Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/c3
Il vicario di Cristo, che in
principio non ebbe alcuna responsabilità ai fini della convocazione del medico, però,
veniva tirato in causa adesso, a conclusione dell’introduzione della disamina. Al
pontefice, il medico rivolgeva il suo ultimo e più grande appello: «dopo aver esaminato
queste opere meravigliose, compiute da un così grande uomo, non potrete non collocarlo
nel numero dei santi affinché i cristiani affidino a lui le preghiere più ferventi per
la maggior gloria di Dio»
[138]
.
¶{p. 174}
Nelle
animadversiones, tra le altre cose, il promotore della fede
aveva dedicato alcuni punti al tema della vis imaginativa. Di
conseguenza, anche Bacchetti non poté esimersi dal farlo. Riservò all’argomento una
sezione relativamente ampia della sua dissertazione (punti 232-244). Dopo aver ripreso
sommariamente la tesi dell’avvocato del diavolo – che «deduceva dalla veemente
immaginazione la guarigione del chierico (ad vehementem “sanati clerici”
imaginationem proponendam descendit)»
[139]
– esordiva con una tesi. Secca: «i medici mostrano abbondantemente che
diversi cambiamenti sorgono nell’uomo dall’immaginazione (diversas in homine
mutationes ab imaginatione oriri)»
[140]
. A tal prova, citava un passo tratto dall’opera pubblicata postuma
De motu animalium (prop. 225, cap. 21) del fisiologo e
matematico napoletano Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679):
perché da una semplice apprensione di un oggetto terribile, il cuore è improvvisamente ritratto e diminuito nelle sue pulsazioni. Diversamente, dall’apprensione di un oggetto piacevole, e a lungo bramato, il battito del cuore aumenta sussultando. Certamente nessuno sano di mente negherà che un tale sentimento di paura o gioia sia comunicato attraverso i nervi del cervello, sede dell’immaginazione, al cuore [141] .
Se così fosse, proseguiva il medico,
«è possibile naturalmente che tali cambiamenti nel corpo organico dell’uomo possano
suscitare malattie diverse e gravi, come insegnano più apertamente gli esperimenti della medicina»
[142]
. A tal proposito, portava l’esempio di un ragazzo che, alla vista di un cane
di grossa taglia, aveva avuto tanta paura da ammalarsi di epilessia. Non solo:
l’immagine della bestia lo aveva ¶{p. 175}impressionato al punto che la
malattia tornava a insorgere nella sua forma parossistica ogni volta che l’epilettico
udiva un abbaiare minaccioso
[143]
. O il caso, attribuito a Galeno, del giovane grammatico che finiva
sopraffatto dall’epilessia ogni volta che si raccoglieva nello studio, quando insegnava
con veemenza o gli capitava di inalberarsi contro il proprio uditorio
[144]
. Casi che facevano coppia con quello, anch’esso noto, di Girolamo Cardano:
il medico e filosofo riusciva ad alleviare i dolori della gotta tramite la
concentrazione intellettuale, sebbene questi tornassero a opprimerlo una volta dismesso
il lavoro
[145]
.
Allo stesso tempo, è anche certo
(certum itidem est), continuava Bacchetti, che la mente, per
affettazione, possa indurre negli umori grandi cambiamenti, anche permanenti
[146]
. In controluce – la luce della tradizione psico-medica – traspaiono le
parole del medico belga Thomas Fienus (q. 10, conclusio 36) a
proposito dell’immaginazione pestilenziale: «l’immaginazione della peste muove una paura
intensa, la paura muove gli umori maligni, putridi e pestilenziali latenti nel corpo
dell’immaginante, e questi movimenti causano la peste»
[147]
; o, venendo a tempi più maturi, risaltano le tesi che Carlo de Matta
opponeva a Daniel Sennert e per cui l’immaginazione non agirebbe per se,
directe, et propria virtute, ma muovendo gli umori nel corpo (pars III,
cap. 19, nr. 13)
[148]
. Infine, i passi di Lambertini, secondo cui la fantasia non opererebbe
per se, ma solo per accidens, mescolando
gli umori
[149]
. Queste eminenti personalità prendevano parte a una turba che, a sua volta,
¶{p. 176}faceva capo all’autorità di Tommaso. Il Doctor
communis, «che aveva risolto tanti problemi quanti erano stati i miracoli
da lui compiuti» – invertendo i termini di una locuzione che il teologo Jean Gerson
(1363-1429) attribuiva al papa Giovanni XXII
[150]
– nel tentativo di sconfessare la credenza nel potere del fascino,
contestava la pretesa che l’anima potesse modificare la materia del corpo, direttamente
e senza usufruire di intermediari fluido-spirituali, come gli umori, appunto, o gli
spiriti (pneumata) (Summa theologiae, I, q.
