Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c1
Il comitato, composto da 10 rappresentanti della direzione aziendale e da 10 rappresentanti del personale nominati dalle organizzazioni sindacali firmatarie, ha compiti di consultazione e di collaborazione fra le parti. Ad
{p. 40} esso spetta promuovere fra operai, impiegati e capi la conoscenza dei problemi di conduzione e di sviluppo dell’impresa, esporre alla direzione i problemi del personale, cooperare per il miglioramento dell’efficienza aziendale, stabilire le formule tecniche del premio di produttività. Il comitato, che si riunisce con periodicità mensile, può esprimere pareri soltanto consultivi.
Questo è il tenore letterale delle norme statutarie del CA fissate nell’agosto 1958.
Come accade frequentemente, le norme stabilite in astratto subiscono nella pratica numerosi adattamenti e modifiche a tal segno che, nel 1963, le parti decidono di predisporre un nuovo statuto sulla scorta delle indicazioni emerse dalla precedente esperienza applicativa. I principi generali sono riformulati con maggiore cautela [13]
e precisione analitica [14]
, coerentemente ai molteplici e mutevoli atteggiamenti delle parti, allo scopo di fissare chiari criteri d’ordine, la cui assenza minacciava di ridurre tutta l’esperienza di CM ad un incontrollato spontaneismo. Scavalcamenti o sovrapposizione di competenze funzionali e di procedure, la tendenza ad anticipare in sede consultiva i risultati della contrattazione collettiva sono tutti aspetti rilevanti nella patologia del sistema di CM che può essere capita nella sua logica interna, ma non può{p. 41} meritare adesione, perché finisce per minare la stabilità degli accordi e provocare una notevole dispersione di responsabilità. L’atteggiamento deliberatamente flessibile della direzione aziendale costituisce, anch’esso, un aspetto negativo che non può giovare al consolidamento del sistema, benché si debba dare atto alla direzione stessa di aver introdotto un correttivo nella sua azione pro­muovendo, in collaborazione con la FILTA-CISL e la UILT-UIL, corsi di formazione sindacale per lavoratori [15]
miranti a ridurre lo scarto tra quadri di vertice e quadri di base ‒ questi ultimi meno propensi, in genere, ad inserirsi in maniera costruttiva nel nuovo clima di relazioni.
Ma è possibile ravvisare un ulteriore motivo per cui il documento contrattuale del ’63 segna un importante contributo alla sistemazione della cospicua trama di relazioni introaziendali formatasi per effetto della CM ed insieme una «pausa» di riflessione critica da parte dei suoi protagonisti.
Negli anni precedenti al ’63, infatti, si era venuto a porre in essere un decentramento dell’attività consultiva a livello di stabilimento e, nell’àmbito di questo, a livello di settore e di reparto. Fin dal 1959, l’organizzazione della CM aveva assunto una forma piramidale, allorché impresa e sindacati, ritenendo oramai superata la prima fase sperimentale e, quindi, «giunto il tempo di passare ad un’azione maggiormente approfondita sul piano delle concrete realizzazioni», avevano concordato di modificare le strutture della CM articolandole in un CA e in tanti sottocomitati (= SC), anch’essi paritetici, quanti sono i luoghi dove sono dislocati sede e stabilimenti (quelli di R. e di V.). Ai SC «spetta vagliare le indicazioni e i problemi rilevati nei reparti e negli uffici, sottoporli a discussione e rinviarli all’esame del comitato aziendale qualora se ne ravvisi l’opportunità, e ciò sia per il carat{p. 42}tere di generalità del problema sia perché esso non ha trovato conveniente soluzione in sede locale, svolgere una azione di studio e di stimolo all’azione produttivistica in generale; controllare, mediante l’intervento della segreteria, l’applicazione delle raccomandazioni scaturite dalla discussione del sottocomitato e del comitato aziendale» (art. 4 dell’accordo 9 novembre 1959). Al CA è, invece, riservato il compito ‒ per svolgere il quale esso si riunirà ogni 4-6 mesi ‒ di definire gli orientamenti gene­rali e gli indirizzi programmatici della CM.
