Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c12
Un’altra caratteristica della Repubblica federale è la presenza di un vasto centro democratico che, anche se regionalmente differenziato e caratterizzato da un persistente divario città-campagna, è ben lungi dal dissolversi come invece avvenne negli anni di Weimar. Alla sconfitta dell’SPD fa da contralto l’aumento dei Verdi, mentre alla crescita del populismo di destra si contrappone l’apertura della CDU al centro liberale e il graduale inserimento del partito della sinistra (Die Linke) in un sistema condiviso di valori democratici. Il potere di coesione del principio democratico è così forte che perfino l’AfD, che si considera e si presenta come una forza antisistema, non vi si riconosce solo in modo retorico visto che nel suo programma rende omaggio al «fondamentale principio democratico della separazione dei poteri» [10]
, ma interpreta il diritto di partecipazione di tutti gli iscritti al partito in un modo
{p. 269}così radicalmente democratico che i suoi congressi rischiano regolarmente di affondare nel caos provocato dalle continue richieste di intervento.
Sotto la bandiera del populismo si raccolgono oggi forme di partecipazione politica antielitarie e antipluralistiche, che sono caratterizzate da una «debole ideologia» (Michael Freeden) o da un «cuore vuoto» (Paul Taggart) e che per crescere ed esistere hanno bisogno del quadro democratico di una (presunta) società maggioritaria con la quale si confrontano senza posa in modo reattivo e alla quale si contrappongono sul terreno istituzionale e contenutistico soprattutto in modo episodico e nei momenti di crisi. Ed è qui che si manifestano differenze essenziali rispetto alle correnti di estrema destra che furono attive nel periodo tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra e avevano finalità ideologiche ben definite dalle quali derivavano la loro stessa ragion d’essere. Così, mentre dopo il 1918 le promesse del radicalismo di destra poterono assumere anche tratti messianici, oggi il populismo alimenta la sua strutturale posizione antisistema proprio lasciando nel vago ogni visione del futuro.
Per questo, esso si esaurisce in una ubiquitaria critica dell’esistente, che salta dall’opposizione all’euro alla Brexit e alla crisi migratoria, senza che il repentino cambio di direzione dalla lotta contro l’Unione Europea al suo rafforzamento, da una posizione liberale in economia ad un orientamento statalista riesca ad irritare più di tanto il suo elettorato. In altre parole: l’attuale populismo di destra nasce non dalla debolezza ma piuttosto dalla forza di una democrazia ormai da tempo consolidatasi. Esso non può contrapporre allo stato presente delle cose alcuna visione di una vita migliore ma solo la «estatica Schadenfreude» (Jonah Goldberg) per la riuscita provocazione, e vive del perturbamento di una società maggioritaria assillata dal timore per la facilità con cui possono essere scardinate le presunte fondamenta della decenza politica e della solidarietà umana e per il fatto che appaiono senza difese quei minima moralia della convivenza tra gli uomini e tra le nazioni che con la fine della Guerra fredda si era creduto che fossero ormai assicurati una volta per sempre.{p. 270}
In una parola: il fascino dei parallelismi non è che una chimera. Esso si fonda su una forma di analogia antistorica che solo superficialmente appare valida, mentre in realtà accosta l’una all’altra in modo distorto la situazione della prima e della seconda repubblica tedesca che, come avviene con tutti i fenomeni storici, sembrano assolutamente paragonabili ma in realtà sono radicalmente diverse. La preoccupazione per un ritorno a Weimar non è solo infondata: può anche risultare dannosa e trasformarsi, come sostiene Sebastian Ullrich, in una sorta di «agenzia di isterizzazione» che come «strumento di una distorta autorassicurazione» evoca proprio il pericolo dal quale vuole premunirsi [11]
. Solo a causa del diffuso e sempre evocato timore per la continuità, che ci fa riconoscere in un Gauland (Alexander Gauland, uno dei leader storici dell’AfD) un nuovo Goebbels e in un Höcke (Björn Höcke, esponente di spicco dell’AfD) un nuovo Hitler, la forza passeggera di una diffusa insoddisfazione per una situazione apparentemente immutabile viene elevata al rango di minaccia sociale, che sviluppa tutto il suo potenziale destabilizzante solo attraverso la paura e lo sdegno con cui noi reagiamo ad essa.

