Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c4
I dati ci restituiscono un’immagine di relazioni con le figure genitoriali complessivamente positiva ed equilibrata ma comunque con uno sbilanciamento verso il ruolo materno, maggiormente sentito dai bambini intervistati sia nei momenti di bisogno, sia di fragilità e di affettività. La figura paterna presenta maggiori tratti di autorevolezza e minore vicinanza emotiva ai figli. Cogliendo alcune suggestioni dalla letteratura, si possono quindi qualificare le relazioni madri-figli come affettive ed espressive e quelle padri-figli strumentali ed esecutive. La figura materna è inoltre quella a cui i bambini riconoscono il ruolo prevalente nell’interazione con la scuola. L’interesse per le attività scolastiche infatti vede prevalentemente coinvolte le madri. E questo elemento è da tenere in evidenza rispetto al tema dell’alleanza educativa scuola-famiglia.
{p. 143}
Tab. 4.9. Relazioni e interazioni con la madre
Mi capisce (%)
Mi ascolta (%)
Mi accetta (%)
Fiera di me (%)
Mi aiuta (%)
Tiene a me (%)
Attenta (%)
Parlare (%)
Sentimenti (%)
Severa (%)
Punizioni (%)
Credere (%)
Interesse (%)
Quasi mai o mai vera
1,1
0,0
2,2
1,1
2,2
1,1
1,1
2,2
0,0
33,7
56,5
1,1
1,1
A volte vera
6,5
13,0
3,3
5,4
5,4
1,1
4,3
8,7
2,2
41,3
31,5
5,4
3,3
Spesso vera
22,8
22,8
7,6
17,4
14,1
4,3
16,3
25,0
21,7
17,4
7,6
19,6
21,7
Quasi sempre o sempre vera
69,6
64,1
87,0
76,1
78,3
93,5
78,3
64,1
76,1
7,6
4,3
73,9
73,9
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tab. 4.10. Relazioni e interazioni con il padre
Mi capisce (%)
Mi ascolta (%)
Mi accetta (%)
Fiero di me (%)
Mi aiuta (%)
Tiene a me (%)
Attento (%)
Parlare (%)
Sentimenti (%)
Severo (%)
Punizioni (%)
Credere (%)
Interesse (%)
Quasi mai o mai vera
1,1
2,2
1,1
1,1
3,3
1,1
1,1
6,5
1,1
39,1
48,9
2,2
2,2
A volte vera
12,0
14,1
7,6
0,0
15,2
1,1
7,6
8,7
7,6
40,2
32,6
2,2
15,2
Spesso vera
16,3
19,6
7,6
13,0
17,4
3,3
20,7
30,4
20,7
16,3
10,9
25,0
26,1
Quasi sempre o sempre vera
70,7
64,1
83,7
85,9
64,1
94,6
70,7
54,3
70,7
4,3
7,6
70,7
56,5
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Da rilevare come l’aspetto della socializzazione normativa (con le connesse sanzioni) sia relativamente flebile, e leggermente sbilanciato verso la figura materna, su cui pare gravare maggiormente anche questo compito, oltre alla cura nel senso più tradizionale del termine. L’aspetto legato alle regole, alla loro comprensione, applicazione e violazione sarà oggetto di riflessione ulteriore nelle pagine successive quando si affronterà il tema dell’alleanza educativa.

4. Questa classe è...

Nella scuola Gelsomino, di cui abbiamo illustrato sin qui le caratteristiche generali, l’osservazione in aula è stata condotta da dicembre 2019 a fine febbraio 2020 su due classi che denomineremo Gelsomino 1 e Gelsomino 2. La scelta delle classi è avvenuta attraverso l’adozione di tre criteri: risultati del questionario, disponibilità delle docenti ad accogliere una ricercatrice in aula, segnalazione/indicazione da parte della dirigente e del suo staff assegnato al progetto. L’individuazione delle classi è quindi anche l’esito di un processo di autoselezione che non ci consente di considerare le caratteristiche che emergono come proprie dell’intera scuola, ma possono comunque fornire indicazioni preziose di un clima di istituto, e parallelamente di caratteristiche proprie di ogni classe, determinate dalla composizione degli alunni e dalla relazione di questi con le insegnanti, nonché dalla relazione degli insegnanti tra loro.
