Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c4
A proposito del rapporto tra natura e
sovrannatura, Sodano prosegue: «ricondurre la malattia a cause razionali,
¶{p. 204}consentiva, invece, una via esclusivamente naturale, fatta di
medici e di medicine e una via miracolosa, opera di Dio, unico creatore di quella realtà
naturale e, quindi, unico in grado di sovvertirla»
[12]
. Come il caso in esame ha mostrato, la guarigione di Carlo si faceva risalire a
due soli, possibili, ordini di cause: l’immaginazione e il miracolo; dove il primo era
sinonimo di ordine naturale, come esplicitava il medico di casa, Vincenzo de Iorio, in sede
processuale. A dispetto di una simile equazione, immaginazione-natura, l’azione
dell’immaginazione non era parificata a quella farmacologica: piuttosto, la si collocava un
gradino più in alto sull’immaginaria scala dell’essere, dove all’apice sedeva Dio. Così,
elevata, ma non abbastanza da oltrepassare il confine della natura, ne diveniva essa stessa
il discrimine; la linea di demarcazione tramite la quale era possibile definire e
riconoscere – via negationis – la portata e il darsi dell’intervento
miracoloso. Ne risultava un taglio netto; profondo: l’immaginazione umana spazzava via
l’intervento divino e, viceversa, l’intervento divino metteva alla porta l’azione della
fantasia umana. Tertium non datur!
Émile Durkheim, uno tra i più lucidi
teorici della storicità del soprannaturale, sosteneva che tale discrimine dovette imporsi
con lo sviluppo delle scienze: «perché di certi fatti si potesse dire che sono
soprannaturali, bisognava già possedere la consapevolezza che esista un ordine naturale
delle cose, cioè che i fenomeni dell’universo sono legati tra loro secondo rapporti
necessari, chiamati leggi [...]. Orbene, questa nozione di un ordine necessario è stata
costruita a poco a poco dalle scienze positive»
[13]
. Compiendo un ulteriore passo, si potrebbe sostenere che, in età moderna, la
linea di demarcazione divenne ancor più recisa con lo sviluppo dei modelli scientifici
meccanicistico e corpuscolare. Pure, che la nozione di «ordine necessario» non interessò
solo la ¶{p. 205}natura, ma investì la stessa sfera del soprannaturale: come
ricordato, a partire dall’età moderna, il miracolo divenne un «fatto da provare»; la sua
dimostrazione fu percepita come necessaria per affermarne l’esistenza. Prima, continuava
Durkheim, «fintanto che non si conosceva ciò che l’ordine delle cose ha di immutabile e di
inflessibile, finché vi si vedeva l’opera di volontà contingenti, si doveva trovare naturale
che queste o altre volontà potessero modificare arbitrariamente»
[14]
. Nella prima età moderna, l’Occidente conobbe certo quest’area di arbitrio;
nella quale impazzavano «volontà contingenti»; dove, al più, la realtà obbediva a briglie
invisibili: cause o qualità occulte. Tale dimensione dell’essere si configurava come un
campo di forze teso tra la brulla natura – dominio della tecnica – e il sovrannaturale –
dimora del divino e dimensione del miracoloso. Alcuni definirono questa terra di mezzo
«preternaturale». In essa serpeggiavano fenomeni tra i più bizzarri; essa accoglieva ed era
in grado di dar ragione (secondo una logica ora sinuosa) a manifestazioni meravigliose come
la teratologia (i parti mostruosi), l’azione terapeutica di erbe, metalli e minerali (si
pensi alle proprietà «magiche» del magnete); di spiegare l’azione a distanza della fantasia
e l’influenza degli astri. Una vivacità che a metà Settecento finì per essere ammansita; una
fascia ontologica destinata a essere schiacciata dal peso di una nuova concezione della
razionalità (meccanica) e del divino. Ammettevano Daston e Park: «all’inizio del XVIII
secolo essa [la meraviglia] si trovava ormai quasi invariabilmente in brani che
glorificavano Dio attraverso le sue opere. Inoltre, le opere glorificate – la geometria dei
fiocchi di neve, l’anatomia dell’occhio umano, la meccanica celeste del sistema solare, il
rapporto tra le nascite di maschi e di femmine – appartenevano a un genere più familiare
rispetto ai gatti a due teste, alle sorgenti pietrificanti, ai bambini con denti d’oro e ai
soli multipli, che avevano costituito gli oggetti della meraviglia nella filosofia naturale precedente»
[15]
. Accadde così, continuano le studiose, che «alla metà del
¶{p. 206}XVIII secolo la meraviglia – e quindi la sua dimensione ontologica,
il preternaturale – era ormai sprofondata, agli occhi degli uomini colti, al livello dello
sciocco e per di più frequentava cattive compagnie. Per quanto concerneva i filosofi, la
meraviglia (eccetto le effusioni stilizzate della teologia naturale) era stata completamente
consumata dallo stupore cartesiano e nettamente distinta dalla curiosità»
[16]
.
