Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c6
6. L’atteggiamento dei dirigenti e dei capi
La successione degli atti attraverso i quali si
perfeziona il disegno che ho cercato di ricostruire, isolando la logica
«manageriale» della CM, ha tempi rapidissimi, certamente superiori a quelli
consentiti dalle condizioni materiali. Il risultato sarà, come vedremo, quello di
lacerare il tessuto politico originario della CM, creando spazi vuoti che
l’accelerazione dei ritmi di sviluppo copre, ma che saranno effettivamente colmati
con contenuti eterogenei sotto la spinta di sollecitazioni provocate, mediante
l’azione della segreteria, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori.
I comitati di CM, come si è detto, svolgono, tra
linea e maestranze, quel compito di cooperazione
strutturalmente vincolata che, ai vertici, è adempiuto dal CD. È tuttavia evidente
che questo canale discendente dell’informazione rischia di rimanere ostruito se la
metodologia del CD non è applicata ai livelli immediatamente inferiori. «È inutile
che io perda tutti i lunedì per fare nei riguardi vostri una cosa che voi poi non vi
sentite di fare nei riguardi dei vostri dipendenti»
[1]
E quando ci si chiederà se ‒ essendo la CM «nata come uno strumento per
sbloccare le strozzature esistenti nelle comunicazioni ascendenti e discendenti» ‒
«queste strozzature ci sono ancora o non ci sono più», la laconica risposta è «ci
sono ancora»
[2]
. E quando, in unità di contesto, ci si chiederà «cosa abbiamo (fin qui)
fatto e cosa c’è da fare per eliminarle» ovvero si pone l’interrogativo: «perché i
capi intermedi non fanno da interpreti?» (cioè non si abituano ad attivare il canale
di co¶{p. 74}municazione tra base e vertice là dove «comunicare vuol
dire fare capire le cose che si dicono»), la risposta è disarmante. C’è chi si
considera usato «come se fosse un telefono che può trasmettere qualsiasi cosa»,
mentre «questo telefono non se la sente di fare qualsiasi comunicazione». C’è chi
confessa come, per anni, sia stato intimamente esitante o «non convinto», perché
«impreparato» culturalmente. C’è chi, in termini ancora più espliciti, riconosce:
«non eravamo nelle condizioni di capire la CM e quindi non eravamo in grado di
diffonderla, mentre adesso chi la capisce ha ragione di non diffonderla» (e magari,
di sentirsi «dialetticamente indotto ad iscriversi alla CGIL»!)
[3]
.
Le risposte, quindi, possono anche variare,
secondo una gradualità però che raramente lambisce i limiti dell’aperta adesione
alla tesi sostenuta dal Direttore generale. «La scuola del dott. Bassetti» (così si
esprime uno dei suoi più vicini collaboratori
[4]
) non sembra in grado di realizzare le aspettative. Il gruppo direzionale
della Bassetti, infatti, non è compatto: una frazione di esso oppone una forma di
resistenza passiva alla CM, un’altra la ignora, un’altra infine ne contesta il
valore politico-culturale.
Ciò dipende dal fatto che Bassetti non si cura di
scegliersi «dirigenti su misura»: tra le prove selettive non figura quella della
loro disponibilità ad accettare la CM. Infatti, «io non ho selezionato i miei
dirigenti in funzione di questo che è un valore non richiesto al momento
dell’assunzione, che non mi sento di porre a condizione della collaborazione con me»
[5]
. L’accento di sincerità con cui la dichiarazione viene resa è
encomiabile: dall’uno all’altro capo del «telefono» non può esserci comunicazione
perché si parlano lingue diverse. Ma la dichiarazione contiene soltanto una
mezza-verità. L’altra è che, per quanto sia disposto a «credere» nella CM, il
diri¶{p. 75}gente ‒ come tale ‒ non è in pari misura disposto a
sacrificare a questa fede l’autorità che istituzionalmente gli compete. Pertanto, è
un controsenso «invitare i dirigenti a fare i conti con le strutture della CM perché
(queste) attuano una forma di condizionamento del loro potere»
[6]
. «La dinamica della CM rischia di farsi sopravanzare da quella
dell’azienda»
[7]
, si ammonisce con palese disappunto: orbene, i dirigenti non potranno
mai permettere che avvenga il contrario. Equivarrebbe ad abdicare agli interessi di
ruolo di cui sono portatori, interessi che ‒ per quanto non interiorizzati ‒ sono
oggettivamente ostili ad una reale modifica nella distribuzione differenziale delle
posizioni di autorità sulla quale si regge l’ordinamento delle aziende moderne
[8]
.
Se l’esigenza di difendere prestigi di
status minacciati, di conservare legami di solidarietà
o centri di potere che rischiano di rompersi è percepita al massimo livello
direttivo, non deve sorprendere che, come ho già avuto occasione di ricordare
[9]
, la tensione aumenti ai livelli gerarchici inferiori. «Nella CM si ha un
primo inconveniente, lo scavalcamento di tutti i capi intermedi ‒ si denuncia
energicamente ‒ perché c’è un rapporto diretto tra il vertice locale e la
maestranza»; i capi intermedi «si sentono tagliati fuori da una serie di decisioni»
[10]
. Si è tentata ogni via ‒ pare ‒ per liberarli da questo senso di
frustrazione, ma i risultati ‒ si dice ‒ sono stati deludenti. Certo, la via più
diretta passa attraverso la svalutazione degli organi formali di CM, negando
espressamente che essi siano dei centri decisionali
[11]
. Possono soltanto esprimere «raccomandazioni» che
è compito esclusivo del capo rendere operative. Ma è anche la via più diretta per
costringere i comitati a recitare di essere ciò che non possono farsi: un
condizionamento effettivo¶{p. 76} del potere dei capi; la maniera
più semplice per portare argomenti a favore dell’opinione che i comitati di CM non
funzionano, né possono funzionare.
