Istituzioni per la pace
Teoria e pratica della sicurezza collettiva da Versailles alla ex Jugoslavia
Il tentativo di creare un sistema di sicurezza internazionale è stato uno dei progetti più ambiziosi del XX secolo. Necessariamente ambizioso, in quanto commisurato alla posta in gioco nell'era delle armi totali e delle ideologie di massa: la sopravvivenza stessa della specie umana. Da un lato il tentativo dovrebbe considerarsi fallito, se dalla fine della prima guerra mondiale si sono avuti nel mondo quasi cento conflitti armati; dall'altro esso non ha cessato di esercitare il proprio fascino, se una parte crescente dell'opinione pubblica mondiale identifica l'Onu come la sede esclusiva di risoluzione dei conflitti. Il progetto è stato messo a dura prova in molte occasioni dopo la fine della guerra fredda, che tante speranze aveva suscitato: basti ricordare le vicende del Golfo Persico, della Somalia e della ex Jugoslavia. Attraverso la ricostruzione delle diverse concezioni di sicurezza collettiva e l'analisi di alcuni casi esemplari (Abissinia, Corea, guerra del Golfo, Bosnia, Kosovo), l'autore sviluppa la propria argomentazione: non necessariamente le istituzioni internazionali devono essere forti per essere utili. Istituzioni relativamente deboli possono permettere, facilitando con la diplomazia la cooperazione tra Stati, risultati altrimenti impossibili. Paradossalmente, è una concezione non radicale e non massimalista, antica e scarsamente popolare tra i cittadini delle democrazie moderne, quella che maggiormente appare in grado di contribuire a mantenere l'ordine internazionale nel XXI secolo.