Le classi così individuate presentano alcuni tratti caratteristici comuni riferibili ad alcune dimensioni:
– orientamento alla performance;
– rapporto scuola-famiglia;
– socializzazione normativa.
La prima dimensione è di particolare rilevanza in quanto interferisce e condiziona sia le altre, sia l’acquisizione delle competenze. Orientamento alla performance significa un accento marcato e costante sull’esito scolastico, oggettivamente misurabile con un voto o con un giudizio. Questa dimensione ha tre attori che concorrono alla sua realizza{p. 145}zione: l’alunno, l’insegnante, il genitore. In entrambe le classi osservate la dinamica è simile: l’ansia da prestazione che i bambini vivono nel contesto scolastico è l’esito di una pressione extrascolastica, del tutto imputabile alle aspettative e al pressing psicologico esercitato dai genitori. Le famiglie esigono prestazioni scolastiche di altissimo livello, non è ammessa la défaillance, sono a malapena tollerate le motivazioni reali di non eccellenza (una certificazione BES per esempio) e sui bambini incombe costantemente il giudizio dei genitori prima ancora che delle insegnanti. Tali aspettative si qualificano inoltre come individuali e comparative: sono individuali in quanto riguardano per ogni famiglia il proprio figlio, in un’ideale competizione con se stesso, spronato a migliorare continuamente la performance o a mantenerla allo stesso livello; sono comparative perché inducono a un continuo confronto all’interno del gruppo classe in cui l’obiettivo tra bambini diventa non già l’apprendimento ma il riconoscimento della propria eccellenza. Si tratta quindi di un orientamento ai functionings, qualificati come risultati, esiti, voti, giudizi, indipendentemente dal fatto che questo produca capabilities, come funzionamenti di valore. Questa richiesta della prestazione da parte dei genitori attiva nei bambini un’ansia da prestazione che compromette la creatività e la fantasia (in quanto i bambini si limitano all’esecuzione formale del compito, sono meri esecutori di una consegna didattica), ostacola la cooperazione (la relazione con gli altri in vista di un obiettivo viene considerata come impossibile perché la spinta è individualistica), rende incapaci di accettare l’eventuale insuccesso (il calo della prestazione o il mancato raggiungimento dell’obiettivo innescano vere e proprie crisi identitarie, non limitate al senso di autoefficacia compromessa, cosa già di per sé di una certa gravità per l’età dei soggetti osservati, ma anche alla propria reputazione tra i pari). Il ruolo genitoriale in questa dinamica è di particolare interesse e richiama anche precisi stili educativi, che nel caso della scuola Gelsomino sono di tipo disciplinare statutario (esclusivamente per l’aspetto performativo).{p. 146}
Le insegnanti delle due classi reagiscono in modo tenue a questo pressing psicologico e con dispositivi poco efficaci: diminuzione delle verifiche e interrogazioni per limitare la situazione dell’assegnazione del voto (peraltro con conseguente critica da parte delle famiglie che sottolineano la mancanza di occasioni di verifica degli apprendimenti), iperprotezione dei bambini anche con accorgimenti pedagogicamente poco fondati («non uso mai la penna rossa per sottolineare le cose sbagliate nei compiti perché questo genera un impatto emotivo troppo forte nei bambini», insegnante classe Gelsomino 1), un clima di classe connotato da autorità mite, forte carica emotiva ed empatica, quasi una confusione di ruoli tra maestra e madre. La parola d’ordine a cui il corpo docente si conforma è «accoglienza», il cui significato però non rimanda alla comprensione delle differenze e alla loro valorizzazione, quanto piuttosto alla presa in carico emotiva degli alunni.