Senonché, l’espansione dell’attività di CM ai livelli operativi inferiori determina inevitabilmente la preoccupazione di dare al tutto una cornice razionale. Per porvi rimedio, acquisterà una funzione di coordinamento, di controllo e di stimolo dell’attività dei comitati locali un organismo agli inizi appena delineato e investito di compiti meramente amministrativi. Questo organismo è l’ufficio di segreteria della CM, che ‒ secondo quanto dispone l’art. 13 del nuovo statuto ‒ «è costituita da personale messo a disposizione dall’azienda, previa consultazione con la controparte. Essa viene costituita formalmente in ufficio e dotata di quanto necessario al suo buon funzionamento. L’ufficio di segreteria è organizzativamente inquadrato nell’àmbito della direzione generale, ma risponde del suo operato a tutte le parti firmatarie».
La regolamentazione del 1963 ‒ che è quella tuttora vigente ‒ cerca pertanto di porre termine ad uno stato di incertezza, sostituendo a prassi informali la norma scritta. Esemplare al riguardo è la minuziosa elencazione dei compiti devoluti ai comitati periferici (art. 5), in quanto assume il valore di una testimonianza dell’attività svolta, un indice del grado raggiunto di partecipazione operaia.
Tuttavia, con lo statuto in discorso non si persegue semplicemente un adeguamento delle strutture formali alla situazione di fatto. Alcune sue norme sono chiaramente influenzate da interessi eterogenei che, per il passato, non sempre avevano trovato un canale per esprimersi compiutamente.{p. 43}
In proposito, si può rilevare in primo luogo che, accanto alla riaffermazione del carattere consultivo dei comitati, si registra la comparsa di una enunciazione di questo tipo: «l’attività di CM costituisce un condizionamento istituzionalizzato all’esercizio del potere aziendale», sicché «alle decisioni prese dalle parti in questa sede deve essere data concreta e tempestiva attuazione» (art. 16). Se, sotto questo profilo, il testo del 1963 appare una variante, sia pure in senso conflittuale e quindi alternativa, della partecipazione introdotta dagli accordi del 1958-1959 con finalità marcatamente di collaborazione produttivistica ed insieme un superamento di originarie posizioni di principio nella misura in cui riconosce la natura contrattuale dell’attività consultiva ovvero il carattere intrinsecamente decisionale della CM, ciò accade perché la CM ha accelerato un processo di maturazione culturale, politica e sindacale che ha trasformato i comitati di CM in organismi nei quali la linea assume o può essere legittimamente costretta ad assumere decisioni condizionate dalla controparte.
A questa funzione di staff, difficilmente riscontrabile in altre situazioni aziendali, conferisce poi un colore e un accento particolari la norma statutaria che demanda alla segreteria della CM, inter alia, il compito di mantenere sistematici contatti con gli organi sindacali (art. 14): una norma, cioè, che testimonia come la CM abbia necessità del sostegno e della tutela dell’organizzazione sindacale, che testimonia come la CM non sia e non debba essere una «collaborazione» al potere aziendale concessa dall’imprenditore, bensì continuamente negoziata col contropotere sindacale.
Nel 1963, dunque, sul piano dei valori non meno che sul piano giuridico-formale la CM si spoglia dell’ambizioso proposito di risolvere i contrasti di classe per acquistare quello ‒ più modesto ma più realistico ‒ di canalizzarne lo sviluppo attraverso una spartizione contrattuale del potere, sia pure nei limiti storicamente stabiliti dalle parti secondo le quali il terreno preferenziale della CM è rappresentato dalle forme e dalle conseguenze del{p. 44}l’esercizio del potere aziendale principalmente in materia, come s’è detto, di gestione del personale e di organizzazione del lavoro.
