Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/p1
Successivamente alla introduzione
della CM tuttavia come si è configurata la dinamica sindacale in Bassetti? Al tema,
affrontato appunto all’interno della seconda parte,
plausibil
¶{p. 11}mente Romagnoli conferiva maggiore
importanza, posto che lo «“spaccato” dell’evoluzione dell’ideologia e della pratica
sindacale in atto» lo «interessa assai più che … un modesto esperimento aziendale di
partecipazione» (Ballestrero 2023).
E forse si può subito anticipare la
risposta che tra le righe del libro affiora, parlando di “occasione perduta”.
Ebbene in un contesto che vede la
CM sorgere con la opposizione, tutt’altro che imprevedibile, della Cgil (dove anzi «la
rottura con la Cgil rappresentava il “prezzo” necessario sia per non alienarsi
completamente le simpatie dell’Assolombarda … sia, e soprattutto, per responsabilizzare
massicciamente la Filta milanese»: p. 106), Romagnoli innanzitutto sottolinea come
l’impresa di fatto però continui a praticare «una politica di relazioni industriali
sostanzialmente empirica, mirante a sanare le fratture e all’interno della Commissione
interna e sul fronte sindacale esterno». Tant’è che l’accordo sindacale “separato” «del
’58 è valutabile come un episodio isolato poiché la Cgil sarà sempre presente al tavolo
contrattuale» negli anni successivi.
Si tratta di direttrici di
intervento, quelle rispettivamente verso la CM e la Commissione interna, pensate
inizialmente dalla direzione come separate. A metà anni sessanta però «la politica
sindacale cessa … di costituire un’alternativa rispetto alla politica di CM, ma l’una si
innesta sulla scia tracciata dall’altra» (p. 108).
Romagnoli dedica comunque diversi e
separati paragrafi all’«atteggiamento» della Cisl e della Uil, alla «opposizione» della
Cgil, alla «politica di relazioni industriali» della direzione del personale.
A proposito dei sindacati firmatari
dell’accordo del 1958 sulla CM, si osserva allora che nella situazione di crisi
caratterizzante, nel decennio degli anni cinquanta del secolo scorso, l’industria
tessile in Italia, per un verso «la “pace aziendale” diviene un fattore essenziale dello
sviluppo delle imprese», sotto altro profilo, anche «alla luce dell’accelerato trend del
progresso tecnico in Bassetti», il sindacato non è in grado di «esercitare un valido
condizionamento contrattuale-conflittuale … sul terreno ex ante delle scelte
decisionali». Dove allora «la politica delle soluzioni di forza si dimostra inadeguata,
potrà e dovrà riuscire quella che in Francia era definita la “politique paritaire”» (p.
111 ss.).¶{p. 12}
Pertanto alla CM si affida «in
forma istituzionale il compito di attuare un condizionamento “tecnico” di tipo
partecipativo».
Ma nulla di più. Restando ferma,
anche per Cisl e Uil, la «distinzione, quanto mai artificiale tra “rivendicazionismo” e
“partecipazione”» (p. 113). Accanto al «timore che la loro adesione alla CM sia
interpretabile come ammissione di una inferiorità nei rapporti di forza» con la Cgil.
Quest’ultima infatti, «rifiutandosi
di sottoscrivere l’accordo istitutivo della CM, ha preteso conservare di sé l’immagine
di una organizzazione classista e “combattentistica”» (p. 117 ss.). Punto di vista per
molti anni ribadito, nonostante ciò non impedisca alla organizzazione «di elaborare una
politica comune agli altri sindacati».
Cosicché pure Cisl e Uil «finiranno
per trascurare l’efficacia della partecipazione nei momenti di tregua: il che significa
però “integrazione senza partecipazione” degli operai nell’impresa e corrisponde
precisamente all’interesse fondamentale di quello strato della direzione aziendale che,
avvertendo come la CM sia potenzialmente idonea a contestare dall’interno l’ordine
costituito, appare più sensibile al richiamo di una concezione autocratica del potere
e, per difendere lo status quo, vorrà “gettare via l’acqua sporca col bambino dentro”»
(p. 119).
