Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c7
Nell’Alto Milanese il tema
dell’identità locale è più articolato e aperto poiché non si struttura attorno ad un
unico settore produttivo. La condivisione di un grande passato industriale è anche in
questo caso la base dell’identità collettiva, ma, come spiega il Sindaco di Legnano «si
tratta della consapevolezza di un passato industriale che fonda le sue radici nel sapere
tecnico e nel saper fare» (Int. 5) trasversale ai singoli settori che si riverbera anche
nei settori non tipicamente manifatturieri; è piuttosto un modo di approcciare il
lavoro, quello della formazione tecnica di base e della sua eccellenza [Ghezzi 2007]. Il
tema di come rigenerare l’identità industriale di questo territorio era già emerso più
volte nel corso dell’ultimo trentennio, quando di fronte alla crisi produttiva e quindi
anche occupazionale di diverse aziende manifatturiere locali, l’area era rientrata nel
programma di finanziamento specificamente dedicato dall’Unione Europa ai territori in
grave declino industriale. In queste precedenti fasi di crisi, le élite economiche e
politiche locali riuscirono a coalizzarsi e a dotarsi di alcuni strumenti per il
rilancio economico e sociale del territorio [Tajani 2011]. Con i fondi europei e
tessendo efficacemente relazioni con i vertici di governo nazionali e regionali, il
governo del territorio, e in particolare il Comune di Legnano, ebbe modo di implementare
alcuni strumenti per il sostegno allo sviluppo locale, a cominciare dalla nascita di
¶{p. 120}un’Agenzia di Sviluppo a ciò dedicata, Euroimpresa, controllata
in maggioranza dal Comune di Legnano e dall’allora Provincia di Milano. Attraverso tale
strumento si riuscirono a convogliare nel primo decennio del Duemila 13 milioni di euro
per i progetti di sviluppo. Furono messi in campo progetti ambiziosi di riconversione
industriale, per esempio con il progetto di un nuovo cluster delle aziende locali
dedicato al settore dell’energia. Nonostante questa efficace raccolta di strumenti e
risorse, quella stagione non sembra aver prodotto il rilancio sperato, né ha lasciato in
eredità forme nuove o aggiornate di distretto industriale dell’Alto Milanese. Questa
difficoltà può essere attribuita in parte alla crisi del 2008 che si è abbattuta
sull’intero Paese negli anni successivi, con le conseguenti riduzioni delle risorse a
disposizione degli enti locali per lo sviluppo locale. Essa però sembra dipendere anche
dalla scarsa coesione interna tra i comuni del territorio, già evidenziata nelle
ricerche dello scorso decennio, peraltro riscontrate in molte aree in cui pure furono
utilizzati gli strumenti pattizi dello sviluppo locale tipici di quella stagione
[Barbera 2001]. Gli enti locali, infatti, non riuscirono ad adottare strategie di
sviluppo durature e in modo sinergico. Tali strategie avrebbero richiesto una parziale
cessione di alcune prerogative della propria amministrazione, a favore di un soggetto
terzo come fu per l’Agenzia di Sviluppo o del proprio territorio, a favore di un’area
specifica dove concentrare le attività distrettuali.
La presente ricerca ha messo in luce
come alcuni segnali di tale frammentazione siano ancora presenti e per certi versi
sembra addirittura aggravata dalla mancanza di strumenti ad hoc per superarla, come
furono le Agenzie di Sviluppo venti anni fa. Per quanto riguarda le politiche dello
sviluppo economico, infatti, dopo la chiusura nel 2016 dell’agenzia Euroimpresa, non si
sono create strutture sostitutive simili. L’unico luogo attualmente esistente per il
confronto tra gli attori del territorio è la già ricordata Consulta Economia e Lavoro.
Essa ha costituito un’occasione di confronto che punta a trovare forme di coordinamento
e che finora ha visto una convergenza tra gli attori su alcuni temi, come quello della
necessità di investire maggiormente sugli Its e ¶{p. 121}in generale sul
legame tra mondo delle imprese e formazione professionale, promosso soprattutto dalla
Confindustria locale. Quello che però dichiarano gli stessi membri della Consulta è una
capacità limitata di vincolare gli attori ad una strategia comune e di implementazione
sul territorio.
Una tale debolezza è visibile anche
nel modo in cui si è strutturata la relazione con Milano e la sua area metropolitana.