Senonché, è innegabile che il condizionamento delle forme e delle conseguenze dell’esercizio del potere aziendale finisce per modificare, più o meno direttamente, le stesse scelte «politiche» dell’imprenditore attinenti alla determinazione degli obiettivi (o di taluni obiettivi) del piano di sviluppo dell’impresa.
Risale al dicembre 1965, infatti, la stipulazione di un accordo aziendale il cui significato può così riassumersi: la CM deve investire «tutto il fatto produttivo» (cioè, oltre ai problemi di efficienza, i problemi di piani­ficazione e di gestione aziendale) e la diretta partecipazione a tale attività rientra tra i compiti istituzionali del sindacato al quale, perciò, si riconosce il diritto di darsi una «qualificata presenza in azienda». È tuttavia probabile che i tempi di questo «rilancio» della CM, orientata verso l’acquisizione di contenuti nuovi, siano stati artificiosamente anticipati rispetto ai tempi di sperimentazione.
Se il comportamento successivamente tenuto dalle parti in occasione della discussione di un piano tecnico-organizzativo di stabilimento ‒ di cui si darà conto più avanti ‒ sembra confortare tale giudizio, per il momento conviene piuttosto sottolineare come il « programma di attività » concordato nel 1965, benché proiettato verso il futuro, non sia altro che uno sviluppo del modello di relazioni industriali adottato nel 1958 (almeno) per la parte in cui significava ‒ per l’imprenditore ‒ apertura del dialogo con i sindacati e ‒ per questi ultimi ‒ disponibilità ad instaurare durevoli rapporti non contraddittori rispetto alle esigenze di efficienza aziendale. Uno sviluppo, si può affermare, in qualche modo scontato, giacché era inevitabile, nel contesto socio-politico in cui si calava l’esperienza della Bassetti, che il sindacato ricercasse un «corrispettivo» diverso dalla negoziazione del premio di produttività al proprio impegno di proseguire l’esperimento partecipazionistico. In altri termini,
{p. 45} l’evoluzione della disciplina contrattuale degli incentivi nel nostro paese (sotto forma di generalizzazione, a livello aziendale, di premi collegati a parametri obiettivi) ha sicuramente sospinto il sindacato in una direzione nuova, epperò rintracciabile nel sistema delle indicazioni inerenti all’esperienza di CM.
Note
[13] Per «collaborazione», ad es., deve intendersi «il raggiungimento di quegli obiettivi produttivistici nei quali possa essere ravvisata una coincidenza di interessi fra le parti firmatarie per il perseguimento di una più elevata efficienza aziendale, nel rispetto dell’esigenza dei lavo­ratori di essere salvaguardati da conseguenze negative» [art. 3, lett. d)].
[14] Così, a norma del rinnovato statuto, la consultazione informativa ha per oggetto «lo scambio di reciproche informazioni, allo scopo di promuovere la conoscenza dei problemi di conduzione e di sviluppo dell’azienda e di stimolare più aperte relazioni sul lavoro fra capi e dipendenti» [art. 3, lett. a)]; la consultazione operativa consiste nel «discutere le politiche e le scelte aziendali che toccano la sfera di interessi del personale, allo scopo di promuovere una attiva e responsa­bile partecipazione dei lavoratori a tali decisioni» [art. 3, lett. b)]; la consultazione preventiva è definita come quel tipo di attività che consente di «esaminare congiuntamente proposte direzionali (in materia di politica del personale e di innovazioni tecnico-organizzative) prima che esse diventino operative, allo scopo di rendere queste decisioni e le modalità di applicazione di esse quanto più aderenti alle esigenze espresse dal personale» [art. 3, lett. c)].
[15]Questi corsi sono finanziati, col consenso dei sindacati, da un apposito Fondo aziendale, alimentato da somme detratte dal «monte» annuale del premio di produttività e da erogazioni di pari importo complessivo da parte della Bassetti.