dire la funzione sociale ed educativa del museo a stimolare una maggiore sensibilità nei
confronti della lingua in quanto «custode ideale della memoria» (Nadia Cannata).
Anche grazie all’interdipendenza tra la
futura «sede» del sito web e la pagina Facebook ufficiale (https://www.facebook.com/MULTI.museodellalinguaitaliana, ultimo accesso: gennaio
2023), che in una prima fase progettuale ha segnalato periodicamente eventi e pubblicazioni
relativi ai rapporti tra musei e digitale, il progetto MULTI ambisce alla creazione di una
vera e propria community, stimolandone «la partecipazione, quale cifra
del museo contemporaneo» (Vito Lattanzi). Pensiamo a un «museo diffuso» che esca dalla rete
ed entri nelle scuole (secondo la suggestiva immagine di Telmo Pievani) attraverso
diramazioni offline in forma di seminari, laboratori didattici, collaborazioni con le
principali istituzioni attente alla promozione dell’italiano come lingua di cultura nel
mondo. Il MULTI, ha sintetizzato Garlandini, come «centro proattivo di un network di luoghi
fisici e digitali di incontro delle comunità».
Nel pubblicare e integrare gli atti del
seminario Per un museo della lingua italiana cogliamo l’occasione per
ringraziare una volta di più (a nome dell’intero gruppo di lavoro di Pavia, Napoli e
Viterbo) le relatrici e i relatori che hanno accettato di mettere le proprie competenze al
servizio del progetto MULTI, consentendoci nei mesi successivi al seminario di precisare e
meglio definire natura e obiettivi del progetto stesso.
Note
[4] Cfr. a proposito il modello di Viola e Cassone [2017, 37-41] dedicato alle tre fasi del coinvolgimento: attrazione, interazione e – appunto – esperienza.
[5] Si veda la relazione/riflessione di Angelini [2021].
[6] Cfr. anche Colombo [2020, 58-59], con l’invito a superare la «paura ancestrale e preconcetta» della riproduzione digitale che sottrarrebbe attenzione all’originale «in carne e ossa».
[7] «La musealizzazione produce musealità che documenta la realtà, ma che non costituisce in nessun caso la realtà» [Desvallées e Mairesse 2016, 61].
[8] La querelle originale/riproduzione non dovrebbe invece porsi (o si pone in termini affatto diversi) per quegli originali che sono di fatto già «copie», come per i testi a stampa.