Con queste premesse, il rapporto tra famiglie e scuola è complesso. Si ravvisa una contraddizione in questo rapporto: le famiglie sono molto partecipi della vita scolastica, sia intesa come quotidianità sia come complesso di iniziative dell’istituto. Mostrano apprezzamento per le attività messe in campo dalle insegnanti ma puntualmente le commentano come non perfettamente adeguate, al di sotto delle attese, non eseguite in modo appropriato e competente. Criticano invece apertamente l’operato in classe: poche verifiche, troppi compiti a casa, scarsa efficacia nelle spiegazioni, spiegazioni troppo approfondite con ricadute sul timing del programma, scarsa conoscenza e uso delle tecnologie, inadeguatezza rispetto alle lingue straniere, solo per citare gli esempi più vistosi emersi dalle interviste e osservazioni. I bambini sono adultizzati a cominciare dall’organizzazione del loro tempo: sono bambini «con l’agenda piena», per i quali la scuola è una tra molte attività che saturano la settimana.
Siamo indubbiamente lontani da una desiderata alleanza educativa, ma anche dalla delega fiduciaria alla scuola e anche dal riconoscimento del ruolo e della professionalità dei docenti. Ci si avvicina piuttosto al modello teorizzato da Fischer [2003] e Perrenoud [1998], secondo cui i genitori {p. 147}della upper class sono esigenti e «consumatori di scuola», come se si trattasse di un bene acquistabile sul mercato e, in quanto tale, corredato del diritto di recesso, del reclamo da parte del consumatore e del diritto a esprimersi in termini di customer satisfaction. Questo atteggiamento si ripercuote sul clima di classe e sui modi di «fare scuola». La continua messa in discussione di competenze e capacità nel corpo docente produce un effetto perverso: quella stessa performance che viene inseguita come essenziale da parte dei genitori è in realtà mediocre, perché le richieste delle insegnanti nei confronti delle classi sono medie e non di eccellenza. Il timore o la minaccia tacita della continua intromissione genitoriale (sia come singoli nuclei familiari, sia come coalizioni di più nuclei, quando non addirittura dell’intera classe) conduce a obiettivi meno ardui, più facili da raggiungere in modo ottimale e per i quali sono richiesti sforzo, dedizione, impegno, perseveranza inferiori.
I due punti precedenti aprono la riflessione sul terzo: la socializzazione normativa, ossia il corredo di regole vigenti all’interno della classe. Su questo punto la fragilità della scuola è evidente: poche regole sia sulla condotta durante le ore di didattica, sia sull’intervallo, la mensa, la ricreazione; qualche episodica minaccia di punizione mai tradotta in prassi. Il modello adottato dalle insegnanti è quello che Lewin, Lippitt e White [1939] hanno definito come stile del laissez faire, ulteriormente corroborato dalla mancanza di regole coerenti all’interno della famiglia o di figure autorevoli dentro la famiglia preposte alla socializzazione normativa. Le famiglie degli alunni di entrambe le classi spesso demandano il compito di cura (e in parte educativo) a personale esterno alla famiglia (babysitter, tate, colf, talora nonni), rendendo ancora più complesso il processo di acquisizione delle regole. La mancanza di regole produce effetti a diversi livelli: in primo luogo interferisce con la didattica, la rende più lenta e faticosa; inoltre crea ambienti di apprendimento meno favorevoli, a cominciare dalla difficoltà di lavorare in gruppo (di cui si parlerà oltre); infine esalta una particolare agency infantile, quella priva di regolazione (i bambini sono scarsamente eteroregolati e questo genera anche una
{p. 148}scarsa capacità di autoregolazione). Inoltre, dal punto di vista strettamente normativo si verifica una pressoché nulla condivisione e spiegazione della regola, una conseguente non applicazione della regola, la non assimilazione della regola e infine l’incapacità dei bambini di traslarla efficacemente in altri contesti.
Note