Tolte importanti eccezioni, il
preternaturale godette di longa vita nelle aree culturali di matrice
protestante, dove perlopiù aveva attecchito e dove i santi, le loro reliquie, i loro
miracoli, erano stati polverizzati dal torchio della critica luterana e calvinista. Ne dà
ragione Francesco Paolo de Ceglia in Il segreto di san Gennaro: «Dio
infatti, non operando più tanto in maniera diretta e discreta attraverso puntuali miracoli,
si serviva della Provvidenza per fornire al creato, in modo indiretto ma continuo, le forze
di cui esso abbisognava al fine di compiere meraviglie. Che cos’erano infatti queste ultime
se non miracoli rudemente ricacciati in un ordine naturale che per contenerli doveva
necessariamente allargare il proprio territorio d’azione?»
[17]
.
Non ultimo, nel calderone del
preternaturale trovavano posto le intelligenze, benigne o maligne che fossero. Operatori
spirituali ritenuti responsabili di guarire o di far ammalare chi capitasse loro sotto tiro.
Si credeva, difatti, che tale genia agisse sull’immaginazione del fortunato, o spesse volte
del malcapitato, e, attraverso questa, sul suo corpo; soprattutto si pensava che i demoni
maligni fossero in grado di sparigliare le immagini mentali della vittima, illudendo il
visionario, facendogli intravedere (e quindi credere) quello che non è. Walker, addirittura,
sosteneva che l’azione di un demone – e su questo insisteva: la sua azione divergeva
rispetto a quella delle qualità occulte – poteva estendersi alla parte superiore dell’anima
umana; all’intelletto, conducendo la vittima alla follia o inducendola a compiere azioni
moralmente deplorevoli
[18]
. Va da sé che, con l’avvi¶{p. 207}cendarsi del secolo dei Lumi,
il restringimento del bacino del preternaturale e la seguente, netta, contrapposizione tra
dimensione naturale e sovrannaturale, dovette avere come conseguenza la crescente
neutralizzazione delle succitate creature spirituali, quindi la loro progressiva fuoriuscita
dall’orizzonte mentale degli uomini e delle donne – o almeno dei dotti – dell’epoca. Non è
un caso che, come si è provato, i Colmeta, gli avvocati pro causa,
avessero citato un testo di Onorato Fabri, espungendone un riferimento, per nulla marginale,
al demonio.
La sempre maggiore messa in discussione
dell’esistenza di entità spirituali ebbe conseguenze anche sul piano della medicina. Sodano
spiega che «l’eliminazione delle origini sovrannaturali della malattia significava, quindi,
la rottura con le componenti magiche della guarigione e significava annientare quel mondo
invisibile. Fatto di oscuri esseri che, in combutta o meno col demonio, inducevano infermità
ed erano altrettanto in grado di guarirle»
[19]
. Rottura con entità occulte; ma anche con qualità occulte, pietra angolare, tra
l’altro, della Magia naturale di Giambattista Della Porta. Alla luce di
ciò, la scelta del medico de Iorio di citare, tra tutti, proprio il napoletano, acquisisce
un senso inedito: più che delle qualità occulte, una ripresa della sua ripartizione della
realtà, all’interno della quale l’immaginazione finiva nell’alveo della natura.
Difficilmente Della Porta – con buona pace di Daston e Park – sembra appartenere alla turba
dei filosofi preternaturali. Anzi, fu quest’ultimo, tra i primi e più noti, a contrapporre
natura e sovrannatura, senza concessioni a eventuali intercapedini ontologiche o
preternaturali corridoi di servizio. È apparso fosse questo il lascito che, oltre un secolo
dopo, il concittadino de Iorio – e più in generale i medici del suo tempo – fece proprio.
Purtuttavia, non lascia indifferenti il
rilevamento dell’espressione «preternaturale» all’interno della perizia del medico Isidoro
Bacchetti. Si è ipotizzato che tale locuzione tradisse un’intenzione nascosta: che l’autore,
ricacciando l’immaginazione in quella nebulosa di essere, a metà tra la
¶{p. 208}natura e il sovrannaturale, volesse chiudere definitivamente i
conti con l’idea di fantasia creatrice. In altre parole: svuotato il preternaturale,
svuotata l’immaginazione delle sue pretese. Se così fosse, il perito si mostrerebbe, ben più
del medico de Iorio, «uomo del proprio tempo»; esponente, più di altri, in questo contesto,
di una concezione meccanicistica della medicina. Cosa non peregrina, in definitiva, dal
momento che preferiva citare Hoffmann piuttosto che Della Porta.