3. Il cambio di prospettiva storica

D’altro canto, se l’improvviso risveglio di interesse per Weimar non si spiega con l’importanza che riveste l’argomento in quanto tale, in tal caso esso deve avere a che fare con il modo con cui si guarda all’intera vicenda. In effetti sono molti gli indizi che lasciano intendere che il rinnovato interesse per la Repubblica di Weimar, ancora non molto tempo fa considerata «dimenticata», è in larga misura dovuto ad un cambio di prospettiva dello spettatore – non è il passato che è cambiato ma il nostro modo di guardare ad esso. È evidente, tanto per cominciare, il potere di attrazione esercitato dagli anniversari tondi che ci ricollegano {p. 271}a Weimar: la prima repubblica tedesca ha celebrato nel 2019, e le celebrazioni proseguiranno fino al 2033, il suo centesimo anniversario. Un secolo fa il movimento operaio tedesco si è diviso in un’ala socialdemocratica e una comunista; cento anni fa è entrato in vigore il Trattato di Versailles, che si stese come un telo soffocante sopra il Paese sconfitto; sempre cento anni fa la valuta cominciò a perdere il suo valore e ad erodere in modo strisciante lo stato patrimoniale della società tedesca; e cento anni fa, infine, cominciò quella che Ernst Troeltsch ha definito l’ondata di destra, che in seguito sarebbe rapidamente cresciuta e si sarebbe interrotta solo nel 1945. Gli anniversari suscitano interesse perché collegano il passato al presente. Il giubileo vive della magia del momento che si rinnova, affianca all’aura dell’autenticità materiale l’aura dell’immediatezza temporale. In esso si esprime un desiderio di autenticità temporale che aspira ad un incontro per quanto possibile diretto con il passato e inoltre fa apparentemente coincidere il ricordo del tempo passato con quello del tempo da ricordare.
Si deve solo a questo cambio di prospettiva la riabilitazione della Repubblica di Weimar cui assistiamo non senza meraviglia da alcuni anni. Chi oggi si occupa della rivoluzione di novembre non parla più, come ha fatto Sebastian Haffner cinquant’anni fa, di una «rivoluzione tradita» o di un inizio assai stentato della modernità in Germania, in cui nessuno negli anni di Weimar amava riconoscersi, ma, in sintonia con il giornalista Sven Felix Kellerhoff, tesse invece l’«elogio della rivoluzione» [12]
. Chi oggi recensisce i libri sull’età weimariana prende atto con piacere che gli esperti richiamano alla memoria rappresentanti finora poco conosciuti della Repubblica di Weimar [13]
. Chi {p. 272}oggi si occupa della Costituzione weimariana lo fa da una prospettiva ben diversa rispetto al passato e contesta, con il giudice costituzionale Udo Di Fabio, l’affermazione secondo cui il fallimento della repubblica sarebbe da addebitare proprio alla sua Costituzione [14]
, o, con lo studioso di diritto pubblico Horst Dreier, mette in guardia dal ritenere che la stabilità della Repubblica federale sia soprattutto il frutto dei cambiamenti introdotti nella Legge Fondamentale del 1949 rispetto alla Costituzione weimariana [15]
. Questa nuova prospettiva fa giustizia di vecchie certezze. Per decenni si è ritenuto che l’incapacità della repubblica a rappresentare se stessa con la dovuta energia abbia costituito il principale fattore alla base della sua scarsa popolarità. Come simbolo di tale incapacità è stato sempre addotto l’argomento che essa non riuscì nemmeno a dotarsi di una bandiera nazionale unitaria. Il programma di immagini della repubblica è parso misero e scarno, e sembrò che non intendesse fare il suo ingresso nell’epoca della comunicazione visiva, al punto che persistette nel ricorso a forme di rappresentazione mediale piuttosto antiquate [16]
.
Ad icona del fallimento dell’autorappresentazione repubblicana è assurta la famosa-famigerata «foto dei costumi da bagno» pubblicata sul «Berliner Illustri(e)rte» che ritraeva – flaccidi e seminudi – Friedrich Ebert, appena eletto presidente del Reich, e il suo ministro della Difesa Gustav Noske. Provocatoriamente alzati in alto e appesi ai lampioni, dei costumi da bagno rossi vennero usati per schernire il presidente del Reich ancora tre anni dopo (giugno 1922), allorché si recò in visita ufficiale a Monaco e dimostrarono una volta di più i funesti effetti di una immagine simbolo, che Joseph Roth non esitò ad indicare come {p. 273}«la più efficace perché era il più volgare argomento contro la repubblica» [17]
. Ma l’apparenza inganna. Contrariamente a come sarebbe apparso in seguito, la repubblica, in realtà, agì in modo tutt’altro che debole e insensato. La diffusione della fotografia che ritrae Ebert e Noske sul mar Baltico come due sogghignanti e indecorosi bagnanti si dovette prima di tutto al mancato rispetto della parola data. Nel giugno del 1919, un fotografo da spiaggia da loro incontrato casualmente chiese ai due celebri personaggi, che si erano recati a far visita ad una colonia estiva della cooperativa di consumo di Amburgo «Produktion», il permesso di poterli fotografare in acqua e in cambio si impegnò a non diffondere la foto. I due non si opposero ma in seguito il fotografo espose la foto nel suo studio e la vendette alla stampa. Dapprima pubblicata nella sua interezza su un quotidiano di Berlino e poi, dopo essere stata opportunamente manipolata, ripubblicata sul «Berliner Illustri(e)rte» il 24 agosto del 1919, vale a dire il giorno del giuramento di Ebert sulla Costituzione, poté esplicare tutto il suo potenziale delegittimante solo perché incontrò una cassa di risonanza nella quale il diffuso disprezzo per la repubblica veniva credibilmente sottolineato e confermato dalla effeminatezza dei politici ritratti nella foto [18]
.