Come nel Vigevanese, infatti, anche qui il rapporto con il capoluogo lombardo è visto
come essenziale ma al tempo stesso fonte di possibile impoverimento, vista la dinamica
attrattiva di risorse e di popolazioni della metropoli. Qui non è tanto la questione
infrastrutturale a risultare critica, i collegamenti ferroviari e stradali del capoluogo
con l’Alto Milanese sono relativamente frequenti e veloci, dunque non si rilevano
difficoltà nella mobilità e nella possibilità di uno scambio quotidiano con Milano. La
sfida su cui gli attori insistono è piuttosto quella di riconoscere l’importanza di
agganciare la dinamica di crescita di Milano come crocevia di flussi commerciali,
finanziari, di conoscenze e di persone, senza con ciò perdere la propria autonomia e
specificità territoriale, fatta non solo di tradizioni locali ma anche di patrimonio
produttivo e saperi specifici. Si tratta cioè di entrare in relazione sinergica con
Milano senza che questa ne omologhi le peculiarità e ne dreni le risorse migliori
[1]
.
Di fronte a cambiamenti che spostano
su Milano funzioni strategiche, alcuni attori di governo hanno un atteggiamento di
timore e rivendicano la necessità di mantenerle sul territorio, mentre altri mostrano
una postura maggiormente collaborativa, confidando sulla possibilità che la gestione a
livello metropolitano possa portare opportunità per imprese e cittadini e quindi anche
maggiori benefici sul territorio. Anche questi ultimi, tuttavia, sottolineano la
difficoltà di ¶{p. 122}adottare una regia comune ed efficace di
quest’attività. Una regia che il Sindaco di Legnano chiede alla stessa città
metropolitana di supportare:
Una cosa che noi stiamo chiedendo alla città metropolitana è di essere agenzia anche a supporto di queste attività, cioè serve un punto che faccia un po’ da cabina di regia soprattutto su queste partite dello sviluppo economico del territorio. Oggi questa cosa manca (Int. 5).
Da un lato, dunque, nell’Alto
Milanese emerge una volontà di affrontare la sfida di preservare l’identità industriale
locale e, seppure in modi diversi, di trovare una complementarietà con le dinamiche di
sviluppo della metropoli milanese. Dall’altro lato emergono segnali contrastanti
riguardo le strategie comuni su questo obiettivo. Come abbiamo visto, infatti, sul piano
economico e occupazionale la Consulta Economia e Lavoro riesce a individuare possibili
azioni strategiche ma non a renderle vincolanti e operative. Anche la capacità che nel
decennio precedente era stata efficace di attrarre risorse dai livelli di governo
superiori [Tosi e Vitale 2011], cioè da regione, governo centrale e Unione Europea, oggi
non viene riportata da nessuno degli attori del territorio. La relazione con le reti
industriali verticali sembra essere vista per lo più come un possibile rischio di
depauperamento del territorio. Essa è infatti vista come una fonte di perdita di asset
storici del territorio in quanto acquisiti da attori sovralocali o sovranazionali meno
interessati a sviluppare strategie integrate locali.
Un elemento di avanzamento nella
capacità del governo del territorio di gestire uno sviluppo locale più sostenibile è da
ravvisarsi nelle politiche urbanistiche. Dieci anni fa, le indagini sul tema
[ibidem; Caruso et al. 2011] avevano
evidenziato un forte peso degli interessi privati di rendita immobiliare nel ridisegno
urbanistico della città di Legnano, in particolare quelli degli sviluppatori di edilizia
residenziale e della grande distribuzione, inducendo un consistente aumento del consumo
di suolo nell’area e una scarsa capacità dei comuni dell’area di negoziare condizioni di
equilibrio ¶{p. 123}urbanistico. Oggi il governo locale appare
maggiormente dotato di risorse e di capacità negoziali. Si è rilevata una maggiore
capacità dell’amministrazione legnanese di negoziare con tali interessi, subordinando i
progetti di sviluppo immobiliare a esigenze di sostenibilità ambientale del territorio,
soprattutto grazie all’allentarsi dei forti vincoli di bilancio per le amministrazioni
che fino a un decennio fa inducevano molti comuni a usare gli oneri di urbanizzazione
derivanti dalle operazioni immobiliari private come fonte di recupero di risorse.