117, art. 3, ad. 2). Certo, rispetto a quanto detto Bacchetti vergava: Verum
et contrario negandum sane non est, quod, ut a phantasia plures morbi possunt
excitari!
[151]
Per altra parte, riconosceva che
«dalla fantasia possono derivare anche le guarigioni di quelle affezioni che consistono
nel vizio dei nervi»
[152]
. Basterebbe che la mente fosse affettata all’improvviso per sorprendere un
simile vizio ritirarsi. A tal proposito, l’antichità forniva un altro esempio. Questa
volta era Erodoto a tramandarlo (lib. I, cap. 85, nr. 35): «Il figlio muto di Creso,
quando vide un soldato persiano attaccare suo padre, subito gridò: oh uomo, non uccidere
Creso! Da quel momento in poi utilizzò la parola per tutta la sua vita»
[153]
.
Giungeva, quindi, a esaminare il
caso clinico di Carlo: l’emottisi polmonare con recisione dei vasi sanguigni e
marcescenza dei polmoni. Circa il probabile intervento dell’immaginazione, il perito si
spingeva ad ammettere: «non neghiamo che, parimenti, dall’immaginazione eccitata da
qualsiasi affetto della mente, i vasi sanguigni aperti potessero essere legati assieme e
quindi sopprimere l’emorragia per qualche tempo»
[154]
. Per qualche tempo: il medico ammetteva ¶{p. 177}che
l’immaginazione fosse in potere di rimarginare i vasi sanguigni lesionati, sebbene non
acconsentisse ad ammettere che la guarigione potesse perdurare nel tempo. Nessuno
avrebbe potuto essere certo che quegli stessi vasi, in futuro, non sarebbero tornati a
sanguinare. Ergo: «negava con riluttanza che queste malattie interne alle parti solide
del corpo possano mai essere curate dai giochi dell’immaginazione (phantasiae
ludis internos quoque solidarum partium morbos illos sanari unquam posse)»
[155]
. E, a scanso di equivoci, ne forniva un elenco nutrito: «aneurismi,
ossificazioni, ascessi, cancrena, tumori, ulcerazioni e persino emottisi abituali, che
derivano dalla lacerazione dei vasi sanguigni dei polmoni»
[156]
. Che così fosse, concludeva il punto, lo attestava l’esperienza. Tutte le
malattie elencate, «nella storia della medicina, non sembrano essere state curate da
alcuna forza dell’immaginazione (nam talia certe quidem vitia nusquam in
historia medica apparet, a quibusvis imaginationis viribus fuisse sanata)»
[157]
.
Carlo de Vivis si era ammalato di
«emottisi mortale», come aveva sentenziato il medico de Iorio (Caroli de Vivis
morbus, vere habitualis, et mortifera haemoptysis esset)
[158]
. Nonostante ciò, il promotore della fede lo negava, continuava Bacchetti,
dimostrando di mal interpretare sintomi come «il forte dolore al petto, un’aggiunta di
sangue allo sputo, nella tosse, e in particolare nella febbre ecc.»