Ridotta all’osso, d’ora in avanti – e
fino a una sua riabilitazione in ambito artistico, nell’Ottocento, e politico, nell’autunno
caldo del ’68 – all’immaginazione si imputerà la grave colpa di illudere. Riprendendo una
prospettiva già nota presso i filosofi antichi, nel Settecento essa fu contrapposta al
giudizio assennato. Prese piede, allora, una «nuova concezione dell’immaginazione
patologica, intesa come terreno fertile per l’entusiasmo, la superstizione e le meraviglie»
[20]
. Era la fantasia a illudere sull’esistenza di vampiri succhiasangue, di streghe
e megere, di lupi mannari che ululavano, malinconici, alla luna piena. Nel
Congresso notturno delle Lammie (1749) Girolamo Tartarotti
rubricava la stregoneria sotto le malattie dell’immaginazione, dove il patto tra i demoni e
la malefica, di là dall’essere reale, era ricondotto all’autosuggestione della donna o
all’impiego da parte della stessa di unguenti allucinatori. Un’interpretazione che potrebbe
farsi risalire, ancora una volta, e in tempi non sospetti, a Giambattista Della Porta. Nella
Magia naturale, quest’ultimo aveva pubblicato la ricetta del
lamiarum unguentum: una scelta editoriale che, a quanto pare, aveva
suscitato il disappunto di Jean Bodin o di chi per lui. Si aggiunga il caso del lupo mannaro
baltico, portato alla luce che non è molto da Carlo Ginzburg e Bruce Lincoln. Protagonista
era un contadino della Livonia, conosciuto col nome di «vecchio Thiess». Nell’ambito del suo
processo, svolto sul tramontare del Seicento (1691), le autorità si domandarono se la
convinzione del vecchio di trasformarsi in bestia non fosse solo «falsa immaginazione»
[21]
. Anche l’arcivescovo di
¶{p. 209}Trani, Giuseppe Davanzati,
nella sua Dissertazione sopra i vampiri – stampata postuma a Napoli nel
1774, ma già disponibile sotto forma di manoscritto attorno agli anni Trenta dello stesso
secolo – assegnava al fenomeno dei ritornanti «per unica causa [...] la sola fantasia». Lo
asseriva non senza preoccupazioni. Temeva, difatti, che una simile interpretazione – come la
ragione moderna, odisseica, presa ad oggetto in Dialettica
dell’illuminismo, tanto abbacinante da finire oscurata
[22]
– potesse ritorcersi contro quanto si intendesse difendere: la fede. «Se mai
questa [la fantasia] fosse la cagione di simili apparizioni, ne seguirebbe un grandissimo
assurdo, e sarebbe che si potrebbe ormai dirsi addio ai veri miracoli, sarebbero inutili i
processi delle canonizzazioni de’ santi, la sagra Rota su questa incumbenza si potrebbe
chiudere affatto, non si distinguerebbe più fra un vero miracolo ed uno apparente, ogni cosa
sarebbe dubia ed in confusione»
[23]
. Un rischio, correggeva Davanzati, da cui le autorità apostoliche ben si
guardavano, dimostrando la santità del candidato sulla base delle virtù eroiche, più che sui
miracoli – secondo lo slittamento proposto da Galasso, a cui si è fatto riferimento
[24]
.
Note
[12] Ivi, p. 278.
[13] É. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa. Il sistema totemico in Australia, trad. di C. Cividali, Milano, Mimesis, 2013, pp. 78-81 (ed. or. Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le système totémique en Australie, Paris, Alcan, 1912).
[14] Ibidem.
[15] L. Daston e K. Park, Le meraviglie del mondo, cit., p. 274.
[16] Ivi, p. 278.
[17] F.P. de Ceglia, Il segreto di san Gennaro, cit., p. 99.
[18] D.P. Walker, Spiritual and Demonic Magic, cit., p. 76.
[19] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia, cit., p. 278.
[20] L. Daston e K. Park, Le meraviglie del mondo, cit., p. 292.
[21] C. Ginzburg e B. Lincoln, Il vecchio Thiess. Un lupo mannaro baltico tra caso e comparazione, Roma, Officina Libraria, 2022, p. 34 (ed. or. Old Thiess, a Livonian Werewolf: A Classic Case in Comparative Perspective, Chicago, The University of Chicago Press, 2020). Cfr. inoltre B.C. Southgate, The Power of Imagination, cit., pp. 283-284.
[22] M. Horkheimer e T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966 (ed. or. Dialektik der Aufklärung, Amsterdam, Querido, 1947).
[23] G. Davanzati, Dissertazione sopra i vampiri, Napoli, Presso i Fratelli Raimondi, 1774, p. 194. Per una ricostruzione ben documentata del fenomeno, cfr. il recentissimo F.P. de Ceglia, Vampyr. Storia naturale della resurrezione, Torino, Einaudi, 2023 e N. Groom, Vampiri. Una nuova storia, Milano, Il Saggiatore, 2019 (ed. or. The Vampire: A New History, New Haven-London, Yale University Press, 2018).
[24] G. Davanzati, Dissertazione sopra i vampiri, cit., p. 196; G. Galasso, L’altra Europa, cit., pp. 73-75.