Vi è quindi ragione di dubitare che il rimedio sia
appropriato. Eppure è l’unico applicato con risolutezza. Ma, allora, quale valore
pratico ha il consenso sulla necessità che la consultazione preventiva (intesa come
metodo di lavoro «di gruppo» all’interno delle singole direzioni) deve svolgersi
lungo la linea gerarchica? Perché ammettere (e promettere) che «quanto avviene in
sede di CD potrebbe avvenire, gradino per gradino, al di sotto»
[12]
, quando poi si è costretti a riconoscere (e rimpiangere) che la
consultazione «al di sotto», e man mano che ci si discosta
dal vertice, dà scarsa prova di sé?
A ben vedere, la risposta a questi
spontanei interrogativi è meno difficile di quanto possa apparire. «Certamente, al
livello inferiore di quello dei direttori [la consultazione e il lavoro di gruppo]
sono possibili. Spingersi verso un decentramento più ampio potrebbe
determinare una situazione di anarchia»
[13]
. In altri termini, il decentramento del governo dell’impresa è attuabile
nella misura in cui il tipo di equilibrio in atto tra i rapporti di potere e gli
àmbiti di competenza aziendale non venga alterato in modo da ledere gli interessi
vitali dell’impresa stessa. Dopotutto, è lo stesso Direttore generale ad affermare,
con termini certamente inequivocabili, che «l’azienda non ha la struttura di una
democrazia, ma di uno Stato in guerra»
[14]
: la sovranità del gruppo dirigente, cioè, è la condizione di base
dell’efficienza aziendale. Fino a che punto quest’ultima tollera la
democratizzazione o l’estensione di condizionamenti del potere imprenditoriale
attraverso lo sviluppo di conflitti gerarchici o addirittura politici? Questa volta
la risposta è meno sicura. Anzi, è contraddittoria. Da un lato, si subisce
l’impermeabilità della tecnostruttura aziendale rispetto alla politica di CM,
dall’altro si continua a prati¶{p. 77}care la politica di CM con la
«coscienza del fatto che, quando si lavora su questa materia, non si lavora solo per
l’azienda, ma anche per dei fini più vasti che toccano la società in cui viviamo»
[15]
. Ciò dipende, probabilmente, dalla sovrapposizione dei ruoli svolti da
Bassetti ‒ imprenditore (come tale interessato alla efficienza aziendale) e uomo
politico (come tale interessato alla verifica della ideologia di cui è portatore)
[16]
‒ e dalla difficoltà di mediarne il conflitto latente.
Bassetti-imprenditore, infatti, adotta per il reclutamento dei propri dirigenti il
criterio consistente nell’accertamento del grado di capacità di soddisfare le
aspettative di ruolo difendendo la propria autonomia sia nei confronti dei vari
livelli gerarchici della linea sia, a
fortiori, nei confronti della massa dei
lavoratori, ogniqualvolta un atteggiamento diverso possa tradursi in un fattore
limitante l’efficienza dell’impresa e, quindi, il suo successo in un mercato
altamente competitivo
[17]
. Ma Bassetti-uomo politico si espone, in pari tempo, al rischio di una
sconfitta poiché, come si è detto poc’anzi, i comitati si riducono a recitare una
parte che non possono svolgere.
A ragione, quindi, si costaterà che «là dove ci si
è attenuti rigidamente alla procedura formale si sono riscontrate delle difficoltà
ad operare efficacemente»
[18]
. Una vicenda verificatasi nello stabilimento di R., nei mesi tra agosto
e ottobre del 1966, conferma pienamente il dato di esperienza. Senonché, con
altrettanta ragione si replicherà che il contatto diretto tra capo e dipendenti,
fuori degli istituti della CM «oggi fa paternalismo, perché prematuro»
[19]
: evidentemente, non basta dichiarare che «se in sede di comitato tutte
le opinioni possono essere espresse senza conseguenze per nessuno, altrettanto deve
poter accadere nei reparti»
Note
[1] Intervento di Bassetti nel CD dell’11 febbraio 1963.
[2] Interventi nel CD dell’11 febbraio 1963.
[3] Interventi nel CD dell’11 febbraio 1963.
[4] Verbale della riunione del CD dell’11 febbraio 1963.
[5] Intervento di Bassetti nella riunione sindacale del 6 settembre 1965.
[6] Intervento di Bassetti nel CA del 19 giugno 1964.
[7] Verbale della riunione del 30 maggio 1963.
[8] V. Dahrendorf, Classi e conflitto di classe nella società industriale, cit., pp. 306 ss., spec. pp. 313 s., 443 s.
[9] V. retro n. 4, in fine.
[10] Verbale del CD del 10 dicembre 1962.
[11] Verbali del CA del 20 gennaio 1962 e del 9 marzo 1963.
[12] Verbale del CD del 10 dicembre 1962.
[13] Verbale del CD del 10 dicembre 1962.
[14] Verbale del CD del 10 febbraio 1963.
[15] Intervento di Bassetti nel CA del 23 giugno 1961.
[16] Intervento di Bassetti nella riunione sindacale del 6 settembre 1965.
[17] V. retro, spec. n. 1.
[18] Verbale del CA del 20 gennaio 1962.
[19] Verbale del CA del 17 luglio 1962.
[20] Verbale del CA del 22 gennaio 1959.