Tornando comunque all’approccio
sindacale – e dando rilievo generale ad una osservazione avanzata da Romagnoli per quel
che concerne Cisl e Uil - dovranno in effetti «trascorrere molti anni prima di
riconoscere “la natura sindacale e contrattuale del fatto consultivo” nonché di
“accettare” (e far accettare) che “le richieste di consultazione preventiva sulle
decisioni organizzative si pongano come legittime rivendicazioni di nuovo tipo”» (p.
114).
In effetti – osserva ancora
l’autore – «nel corso dei primi anni, tutti e tre i sindacati hanno in sostanza
affidato, ciascuno a suo modo, alla direzione il compito di guidare l’esperimento della
CM». Così perdendo una grande occasione, posto che quest’ultima «poteva rappresentare
storicamente uno strumento di collaudo dei nuovi approcci ideologici del sindacalismo
moderno» (p. 125 ss.).
Nel frattempo, come già accennato,
secondo Romagnoli un “alleato” dei sindacati, diffidenti o ostili verso la CM, sarà
rappresentato proprio dalla «direzione del personale», che
¶{p. 13}realizzerà «una politica di favore» dei primi, «ma
soltanto allo scopo di ottenere dalla azione contrattuale esterna del sindacato la
rilegittimazione del potere imprenditoriale contestato all’interno dell’azienda».
Considerato che la CM si fa comunque «veicolo di contro-potere operaio in senso
gestionale»; e costituisce dunque «permanente minaccia di limitazione e contestazione
dell’assolutismo manageriale» (p. 122).
A fronte di tali dinamiche,
evidenti soprattutto all’inizio dell’esperimento, appaiono tuttavia in seguito novità,
connesse soprattutto al ruolo progressivamente assunto da un «organismo», la segreteria
dei comitati consultivi della CM, cui sono nel tempo formalmente conferiti nuovi ed
importanti compiti; al cui potenziamento progressivo contribuiscono soprattutto «i
sindacati – tutti i sindacati» (mentre presso la direzione della impresa sono presenti
diffusi giudizi negativi sull’operato della medesima: p. 129); che rivolge la propria
attenzione soprattutto al personale, per cui sono in particolare organizzati percorsi
formativi, interlocutore «più debole» ma nel contempo «più importante», rispetto alla
direzione aziendale ed ai sindacati, ai fini del consolidamento e successo della CM (p.
130 ss. Vedi pure pp. 71 e 81).
In tal modo la segreteria, pur
«attratta dal “polo sindacale”», finisce però con il sostituire «i sindacati in fase di
elaborazione della politica di CM», ciò rendendo palese «la contraddizione esistente»,
presso i sindacati stessi, «tra la richiesta di maggiore potere ed il “vuoto di idee”
che la accompagna». Cosicché «la politica (sindacale) di CM» si arricchisce «di motivi
problematici e lascia presagire sviluppi che sono piuttosto la proiezione della
personalità culturale dei membri pro tempore della segreteria, più o meno fortemente
sensibilizzati alle tendenze moderne elaborate dai teorici del sindacalismo operaio,
anziché il prodotto di una rigorosa e organica riflessione del sindacato su sé stessi e
sul significato della propria azione» (p. 132).
Cionondimeno, una volta «superata
l’equivoca distinzione tra attività contestativa e quella consultiva, riconoscendo e
rispettando la “natura sindacale e contrattuale del fatto consultivo”, per il tramite
della segreteria si assiste non solo ad un “rilancio” della CM, proprio quando la …
tendenza ad emarginarla sembra prevalere, ma anche ad un “rilancio” del potere
sindacale. Più esattamente il rilancio della CM è
¶{p. 14}strumentale rispetto alla rivendicazione di un potere
operaio nella fabbrica … che si dimostra o si teme capace di “mordere” sull’autonomia di
gestione aziendale» (p. 137).
Come emerso nella vertenza che
accompagna, nel corso del 1966, la presentazione da parte di Bassetti di un “piano” di
incisiva ristrutturazione produttiva, neanche in questo nuovo frangente storico il
sindacato sarà tuttavia convinto ad «entrare nel merito» (p. 144), come proprio
l’esperienza della CM avrebbe consentito di fare. E così «per quanto avanzata, la
contrattazione collettiva svoltasi in Bassetti nel 1967 non ha strappato alla direzione
se non quelle zone di potere, non le ha imposto se non quei limiti che alla direzione
medesima erano necessari per riconfermare l’insostituibilità della sua funzione di
comando. Infatti il sindacato non ha dato una risposta d’alternativa, bensì un rifiuto»
(p. 143).