[159]
. A sostegno, vi erano gli ipse dixit delle autorità
presenti e passate: Herman Boerhaave (1668-1738), che per primo dimostrò la correlazione
tra sintomi e lesioni; Friedrich Hoffmann (1660-1742) medico, chimico e matematico, a
cui si legava il nuovo indirizzo meccanicista della scienza – nel 1693, presso la
facoltà medica di Halle «gli si concesse una cattedra [...] ¶{p. 178}di
filosofia naturale e cartesiana»
[160]
. Invero, nelle cause religiose, i nomi di Boerhaave e Hoffmann iniziarono a
spuntare «timidamente»: rispettivamente nelle animadversiones per
la beatificazione di Francesco de Geronimo – preparate in vista della congregazione
antepreparatoria del 1767 – e per la canonizzazione di Gregorio
Barbarigo, compilate nel 1759
[161]
. Il perito, poi, risalendo la storia, citava Areteo di Cappadocia, vissuto
tra il III e il II secolo: «questi segni sono visualizzati dai più famosi professori di
medicina per indicare l’emottisi». «Emottisi vera e abituale», sottolineava, «che non è
affatto la stessa cosa che vomitare sangue»
[162]
. Semplicemente.
La circostanza escludeva del tutto
che la malattia potesse essere curata via imaginationis, come,
invece, sarebbe stato possibile per altri disturbi: quelli nervosi, citati dalle
autorità care all’avvocato del diavolo – i vari Francisco de Araujo, Tommaso de Vega,
Marcello Donati, Paolo Zacchia, il cardinale Federico Borromeo e Ludovico Muratori.
Quindi, «quando Carlo de Vivis fu improvvisamente liberato da una malattia incurabile
essa era innegabilmente non attribuibile alla stessa immaginazione. Ma solo
all’intervento del venerabile Francesco Caracciolo»
[163]
.
Risolveva: «dobbiamo respingere
quell’ipotesi con la quale il promotore cerca di convincerci che l’infermo Carlo,
infiammato dalle forze dell’immaginazione, fosse sicuro di essere guarito
praeter naturae modum»
[164]
. A differenza di quanto Bacchetti sosteneva, però, quest’ultima espressione
pare assente nelle animadversiones. Tuttavia, il fatto che fosse
stata tirata in ballo non è cosa trascurabile, considerata la lunga e complessa storia
del termine e le distintive
¶{p. 179}implicazioni onto-epistemologiche
che esso presuppone. Tutto quello che accade «in modo straordinario (rispetto
all’ordinario corso della natura) anche se non meno naturalmente», tentò di definirlo il
severo Meric Casaubon (1599-1671) in un suo trattato contro l’entusiasmo
[165]
. Dove per «ordinario corso della natura» si intendeva perlopiù «la filosofia
naturale delle regolarità aristoteliche»
[166]
. Erano questi i limiti che i filosofi preternaturali intendevano sospingere.
«L’apparizione di tre soli nel cielo, la nascita di gemelli siamesi, il pesce minuscolo
in grado di fermare una barca in mare aperto, l’antipatia tra la pecora e il lupo, le
figure di sfondo nel marmo fiorentino, le proprietà occulte di certi animali, piante, e
minerali, le specie esotiche come i coccodrilli e gli uccelli del paradiso, le piogge di
grano e sangue, il potere dell’immaginazione di imprimere la materia», ecco un elenco,
estendibile all’infinito, collezionato dalla storica Lorraine Daston
[167]
. Tutti fenomeni che, da un lato, «suscitavano meraviglia perché il loro modo
di operare era imperscrutabile alla percezione»; dall’altro semplicemente perché rari
[168]
. Ma non si trattava solo di collezionare animali, piante e oggetti dalla
forma, dal colore e dalle proprietà più o meno magiche
[169]
. Oltre ad «ampliare grandemente il dominio dei fenomeni che richiedevano una
spiegazione filosofica», continuava la studiosa, «la filosofia preternaturale moltiplicò
la gamma delle spiegazioni [...] introducendo nuovi tipi di cause – le influenze
astrali, le virtù plastiche, l’immaginazione, le simpatie e le antipatie – per
incontrare la sfida dei suoi nuovi explananda»
[170]
.{p. 180}
Note
[138] Ibidem: «atque utinam. Beatissime Pater, Divinus Ille Spiritus, qui Pontificis Max. animum peculiari modo gubernat; eam tibi ingerat mentem, ut postea quam mira haec perpenderis opera a tanto viro peracta, eum in sanctorum numerum referendum constituas: ut majori inde Dei gloria ferventiores ad eum preces christiani homines fundant».