Per Ebert e Rudolf Nadolny, uno suoi più stretti collaboratori, la foto documentava invece la consapevole apparizione sulla scena di un nuovo ordine i cui rappresentanti avevano deciso di abbandonare gli usi cerimoniosi di un tempo in favore di un atteggiamento più vicino al popolo, e inoltre, oltre ad essersi
{p. 274}limitati a sostituire sorpassati costumi da bagno con altri più moderni, non ritenevano di doversi nascondere per il fatto di aver incontrato i bambini di una colonia estiva. Se la si osserva con più attenzione la foto non mostra la goffaggine repubblicana ma evoca piuttosto lo scontro di due culture, non diversamente da come sarebbe accaduto mezzo secolo più tardi quando Willy Brandt si inginocchiò a Varsavia rompendo in tal modo, tra lo sconcerto del suo entourage, una consolidata prassi politico-diplomatica.
Note
[10] «Noi anteponiamo il principio dello Stato di diritto, il rispetto dei patti e la legittimazione democratica all’azionismo di corto respiro e alla ricerca del facile effetto per scopi puramente elettorali», in Programm für Deutschland. Das Grundsatzprogramm der Alternative für Deutschland, Stuttgart 2016, pp. 18 s.
[11] S. Ullrich, Stabilitätsanker und Hysterisierungsagentur: Der Weimar-Komplex in der Geschichte der Bundesrepublik, in H. Hochmuth - M. Sabrow - T. Siebeneichner (edd), Weimars Wirkung. Das Nachleben der ersten deutschen Republik, Göttingen, Wallstein Verlag, 2020, pp. 182-196.
[12] «Dunque non si può presentare la rivoluzione del biennio 1918-1919 come fallita, bloccata o incompiuta. Al contrario. Essa è ancora in una situazione politica estremamente difficile, nonostante le migliaia di vittime causate dagli scontri nelle strade, la nascita della democrazia in Germania. Questa vittoria del progresso merita di essere apprezzata». L.-B. Keil - S.F. Kellerhoff, Lob der Revolution. Die Geburt der deutschen Demokratie, Darmstadt, wbg Theiss, 2018, p. 239.
[13] Si veda sulla questione: B. Schulz, Die Flagge der Weimarer Republik. Biografie eines Demokraten, in «Der Tagesspiegel», 25 settembre 2019.
[14] U. Di Fabio, Die Weimarer Verfassung. Aufbruch und Scheitern, München, C.H. Beck, 2018.
[15] Heinrich Wefing (a colloquio con Horst Dreier): Das Grundgesetz hat sehr viel Glück gehabt, in «Zeit Online», 24 maggio 2019: https://www.zeit.de/politik/deutschland/2019-05/horst-dreier-grundgesetz-weimarer-verfassung-jubilaeum-interview/komplettansicht (ultima consultazione 30 marzo 2020).
[16] T. Mergel, Propaganda in der Kultur des Schauens, in W. Hardtwig (ed), Ordnungen in der Krise. Zur politischen Kulturgeschichte Deutschlands 1900-1933, München, Duncker & Humblot, 2007, pp. 531-559.
[17] W. Mühlhausen, Im Visier der Fotografen. Reichspräsident Friedrich Ebert im Bild, Heidelberg, Stiftung Reichspräsident-Friedrich-Ebert-Gedenkstätte, 2009.
[18] Così «poetò» il «Kladderadatsch»: «Salve a te, sulla spiaggia / Sovrano in patria / Salve a te, Ebert! Tu hai i pantaloncini da bagno, / altrimenti non hai nient’altro che orna il tuo corpo, / Salve a te, Ebert!». La rivista «Satyr» azzardò perfino paragoni con animali: «L’Ebert è contento del suo prosciutto. Ed è soddisfatto!!! – e gli pose accanto un Noske raffigurato come una scimmia pelosa: «Privo di un Ordine, solo nuda pelle, senza cerimoniale di corte». U. Kulke, Wie zwei Badehosen zur Staatsaffäre wurden, in «Berliner Morgenpost», 18 giugno 2017.