5. Solo una testimonianza storica?
Rilievi su possibili accostamenti e questioni ancora aperte.
La pubblicazione del volume fu
giudicata molti anni dopo da Romagnoli «un mezzo flop … un insuccesso», fondamentalmente
perché «uscì nel momento sbagliato ossia nel pieno di una stagione sindacale
caratterizzata da una conflittualità di segno classista» (Romagnoli 2017, p. 776).
Non che nel testo mancassero, come
già visto, giudizi negativi verso l’esperienza, già ritenuta «un mito all’epoca» e che
appunto però «usciva molto ridimensionato dalla ricerca» (Ballestrero 2023). Proprio le
considerazioni da ultimo riportate sull’approccio sindacale (in particolare ma non solo
della Cgil) suscitarono tuttavia reazioni molto critiche.
Aris Accornero, in una «dura
recensione» (Romagnoli 2017, p. 776) pubblicata nel 1969 nei Quaderni di Rassegna
sindacale, parla così della CM come «mistificazione sperimentata alla Bassetti» (1969,
p. 141). Contesta soprattutto le conclusioni della «utile disamina» realizzata da
Romagnoli, volte ad individuare un «programma politico-economico per un nuovo
sindacalismo “di controllo”», accusando l’autore di proporre di «allenarsi oggi a
gestire domani fabbriche senza padroni che continuano a produrre profitto, e una società
senza capitalisti che continua a imperniarsi sul capitale». Osserva ancora come
¶{p. 15}«un’altra società non nascerà certo da modelli
“alternativi” di gestione aziendale – ovvero di … pianificazione imprenditoriale –
portati dal sindacato o dal partito o da entrambi» (Accornero 1969, p. 145 ss.).
Finché infatti «c’è tale sistema» -
«saldamente in mano al capitale stesso» - «in fabbrica e fuori il lavoro resta una
merce, acquistata e usata dal capitano d’industria o dal manager pubblico, dal singolo
proprietario o dallo Stato imprenditore». E «ciò non muterebbe certo se il sindacato si
mettesse in concorrenza con i vari imprenditori nel pianificare diversamente l’impiego
di lavoro vivo e di lavoro morto. Bisogna che Umberto Romagnoli si convinca: quel che va
cambiato, non è la gestione bensì il sistema della fabbrica, inteso come modo oggettivo
ma storico – non eterno! – di produzione, di accumulazione, di sfruttamento» (Accornero
1969, p. 145 ss.).
Perseguendo questo obiettivo, con
maggiore o minore coscienza e lucidità, proprio alla fine degli anni sessanta il
sindacato dei lavoratori, sia organizzato che spontaneo, forte di una capacità di
mobilitazione in precedenza e successivamente mai più raggiunta, ottenne in effetti
standard di protezione e considerazione del lavoro in grado di far apparire quanto
acquisito presso la Bassetti poca e trascurabile cosa.
In seguito però, con lentezza prima
e poi velocità progressivamente maggiore, fino a giungere a momenti frenetici in questo
secolo, le cose tornano a cambiare in modo profondo per il sindacato e la tutela dei
prestatori. Così come analogamente mutano il sistema produttivo e socio-economico, il
contesto giuridico, lo scenario politico. Senza che occorra – o sia possibile - qui
indugiare in dettagli (vedi comunque Romagnoli 2003, 2012, 2013, 2015a, 2015b, 2016).
Ci si trova dunque in un - oramai
dilatato - momento storico, che consente di ricercare connessioni ed individuare
occasioni di dialogo con l’analisi di Romagnoli, in modo probabilmente ben più
significativo di quanto non fosse possibile effettuare già pochi mesi dopo la
pubblicazione del volume. Se non altro perché non è più neanche presente, in sede
politica e sindacale, la prospettiva a partire dalla quale Accornero respinse allora in
modo netto l’impostazione di Romagnoli: quella cioè di giungere a cambiare «il sistema
della fabbrica».
Cosa peraltro già chiaramente
divenuta visibile alla fine
¶{p. 16}degli anni settanta dello
scorso secolo (Ghezzi 1981 e 2012. Cfr. pure Lassandari 2012, p. 10 ss. e Martelloni
2012, p. 169 ss.).
Note