Un elemento di maggior capacità di
sviluppo collettivo che emerge da questa indagine sono le forme di coordinamento
sperimentate in questi ultimi anni sul piano sociale e culturale. Le amministrazioni
comunali hanno infatti scelto di dotarsi, per il settore del welfare, di uno strumento
di azione comune, l’Azienda Sociale del Legnanese, So.le, che è il soggetto a cui le
amministrazioni comunali del territorio hanno affidato la gestione dei servizi sociali e
la co-progettazione con il Terzo settore, similmente a quanto avvenuto in molti
territori lombardi. A sua volta, anche il mondo dell’associazionismo e della
cooperazione sociale ha scelto di dotarsi di uno strumento di coordinamento e
rappresentanza condiviso, il Forum del Terzo Settore dell’Alto Milanese. Negli ultimi
anni, poi, come già accennato sopra, la Fondazione Comunitaria Ticino-Olona ha svolto
una funzione di ulteriore rafforzamento della coesione sociale territoriale sul piano
delle politiche sociali e culturali. Essa è diventata un punto di riferimento
riconosciuto da tutti i più importanti attori locali, non solo per il finanziamento di
iniziative nel campo socio-assistenziale e culturale, ma anche per aver adottato un
ruolo di cerniera tra amministrazioni locali e Terzo settore, per la costruzione del
Piano di Zona delle politiche sociali del territorio.
Conclusioni
Il quadro tratteggiato consente di
fare alcune osservazioni riguardo agli interrogativi che erano stati posti nei
¶{p. 124}primi capitoli del presente volume. Anzitutto l’esistenza in
entrambi i territori di un’identità condivisa, pur tra attori molto diversi e il fatto
che questa identità sia molto legata alla vocazione economico produttiva storica della
zona. Anche la presenza di un tessuto di reti categoriali e associative diffuse, con
l’identificazione di luoghi comuni per la ricomposizione degli interessi dei corpi
intermedi per il rilancio dello sviluppo locale restituisce l’immagine di un territorio
non rassegnato all’individualizzazione e dunque alla resa nei confronti delle sfide
rappresentate dalle crisi economiche e sociali degli ultimi anni.
I due territori, Vigevanese e Alto
Milanese, non si sono arresi e non hanno smesso di cercare di rigenerare le loro
vocazioni economiche e sociali. In entrambi i casi, gli attori locali economici e
sociali stanno dando prova di tentare delle vie di resilienza, individuando alcune piste
di possibile sviluppo locale: un rinnovamento della capacità di produzione
manifatturiera di qualità che sappia specializzarsi meglio di fronte alle sfide della
concorrenza globale; un più stretto raccordo con il sistema formativo locale; una
relazione più intensa con il centro gravitazionale di Milano ma anche più capace di
riconoscere le specificità locali e che ne redistribuisca in modo più omogeneo la
capacità attrattiva; una maggior capacità di raccordo tra i molti soggetti della società
civile locale per rispondere in modo meno frammentato alle esigenze sociali e culturali
del territorio.
Nei due casi non sembrano mancare le
caratteristiche di identità, appartenenza e fiducia necessarie per innescare processi di
resilienza, nel senso non di semplice riproposizione di ricette del passato, da tutti
considerate superate, ma di riconnessione dei patrimoni di competenze ancora radicate
nel tessuto sociale ed economico, con nuove forme di sviluppo, in particolare
riproponendo in termini nuovi e rinegoziati la relazione con le spinte dello sviluppo
dell’area metropolitana milanese.
Ciò che appare ancora carente sono
gli strumenti istituzionali per aggregare gli attori locali attorno a obiettivi comuni,
riducendo i costi di coordinamento e dando così la possibilità di modulare e moderare le
scelte individuali
¶{p. 125}e di breve periodo di imprese, famiglie e
lavoratori per convergere su percorsi più sostenuti e sostenibili nel medio-lungo, in
modo concordato e negoziato con il sistema locale, metropolitano e regionale. Il venire
meno degli strumenti utilizzati negli anni Novanta e Duemila non ha dato luogo ad altri
strumenti e a strategie nazionali o regionali per attrezzare gli attori locali di tali
forme di coordinamento ed elaborazione comune. Dove tali strategie condivise e tali
percorsi di sostegno, pur individuati, non vengano dotati di risorse (non solo
economiche) e non siano governati in modo affidabile da soggetti autorevoli e
riconosciuti da tutti, il rischio che si sta già correndo è che siano le strategie delle
singole organizzazioni di impresa o individuali a prevalere e a essere non coordinate e
non sinergiche.
Note
[1] Un esempio di questa dinamica è la vicenda dell’Agenzia per la Formazione e il Lavoro. Se infatti per lungo tempo era stato il territorio Alto Milanese ad avere proprie strutture territoriali dedicate alla funzione di strumento per le politiche attive del lavoro e specificamente per questo era stata creata l’agenzia Eurolavoro, recentemente questa agenzia è confluita in un soggetto controllato da Città Metropolitana, cioè Afol-Ovest, pur mantenendo una base sul territorio.