[139] Ivi, nr. 232, p. 50.
[140] Ivi, nr. 233, p. 51.
[141] G.A. Borelli, De motu animalium..., 2 voll., vol. II, Romae, Ex Typographia Angeli Bernabò, 1681, pp. 463-464.
[142] Dissertationes medico-physicae, in PSD, nr. 233, p. 51: «ex quibus sane sit, ut ejusmodi organici corporis mutationes in homine, diversos, gravesque morbos valeant excitare, uti medicinae experimenta apertissime docent».
[143] Ibidem.
[144] Ibidem.
[145] Riportato in DSDB, DI, nr. 30.
[146] Dissertationes medico-physicae, in PSD, nr. 233, p. 51.
[147] T. Fienus, De viribus imaginationis tractatus..., Lovanii, In Officina Typographica, Gerardi Rivii, Typographi iurati, 1608, p. 94: «imaginatio pestis inducit magnum timorem, qui timor movet malignos, putridos et pestilentes humores in corpore imaginantis latentes, qui moti pestem faciunt».
[148] C.F. De Matta, Novissimus de sanctorum canonizatione tractatus, cit., p. 269.
[149] DSDB, DI, nr. 21.
[150] L’originale recita: «tot miracula fecit quot determinavit quaestiones» (aveva fatto tanti miracoli quanti erano stati i problemi da lui risolti), cit. in A. Vauchez, La santità nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 395, n. 33 e p. 510 (ed. or. La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge, Roma, École française de Rome, 1981).
[151] Dissertationes medico-physicae, in PSD, nr. 234, p. 51.
[152] Ibidem.
[153] Ibidem. Cfr. Erodoto, Le storie. Libro I. La Lidia e la Persia, a cura di D. Asheri e V. Antelami, Milano, Mondadori, 1988, p. 99.
[154] Dissertationes medico-physicae, in PSD, nr. 235, p. 51: «haud negamus item ab imaginatione ex quovis animi affectu excitata, hiantia sanguiferorum vasorum oscula posse perstringi; ideoque aliquandiu supprimi haemorrhagiam».
[155] Ivi, nr. 236, p. 51.
[156] Ibidem.
[157] Ibidem.
[158] Ivi, nr. 237, p. 51.
[159] Ivi, nr. 240, p. 52.
[160] F.P. de Ceglia, I fari di Halle. Georg Ernst Stahl, Friedrich Hoffmann e la medicina europea del primo Settecento, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 16.
[161] G. Sodano, Il miracolo nel Mezzogiorno d’Italia dell’età moderna, cit., p. 276.
[162] Dissertationes medico-physicae, in PSD, nr. 240, p. 52.
[163] Ivi, nr. 238, pp. 51-52: «cum igitur insanabilis Carolus de Vivis morbus de improviso depulsus esset; fatendum omnino est, illud procul dubio non ipsius imaginationis vi; sed tantummodo ope Ven. Francisci Caraccioli».
[164] Ivi, nr. 243, p. 52.
[165] M. Casaubon, A Treatise Concerning Enthusiasme, London, Printed by R.D., 1655, p. 41.
[166] L. Daston, Preternatural Philosophy, cit., p. 20.
[167] Ivi, p. 17.
[168] Ivi, pp. 21-22.
[169] Sul collezionismo e la moda delle Wunderkammern nell’Italia della prima età moderna, fenomeni connessi al concetto di preternaturale, cfr. P. Findlen, Possessing Nature. Museums, Collecting, and Scientific Culture in Early Modern Italy, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1994.
[170] L. Daston, Preternatural Philosophy, cit., pp. 17-18.