Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c13
Riepilogando, si può dire che, nel corso dei
primi anni, tutti e tre i sindacati hanno in sostanza affidato, ciascuno a suo modo,
alla direzione il compito di guidare l’esperimento della CM, laddove questa, a mio
avviso, poteva rappresentare storicamente uno strumento di collaudo dei nuovi
approcci ideologici del sindacalismo
mo
¶{p. 126}derno. La lacerazione del fronte
sindacale sul tema della CM, lungi dal provocare un serio dibattito tra le
organizzazioni dei lavoratori, ne ha semplicemente dilatato la funzione di garanzia
di integrabilità della lotta operaia per la migliore realizzazione degli obiettivi
predeterminati dell’impresa. L’ostilità (cioè, il disimpegno) della CGIL, da una
parte, e il misuratissimo impegno della CISL e della UIL, dall’altra, ad alimentare
autonomamente la CM ha permesso, infatti, alla direzione aziendale di avere le mani
libere: in primo luogo utilizzandola per suscitare consensi e interessi della base
alla politica produttivistica, per migliorare le condizioni psicologiche di
adattamento del lavoratore alle trasformazioni tecnico-organizzative attraverso
l’azione informativa dall’alto verso il basso e viceversa, per recuperare la
«personalità» dei lavoratori nell’epoca della meccanizzazione e della divisione
parcellare del lavoro concedendo «una maggiore dignità umana»
[19]
.
Questo stile d’azione è efficacemente
identificabile nel metodo seguito dal SC dello stabilimento di R. allorché, nel
1962, è invitato a studiare il problema dell’assenteismo al fine di «individuare le
strade da battere per contenere e ridurre questo fenomeno»,
che, secondo le parole del direttore dello stabilimento, «è un male per l’azienda e
ricade sugli stessi lavoratori»
[20]
. La metodologia adottata è, non a caso, quella suggerita dall’assistente
sociale che, nell’occasione, partecipa alle riunioni del comitato di CM: «non si
deve affrontare il discorso dell’assenteismo in termini generali e collettivi; i
casi di persistente assenteismo hanno delle cause personali che vanno indagate e
risolte come tali». Ed infatti, si deciderà di «valutare i casi e le situazioni
personali in stretta collaborazione fra capi, servizio del personale, servizio
medico e assistente sociale»
[21]
.
Ci si rende conto, allora, perché ‒ egemonizzata
dalla direzione e, cionondimeno, permanente minaccia di limitazione e contestazione
dell’assolutismo manageriale (anzi, proprio per questo motivo egemonizzata) ‒ la CM
diventi un intralcio per l’azione del gruppo dirigente, sottoposto all’accusa di
volerne trarre tutti i vantaggi offrendo poco o nulla in cambio. E quando la
posizione diviene troppo scomoda, per uscirne si sceglierà quella che appare la
linea di minor resistenza: la politica d’integrazione sarà trasferita direttamente
sul piano sindacale attraverso l’accettazione piena e indiscriminata delle
tradizionali regole del «gioco contrattuale». A questo livello, infatti, non è
messa in causa la (capacità di) gestione dell’apparato produttivo. Semplicemente,
ciascuna delle parti cerca di spostare in direzione ad essa favorevole l’equilibrio
dei rapporti di forza, rispettando però le «frontiere»
date.
Note
[19] V. Parte I, n. 3.
[20] Verbali del 28 febbraio 1962 e 3 luglio 1962.
[21] L’episodio sembra prestarsi ad essere interpretato sulla base del modello d’indagine marcusiano, dal momento che «il giudizio è costretto a muoversi entro un contesto di fatti che escludono un giudizio sul contesto in cui i fatti si producono», l’analisi è «bloccata»¶{p. 127} affinché il caso singolo diventi «un incidente suscettibile di trattamento efficace» (Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 121 ss.).